L’inchiesta giornalistica internazionale Pandora Papers svela i segreti finanziari degli Emirati. Nelle carte dello studio Sfm i nomi dei beneficiari di 2.297 società offshore. Tra i clienti migliaia di vip, ma anche riciclatori, trafficanti di droga e armi, boss del dark web. E 35 componenti delle famiglie reali arabe

Un ricchissimo paradiso fiscale e societario. Che nasconde al suo interno decine di zone franche dove è lecito fare affari e gestire patrimoni nel più totale anonimato e senza pagare nulla di tasse. Con la protezione delle famiglie reali.

 

I Pandora Papers svelano, per la prima volta dall'interno, i segreti finanziari degli Emirati Arabi Uniti. L'inchiesta giornalistica internazionale coordinata dal consorzio Icij, rappresentato in Italia dall'Espresso, ha portato alla luce oltre 190 mila documenti interni della società Sfm, con base a Dubai, che crea e gestisce società offshore per migliaia di vip di tutto il mondo. Una massa di carte riservate che permette di identificare gli effettivi titolari e beneficiari economici di 2.977 offshore, fino a ieri sconosciuti.

 

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Gli Emirati Arabi sono una federazione di sette regni che, dopo aver ottenuto l'indipendenza dalla Gran Bretagna, si sono uniti circa 50 anni fa. Negli ultimi trent'anni questa nazione desertica con dieci milioni di abitanti, governata da monarchi assoluti, è diventata una capitale della finanza globale: un miracolo economico simboleggiato dai grattacieli futuristici, hotel scintillanti, isole artificiali, gioiellerie e negozi di lusso di Dubai. Il governo federale è controllato dalla famiglia reale di Abu Dhabi, l'emirato più grande. Il presidente in carica, lo sceicco Khalifa Bin Zayed, è malato da tempo: l'uomo forte del regime è il suo fratellastro, Mohammed Bin Zayed, detto Mbz, che ha deciso anche gli interventi militari nelle sanguinose guerre civili in Libia e Yemen. Le dinastie al potere sono ricchissime, ma non sopportano di pagare le tasse nemmeno all'estero: nei Pandora Papers si contano almeno 35 componenti delle famiglie reali che fanno affari in tutto il pianeta utilizzando società offshore con basi in altri paradisi fiscali, dalle Seychelles alle British Virgin Islands.

 

Il boom economico e urbanistico degli Emirati è legato non solo all'inesistenza di tasse sulle società e sugli utili distribuiti agli azionisti, come in tutte le giurisdizioni offshore, ma anche a norme speciali che garantiscono segretezza e anonimato ai massimi livelli. Un privilegio prezioso per migliaia di personaggi intenzionati a sfuggire agli obblighi di trasparenza imposti dalle convenzioni internazionali contro il riciclaggio di denaro sporco, in vigore da anni in gran parte del mondo.

 

La società Sfm è stata fondata nel 2006 in Svizzera da un ex banchiere arabo e nel 2013 si è trasferita a Dubai, conservando una filiale elvetica. Oggi si presenta su Internet come «il primo fornitore di offshore del mondo». Sfm è una delle 14 fabbriche internazionali di società anonime (offshore provider) al centro dei Pandora Papers. Lo studio di Dubai, dove lavorano anche professionisti stranieri esperti di fisco, banche e finanza, ha dichiarato al consorzio Icij di «rispettare rigorosamente tutte le leggi internazionali», comprese le norme che obbligano a segnalare le operazioni sospette e registrare gli effettivi titolari delle offshore. Tra i clienti della Sfm, però, l'inchiesta giornalistica internazionale ha identificato almeno 24 personaggi che sono stati incriminati in varie nazioni per riciclaggio, frodi fiscali e finanziarie, complicità con traffici di droga e pedo-pornografia, scandali di spionaggio informatico e altri reati. Almeno dodici risultano condannati in via definitiva.

 

Tra i nomi più imbarazzanti che emergono dai Pandora Papers c'è Firoz Patel, l'ex magnate di Internet, con base nel Quebec, che ha confessato ai giudici americani di aver gestito il riciclaggio di oltre 250 milioni di dollari a favore di altri criminali arricchitisi con traffici di droga, commerci online di pornografia per pedofili e altri gravi reati. Le indagini sul maxi-riciclatore erano iniziate nel 2017 negli Stati Uniti. Nell'aprile dello stesso anno Patel è diventato cliente della Sfm, che gli ha aperto segretamente una società offshore nell'emirato di Ras Al Khaimah, che garantisce il più assoluto anonimato. Solo nel 2018 la Sfm ha chiuso la sua posizione per imprecisate «ragioni legate a verifiche legali». Nel 2020 Patel si è dichiarato colpevole, ha aiutato le autorità Usa a smantellare la sua rete di riciclaggio e ha patteggiato una condanna a tre anni, che sta scontando in carcere.

