È durata poco la resistenza delle associazioni mondiali dello sport al denaro di bin Salman, erede al trono saudita. Ed esulta anche Donald Trump

La notizia è giunta inattesa, lasciando tuttavia intravedere nella sua incrinata riservatezza, i segreti maneggi dei vertici, gli opportunistici voltafaccia, i compromessi inconfessabili di cui era figlia. Da martedì 6 giugno il golf professionistico mondiale ha un solo padrone, l’insaziabile principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, o MbS, se preferite. Il quale, è riuscito a trasformarsi da spietato demolitore di quello che era considerato lo “sport delle élite” per eccellenza a munifico finanziatore di una nuova entità tanto frettolosamente creata da non avere ancora un nome a parte la convenzionalissima sigla NewCo (New Company).

 

Era appena trascorso un anno, o poco più, da quando uno tsunami devastante s’era abbattuto sulla disciplina sportiva più pacata e amante della tradizione che ci sia. Era successo che – proseguendo nella sua offensiva innovatrice tesa a fare dell’Arabia Saudita una sorta di parco giochi planetario, arruolando fuoriclasse del pallone a cifre esorbitanti e piloti di Formula1, divi della canzone e campioni di pugilato, per far dimenticare gli abusi dei diritti umani, le libertà conculcate e la scimitarra del boia che dall’inizio anno s’è già messa in moto per 47 volte, oltre, naturalmente, alle perduranti conseguenze dell’orrendo omicidio del giornalista critico del regime, Jamal Khashoggi – ebbene, è successo che l’infaticabile erede al trono saudita ha rivolto la sua attenzione al golf.

 

E così, senza alcuna comprensibile ragione, rivendicazione o motivazione tranne forse l’istinto di trasferire la legge della giungla anche nello sport, una nuova organizzazione chiamata LIV, da leggere anche come numero romano, 54, quante sono le buche degli eventi che si è ripromessa di organizzare, si è presentata sul palcoscenico dell’attualità sportiva con lo scopo dichiarato di sabotare le due tradizionali associazioni golfistiche internazionali: il Pga Tour e il Dp World Tour (ex European Tour). Come, sabotarle? Offrendo astronomiche somme di danaro, le classiche “offerte che non si possono rifiutare”, ai campioni del Pga o del Dp per farli trasmigrare nel LIV.

 

Il quale LIV era, è, proprietà al 97% del fondo sovrano saudita, il Public Investment Fund, uno dei colossi della finanza planetaria, ricchezza stimata in 700 miliardi di dollari, presieduto da MbS, che ormai ricopre quasi tutte le cariche di potere del suo paese, e diretto da Yasir al Rumayyan, un suo uomo di fiducia, grande appassionato di ferri, legni e buche. Il ruolo strategico del Fondo sovrano va ben oltre lo sport. Il Pif è il polmone del grandioso progetto Vision 2030 con cui Mohammed bin Salman intende emancipare l’Arabia Saudita dalla dipendenza del petrolio come unica fonte di arricchimento. Tuttavia, anche lo Sport, utilizzato come strumento di facile consenso, attinge alla cassaforte del reame.

 

Campioni del calibro di Phil Mickelson, Dustin Johnson, Brooks Koepka e Cameron Smith non hanno saputo resistere alle sirene saudite. Ma non tutti i nomi più prestigiosi del golf hanno abboccato alle offerte smisurate di LIV: non il campionissimo Tiger Woods, che ha rifiutato un contratto da 600 milioni di dollari, né Rory Mcllroy, 500 milioni di dollari, non lo spagnolo Jon Rahm, né il giapponese Matsuyama, le stelle della scorsa stagione.

 

Ma le organizzazioni concorrenti hanno deciso di farsi la guerra. Inchieste ministeriali, processi, controversie di ogni tipo. Mentre il patrocinio saudita di LIV si ritorceva contro la sua creatura, spingendo le “famiglie delle vittime dell’11 Settembre” a denunciare per l’ennesima volta i legami tra i terroristi delle Torri Gemelle e le autorità di Riad e a protestare contro l’interferenza del regime saudita nel golf americano. Una protesta che il direttore del Pga Tour, Jay Monaham, sembrava condividere appieno: «Vorrei chiedere a qualsiasi giocatore che se ne sia andato, o che considera di andarsene (per passare a LIV, n.d.r.): vi siete mai dovuti scusare di essere componenti del Pga Tour?». Ma poiché dal vanto alla vergogna il passo è spesso breve, è stato lo stesso Monahan ad annunciare, martedì 6 giugno, nello stupore generale, la «fine della guerra civile nel golf», come hanno titolato i giornali, vale a dire la fusione tra Pga Tour e Dp World, con il saudita LIV, per dar vita ad una nuova società golfistica di cui nulla si sa, tranne che avrà nel fondo sovrano di Riad il suo investitore esclusivo, sarà presieduta da Yasir al Rumayyan, e diretta dall’onnipresente, Jay Monahan.

 

Postilla: il finanziatore saudita avrà anche il diritto di prelazione su nuovi investimenti da fare e di primo rifiuto su quelli che dovessero arrivare da fuori. In una tempestosa riunione con i giocatori rimasti fedeli al Pga Tour, e tagliati fuori dalle trattative segrete sulla fusione, Monahan ha dovuto difendersi. «Non era una questione di principio, la tua – gli ha rinfacciato uno dei partecipanti – ma di denaro».

 

Ad esultare per questo trionfo del danaro contro la fragilità dei principi è il vecchio squalo, Donald Trump, che da dieci anni coltiva il business del golf e vanta rapporti speciali con l’erede al trono saudita, rinvigoriti, anche dopo la sua tempestosa uscita dalla Casa Bianca, con un investimento del Pif da due miliardi di dollari, in un fondo privato di proprietà del genero di Trump, Jared Kushner. The Donald si era a suo tempo schierato a favore della rampante interferenza saudita nel Golf americano, ospitando diversi eventi targati LIV nei suoi resort e golf club sparsi negli States (ma anche a Dubai e in Scozia).

 

Per cui oggi gioisce per la «grande, bellissima, e affascinante (glamour) notizia» sulla fusione. Va ricordato, inoltre, che Trump è, allo stato, il candidato repubblicano favorito nella corsa alla Casa Bianca. Un candidato molto gradito al premier israeliano, Benjamin Netanyahu, il quale aspetta con ansia un nuovo presidente al posto di Joe Biden di cui non si fida, uno che finalmente spinga Mohammed bin Salman tra le braccia d’Israele.