L’ultima versione è quella ambientalista, in vista della conferenza mondiale che si terrà a novembre a Dubai. Ma il Paese che riunisce sette regni diversi è maestro nel cambiare immagine: con un occhio di riguardo alla diplomazia

Nell’anno 1444 del calendario islamico, corrispondente al gregoriano 2023, l’orgoglio degli Emirati Arabi Uniti è quello di ospitare la più grande comunità di dugonghi, mammiferi marini simili a foche giganti che si sono recentemente estinti in Cina e sono a rischio in tutto il mondo. Notizie come questa sono il fiore all’occhiello di un Paese che cerca di accreditarsi come uno dei leader nel rispetto dell’ambiente. Un impegno che culminerà con la Cop28, la conferenza mondiale sul clima che si aprirà il 30 novembre a Dubai.

 

È la più recente metamorfosi di uno Stato – in realtà una federazione di sette regni – che dal 1971, anno dell’indipendenza, ha cambiato immagine come il più poliedrico dei Pokemon. Passando senza imbarazzi dal petrolio all’ecologia, dalla partecipazione alla Guerra del Golfo e a quella dell’Arabia Saudita contro lo Yemen al pacifismo diplomatico: gli Emirati si sono candidati a fare da tramite per le trattative tra russi e ucraini, un ruolo riconosciuto dalla presidente Meloni nella visita ufficiale del marzo scorso, e il presidente della federazione è stato il primo capo di Stato straniero a parlare con Putin dopo il mancato golpe di Prygozin.

 

Nessuna di queste metamorfosi in realtà è più clamorosa di quella che è alle origini del Paese, che nell’Ottocento fu costretto a trasformarsi da “Costa dei pirati” a paradiso dei pescatori di perle: per metà dell’anno i giovani emiratini si tuffavano nelle acque del mare, e quando la stagione delle perle finiva si trasformavano in nomadi, affrontando il deserto a dorso di dromedario. Una vita idilliaca finita circa un secolo fa, quando i giapponesi hanno cominciato a produrre perle coltivate in quantità.

 

È allora che il padre della patria, Zayed bin Sultan Al Nahyan, decide di cedere alle pressanti richieste inglesi di cercare il petrolio. La guerra rallenta tutto e il primo pozzo apre solo nel 1958, portando con sé un restyling totale che insegue il modello americano. Si gettano le fondamenta di un’urbanistica a misura di automobile che è ancora l’aspetto più evidente delle città emiratine: quartieri sterminati, intrecci di strade, superstrade e viadotti, palazzi in cui la vita senza aria condizionata è inimmaginabile, giardini tenuti in vita da continue flebo di acqua dissalata. Dubai trova una sua specializzazione che unisce l’ammirazione per la city di Londra, con grattacieli sempre più alti e più strani, al modello Disneyland, con attrazioni sempre nuove: dalla neve finta per sciare a 40 gradi, alle isole artificiali a forma di palma punteggiate da ville di lusso, al tunnel di vetro da cui osservare il centro cittadino scivolando a 220 metri di altezza.

 

Una volta consolidata la posizione nel turismo commerciale, gli Emirati si lanciano sulla cultura: la città-Stato di Sharjar punta sull’editoria (la sceicca Bodour Al Qasimi è stata presidente dell’Associazione internazionale degli editori) mentre Abu Dhabi ospita i due più importanti premi letterari arabi. La capitale degli Emirati punta anche sui musei, con succursali di Louvre e Guggenheim. Con qualche intoppo: il Guggenheim di Frank Gehry, che doveva essere pronto nel 2011, è ancora in costruzione, mentre la realizzazione di una collezione di opere del Louvre Abu Dhabi inciampa in una inchiesta per traffico di reperti che porta all’arresto del direttore della casa madre. Cultura e pace vanno a braccetto: gli Emirati si sono ritagliati negli anni un ruolo diplomatico che in effetti è radicato nella loro storia, che parte dall’accordo tra sette emiri imparentati tra loro (guardate alle faide della confinante Arabia Saudita per vedere come poteva finire…).

 

E arriviamo al greenwashing: fatto di grandi imprese - l’Expo di Dubai del 2020, dedicata ad “Acqua, energia, tecnologia e ambiente”, o la Masdar City, progettata per produrre zero inquinamento e zero rifiuti – ma anche di dettagli: tutti gli alberghi pubblicizzano la riduzione del consumo di energia e di carta, i corridoi del palazzo delle fiere di Abu Dhabi mettono a disposizione dispenser d’acqua ricavata dall’umidità dell’aria. Non è solo un impegno di facciata ma uno sforzo per diversificare fonti di reddito e di energia: perché il petrolio prima o poi finirà, e gli Emirati non vogliono ritrovarsi di nuovo a piangere sull’invenzione delle perle coltivate.