 

Tra i clienti della Sfm compare anche Alexandre Cazes, diventato famoso come «il re del dark web», incriminato in California per aver organizzato un mercato illegale su Internet, chiamato Alpha Bay, utilizzato da migliaia di delinquenti di mezzo mondo per vendere armi, eroina, oppiodi, droghe chimiche e per riciclare denaro sporco per centinaia di milioni attraverso operazioni finanziarie anonime. Cazes è stato arrestato nel 2017 in Thailandia, dove una settimana dopo è stato trovato morto in carcere: il caso è stato archiviato come suicidio, tra molti dubbi. Di certo ora non può più rivelare i nomi dei complici. La Sfm aveva costituito almeno cinque società offshore utilizzate segretamente dal re del dark web.

 

Tra gli investitori che si sono affidati alla società di Dubai non mancano le sorprese geo-politiche. I Pandora Papers rivelano che la Sfm ha creato almeno due offshore per un manager iraniano con residenza in Germania, Abdulhabi Tabibi, che dirige un'azienda di Teheran controllata dalla Ghadir Investments, cuore economico della fondazione miliardaria che opera alle dirette dipendenze dell'ayatollah Alì Khamenei, il leader politico-religioso della repubblica islamica. Iran ed Emirati sono schierati su fronti opposti nelle guerre civili in Yemen e Siria, ma nel paradiso di Dubai gli interessi si incrociano e si confondono.

 

Dai Pandora Papers emerge anche il lato oscuro dei regimi arabi, tra dispotismo e repressione. I documenti interni della Sfm collegano allo sceicco Mohammed Bin Rashid Al Maktoum, l’attuale capo del governo di Dubai, due società anonime delle Isole Vergini Britanniche che risultano azioniste di Dark Matter: un’azienda di sicurezza informatica accusata di aver spiato sistematicamente gli oppositori del regime e gli attivisti per la democrazia e i diritti umani. Nel settembre scorso tre ex manager di Dark Matter, tutti americani con un passato nell’esercito Usa o nella Cia, si sono dichiarati colpevoli di aver organizzato l’hackeraggio di telefonini e computer negli Emirati e in altri paesi del mondo.

 

Le offshore anonime coprono anche importanti esponenti del governo federale. Il ministro per la sicurezza nazionale degli Emirati, lo sceicco Tahnoon Bin Zayed, in particolare, viene indicato nelle carte della Sfm come l’effettivo beneficiario economico di una società delle Isole Vergini Britanniche, attiva negli scorsi anni, che non aveva alcun titolare visibile: a controllarla era il possessore materiale delle sue «azioni al portatore», titoli senza nome che sono vietati da decenni dalle convenzioni contro il riciclaggio. Negli Stati Uniti lo sceicco Tahnoon è stato coinvolto nello scandalo del reclutamento di Tom Barrack, l’ex magnate della Costa Smeralda che nel 2016 presiedeva il comitato per l’elezione del presidente Trump, come «lobbysta non dichiarato» a favore degli Emirati.

 

Rispetto agli altri paradisi fiscali, Dubai e gli altri regni federati offrono statuti speciali ancora più vantaggiosi per chi chiede segretezza. Negli Emirati esistono 47 zone franche (Free trade zone, Ftz) dove non esistono tasse di alcun tipo e nemmeno controlli societari. I nomi degli azionisti restano segreti e in alcune zone franche non vanno registrati neppure gli amministratori. Solo Dubai ha 30 diverse zone franche, con statuti autonomi e norme speciali. Le più ricche controllano il mercato internazionale delle pietre preziose, soprattutto oro e diamanti, che sono la seconda fonte di ricchezza dopo il petrolio. Nel 2020 gli Emirati, secondo i dati delle Nazioni Unite, hanno importato oro per 37 miliardi di dollari, che per 29 miliardi è stato riesportato come materia prima o trasformato in gioielli.

 

Il consorzio Icij ha contattato tutte le famiglie reali e i ministri citati in questo articolo, per chiedere spiegazioni sulle loro offshore, ma nessuno ha risposto. Il governo degli Emirati ha diffuso solo una dichiarazione generale in cui assicura «il massimo impegno per garantire l’integrità dei mercati finanziari», annunciando l’adozione di «misure concrete per identificare gli effettivi titolari delle società» e la creazione di «un tribunale specializzato per contrastare il riciclaggio».

 

Questo articolo è il frutto del lavoro collettivo dei giornalisti dell’inchiesta Pandora Papers e in particolare di Maggie Michael, Michael Hudson, Will Fitzgibbon, Fergus Shiel (Icij), Paolo Biondani e Leo Sisti (L’Espresso)