La situazione delle finanze pubbliche e l’intromissione nelle scelte di mercato bloccano ?lo sviluppo dell’Italia. Due libri spiegano perché
Avete sentito parlare della bizzarra idea di integrare Ferrovie, Anas e Atac creando un semi-monopolio pubblico delle infrastrutture viarie italiane, soffocando così la concorrenza?
Avete orecchiato qualcosa del monito lanciato dalla Bce sulla sostenibilità del debito italiano e la vulnerabilità dell’Europa agli shock esterni?
Siete stupiti? Allora non avete letto due libri formidabili, chiari e rigorosi allo stesso tempo, “Il Macigno” di Carlo Cottarelli, sul nostro debito pubblico e “Scegliere i vincitori, salvare i perdenti” di Franco Debenedetti sull’«insana idea della politica industriale». Cottarelli, ex commissario alla spending review e oggi managing director del Fondo monetario, illustra i motivi per i quali il debito pubblico elevato è pericoloso, strapazza le varie teorie di risoluzione facile del problema e propone un percorso ragionevole di riduzione del macigno.
In primis l’ex commissario ci ricorda quanto un alto debito come quello italiano sia dannoso: ci espone agli attacchi dei mercati finanziari in caso di shock economici o di perdita di fiducia; non ci consente di adottare politiche anti cicliche in caso di recessione perché non possiamo permetterci deficit alti; drena il risparmio verso l’acquisto di titoli di Stato sottraendolo da impieghi privati più produttivi. Inoltre, per ridurlo non ci sono scorciatoie. L’uscita dall’euro non sarebbe una panacea in quanto è complicata e potrebbe generare una crisi di sfiducia e l’innalzamento dei tassi.
In secondo luogo, la svalutazione della liretta avrebbe effetti competitivi solo se i salari perdessero potere d’acquisto, altrimenti il costo relativo delle nostre merci rimarrebbe elevato.
Né potremmo semplicemente cominciare a stampare moneta, perché ad un certo punto si genera inflazione ed empiricamente i fenomeni di iper-svalutazione e conseguente collasso dell’economia hanno origine dal finanziamento del deficit. Condizioni come le attuali, di stabilità dei prezzi nonostante l’abbondanza di liquidità, sono eccezionali poiché la domanda odierna di moneta non durerà per sempre. Il percorso non può che essere un prudente mix di privatizzazioni, taglio della spesa pubblica e riforme. In particolare, la decurtazione delle uscite ha effetti recessivi di brevissimo termine, ma dopo protrae i suoi effetti benefici per gli anni a venire. Tuttavia, l’Italia continuerà ad avere una zavorra aggiuntiva rispetto agli altri paesi per la sua scarsa produttività.
E qui entra in gioco l’insana idea dello Stato di scegliere i progetti vincenti per il Paese salvando quelli falliti che però sono politicamente importanti. La ricostruzione di Debenedetti è impressionante: i soldi perduti (solo Finsider nell’acciaio 25.000 miliardi di vecchie lire fino al 1994 che attualizzate oggi sarebbero fantastiliardi) sono stati moltissimi, i risultati deludenti. Ci ha salvato l’Europa con il divieto di aiuti di Stato e quel poco di privatizzazioni degli anni ’90. Ma i politici non per questo hanno rinunciato a dire la loro e negli ultimi anni si è sviluppata una sorta di pragmatismo a-ideologico determinato spesso da fiuto elettorale.
Si prenda il balletto della banda larga e di Telecom. Dopo la privatizzazione nessun governo ha rinunciato a tirare fuori dal cilindro qualche meravigliosa idea o per ripubblicizzare la rete o per favorire combinazioni più o meno improbabili con entità pubbliche finché è arrivata Vivendi e l’Autostrada informatica verrà costruita in tutt’altro modo…
Peggiore la vicenda dell’Ilva, dove un problema ambientale che si sarebbe potuto gestire è stato trasformato da magistratura e governo in un disastro economico e sociale di cui non si intravede ancora la soluzione. Questo accade sempre perché lo Stato pensa di essere in una posizione privilegiata per individuare ciò che è strategico e può essere aiutato ed indirizzato coi soldi pubblici mentre, ricorda Debenedetti, «strategico, per la politica, è il consenso».
Qualcosa si muove però nella giusta direzione. Racconta spesso Cottarelli, che era stato accusato di voler oscurare i centri città italiani, mentre si era limitato a suggerire di togliere l’illuminazione in posti dove evidentemente non serviva, ad esempio nel tratto della superstrada Roma-Fiumicino, che, tornando qualche mese fa ha notato una novità: finalmente, avevano spento i lampioni su un lato di quella strada e naturalmente si viaggiava benissimo. «Vuol dire che qualcosa sta cambiando». «Dottò, se so rubati i cavi del rame dalla centralina e semo rimasti ar bujo». A posto.