Ammettendo la “questione morale” nel Pd, ?il premier smorza lo scontro con i giudici. E ?punta le sue carte sul referendum costituzionale
Sta assumendo toni surreali la discussione sulla libertà di pensiero politico dei magistrati italiani. O, per essere più precisi, sulla libertà (leggi opportunità) di aderire ai comitati contrari alla riforma costituzionale fortissimamente voluta da Matteo Renzi. Pietra dello scandalo l’incauta conversazione con “il Foglio” - poi trasformata in intervista (smentita) - del membro del Csm, il togato Piergiorgio Morosini. Il confine del surreale è stato superato dallo stesso Morosini. Infatti se il giudice, espressione di una corrente di sinistra della magistratura, si fosse limitato a critiche tecnico-giuridiche, la sua opinione sarebbe stata assorbita alla stregua di tante altre. Invece, mal fidandosi, ha straparlato dando fuoco alle polveri del mai sopito conflitto tra politica e giustizia.
Con tutta l’ipocrisia nostrana si è fatto finta di scoprire ciò che è evidente da almeno un quarto di secolo: il peso nella vita politica italiana dei magistrati, sia presi singolarmente sia con le loro strutture organizzative. Da Tangentopoli in poi Parlamento, Regioni e Comuni hanno reclutato magistrati in posizioni di comando nella speranza, spesso infausta, di sanare i partiti e le istituzioni democratiche dalla corruzione e dal discredito reputazionale. Antonio Di Pietro (che almeno lasciò l’ordine giudiziario) fondò un partito personale poi disperso nel nulla. E che dire del partito mai nato di Antonio Ingroia. Nella Napoli dai mille colori il sindaco uscente Luigi De Magistris è tuttora orgoglioso dei suoi insuccessi come pm: «Mi hanno strappato la toga», ha urlato in un comizio diventato virale sul Web. E nella Puglia del flop referendario anti-trivelle il governatore Michele Emiliano, antagonista del premier nel Pd, è un magistrato in aspettativa. Mentre una toga in pensione ricopre la seconda carica dello Stato: Pietro Grasso, il presidente che ha traghettato l’attuale Senato verso la sua estinzione. E Renzi avrebbe voluto come ministro della Giustizia il procuratore Nicola Gratteri; nomina sconsigliata da Napolitano.
Insomma di che cosa stiamo parlando? È stato più volte ricordato in questi giorni quando i magistrati italiani si schierarono nel referendum del 2006 contro la Costituzione “firmata” da Berlusconi. Leader e partiti del centrosinistra applaudirono. Nell’ultimo sgangherato ventennio, infatti, la questione giustizia - che esiste, eccome - è stata vissuta totalmente in chiave di contrapposizione: di qua i berluscones garantisti pelosi, di là i nemici del Cav. manettari di complemento. In mezzo un sistema giudiziario lento, farraginoso, inefficace. Ai magistrati non fa piacere sentirlo dire, sempre sospettosi sui rischi che incombono sulla loro autonomia; tuttavia è solo una constatazione fin troppo ovvia. Il sistema va riformato.
In questo schema di gioco i partiti della sinistra, deboli nell’ideazione politica fino alla “non vittoria” nelle elezioni 2013, hanno sempre accordato credito alla magistratura oltre ogni ragionevole dubbio. L’ascesa di Renzi a Palazzo Chigi ha scompaginato tutto. I primi due anni di governo sono trascorsi indenni grazie al fine lavoro di tessitura svolto dal ministro Orlando e dal vicepresidente del Csm Legnini. Dall’inchiesta di Potenza però il clima si è arroventato. E poi l’arresto del presidente del Pd in Campania e a Lodi del sindaco hanno fatto il resto.
Se, di fronte all’evidenza, Renzi è disposto ad ammettere l’esistenza di una “questione morale” all’interno del suo partito, non intende però rinunciare al ruolo di riformatore che si è attribuito. Il Pd si è rivelato un partito scalabile, come tanti altri, metà liquido e metà grumo di affari e interessi a volte loschi. Localmente nessuno controlla più nulla come in certe città si è visto all’atto della presentazione delle liste comunali. Persino il Movimento 5 Stelle, incappato nei casi di Quarto e di Livorno, ha battuto il muso sulle insidie della realtà.
Ammettendo dunque la questione morale Renzi è stato coraggioso e malizioso al tempo stesso; prova a depotenziare così l’argomento polemico preferito dai nemici. E si concentra sul referendum di ottobre. Fino a provare a silenziare quei magistrati critici della riforma. Un sistema istituzionale, ci spiega con arguzia Michele Ainis, con non pochi buchi, come scopriremo con lo strano caso del Senato. Saranno mesi di scontri duri, ancor più se le elezioni amministrative dovessero punire i candidati del Pd. Tuttavia con il referendum Renzi non farà la rivoluzione d’ottobre. Ma neppure la marcia su Roma.
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