L’ex sindaco di New York racconta la sua battaglia contro l’inquinamento: «Servono regolamenti severi per i costruttori. Siamo a questo punto per l’arroganza delle grandi aziende»

Quand’era sindaco di New York, Bill de Blasio aveva formulato una proposta choc: vietare la costruzione di nuovi grattacieli in vetro e acciaio nella Grande Mela, energivori e costosi, simboli dello skyline ma vere bombe ecologiche. Doveva essere l’eredità più importante dei suoi due mandati, dal 2014 al 2021, poi il progetto non andò in porto. Sulla lotta contro il cambiamento climatico de Blasio ha costruito la propria carriera, come testimonia il Climate Mobilization Act, il provvedimento da lui approvato che punta ad azzerare l’impronta di carbonio della città entro il 2050. E ora l’ex primo cittadino di New York continua a interrogarsi sul futuro delle città.

 

Bill de Blasio, oggi gli agglomerati urbani rappresentano i due terzi del consumo globale di energia e sono responsabili di oltre il 70 per cento delle emissioni di gas serra. Cosa si può fare per invertire la rotta?
«Nulla è irreversibile. Combattere il riscaldamento globale con fatalismo porta a un sicuro fallimento. Negli ultimi dieci anni i governi e il settore privato si sono mossi in modo più aggressivo per affrontare il cambiamento climatico, sulla spinta di attivisti e cittadini comuni. L’impatto dei disastri naturali ha risvegliato il sentimento pubblico e accelerato i processi decisionali. E poiché la domanda di cambiamento inevitabilmente aumenta e la tecnologia continua a migliorare, d’ora in poi vedremo entrare in gioco nuove opzioni come l’energia dell’idrogeno».

 

Le città svolgono un ruolo sempre più importante nell’affrontare il cambiamento climatico, poiché la loro esposizione al rischio climatico e di catastrofi aumenta man mano che crescono. A livello globale, un miliardo e 800 milioni di persone vivono in zone ad alto rischio di alluvioni. Come contrastare questo fenomeno?
«Se c’è un posto al mondo che comprende i pericoli dell’innalzamento del livello del mare, questo è New York. Siamo nove milioni di persone circondate dall’oceano, da baie e fiumi. Abbiamo perso decine di newyorkesi e subito danni per miliardi di dollari durante l’uragano Sandy, dieci anni fa. Ma dobbiamo imparare dall’Olanda e da altre nazioni che hanno gestito una situazione analoga. Nel nostro caso, ciò significa nuovi regolamenti edilizi molto rigidi e vietare la costruzione di nuovi edifici in alcune aree. Inoltre, vuol dire implementare forti misure di resilienza nelle nostre aree più vulnerabili, inclusa la trasformazione delle strutture esistenti in barriere contro le mareggiate. Tutto ciò richiede massicci investimenti, che molte città e regioni non possono permettersi. Servono passi radicali per ridurre il consumo di energia e passare alle rinnovabili».

 

Oltre alla crisi climatica, lei si è sempre occupato di disuguaglianze sociali. C’è una relazione tra i due temi?
«La crisi climatica e la crisi della disuguaglianza sono indissolubilmente legate. Non avremmo una crisi climatica se il potere e la ricchezza fossero distribuiti in modo più equo. L’arroganza dei decisori del settore privato ha reso possibili le decisioni suicide che hanno prodotto la situazione attuale. Il collegamento è pratico: sono i poveri e i diseredati che sopportano il peso maggiore degli effetti del degrado climatico. Sarà necessaria una ridistribuzione della ricchezza e del potere politico, sostenuta da forti movimenti popolari. A New York abbiamo dimostrato che era possibile invertire l’impatto della disuguaglianza attraverso l’uso di politiche locali forti e coraggiose. Questa è la strada da seguire».

 

Da sindaco di New York ha intrapreso una guerra in difesa dell’ambiente. Quali sono i principali obiettivi raggiunti?
«Abbiamo dimostrato che le città possono adottare politiche climatiche radicali e che queste politiche possono avere un impatto importante. All’inizio abbiamo dirottato dai nostri fondi pensione pubblici circa cinque miliardi di dollari di investimenti in società di combustibili fossili. Quindi abbiamo approvato la legge più completa di qualsiasi grande città sulla Terra per limitare le emissioni dei grandi edifici e per richiedere ai proprietari di costruzioni private di pagare per la loro riqualificazione energetica. Ci siamo quindi concentrati su una massiccia espansione delle stazioni di ricarica per veicoli elettrici disponibili al grande pubblico in tutti e cinque i distretti di New York. Infine, negli ultimi giorni della mia amministrazione, abbiamo approvato una legge che vieta la generazione di energia in loco che coinvolge combustibili fossili nei nuovi edifici costruiti a New York».

 

Quale importante obiettivo è stato fallito?
«C’è ancora tanto da fare. Sono particolarmente preoccupato per la mancanza di iniziative efficaci per convincere i proprietari di case e le imprese private a convertirsi alle energie rinnovabili. Inoltre, non abbiamo raggiunto i nostri obiettivi ideali in termini di invio zero di rifiuti urbani in discarica, attualmente un’impresa costosa ad alta intensità energetica».

 

Una delle sue decisioni più contestate riguarda il divieto di costruire nuovi grattacieli in acciaio e vetro nella Grande Mela, perché energivori.
«In realtà il progetto non è mai stato realizzato, ma è stato comunque un pensiero degno. Il punto di fondo era che il design moderno dominante per i grandi edifici per uffici è estremamente dispendioso in termini di consumo energetico. L’importante è rendersi conto di quanto i grandi edifici contribuiscano alle emissioni, che in molte grandi aree urbane rivaleggiano con l’impatto negativo dei veicoli sul clima».