L’ex premier si muove da sé ma non è l’unico: ecco i politici che guardano con attenzione al regime saudita (e meno ai diritti civili). In questa legislatura all’Intergruppo – presieduto da Marco Osnato di Fdi e in passato da Elena Murelli della Lega – fin qui hanno aderito 19 eletti

Qui si esegue un esperimento ardito. Scrivere di Arabia Saudita e non scrivere di Matteo Renzi. Per il riguardo che si deve a un rapporto bilaterale così proficuo e assai remunerato, una citazione in breve del senatore fiorentino Matteo Renzi è inevitabile. Il Matteo Renzi amico del principe ereditario Mohammed bin Salman, il Matteo Renzi conferenziere affascinato dal «rinascimento» saudita, il Matteo Renzi coinvolto nel rilancio a tratti onirico della città di Alula. Attorno a Matteo Renzi, un Matteo Ricci fermatosi a Riad, cresce spontanea una comunità ben variegata di parlamentari appassionati di Arabia Saudita. In quest’epoca di patriottismo&sovranità, è chiaro che la passione dei parlamentari appassionati di Arabia Saudita è rivolta al bene nostro, di madre Italia, al vendere e fatturare per le imprese nazionali, al «fare sistema» qualsiasi cosa voglia dire. Perciò non c’è molto spazio né molto tempo per quelli con il ditino alzato al calduccio di casa, peggio se borghesi, che stanno lì a denunciare che la monarchia saudita calpesta i diritti civili, sociali, umani, discrimina le donne, ignora la democrazia, effettua quasi duecento condanne a morte in un anno, tortura, sevizia e ammazza i giornalisti dissidenti.

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E con cruda sincerità lo ammette, la senatrice leghista Elena Murelli, che il tema dei diritti civili è abbastanza intangibile: «Noi ci basiamo principalmente sulle attività relative agli scambi commerciali tra i due Paesi. Quando sono arrivata a Riad, tre anni fa, erano state inflitte trenta pene di morte in un giorno. Con l’ambasciatore di allora, Luca Ferrari, abbiamo affrontato l’argomento in un colloquio della visita, e basta. Lo sanno anche loro. Qualche piccolo passo si sta facendo. L’apertura mentale verso l’Occidente è importante». Murelli è un perfetto Virgilio per inoltrarsi nelle relazioni fra i politici italiani e i regnanti sauditi. La scorsa legislatura ha presieduto l’intergruppo parlamentare per l’Arabia Saudita, adesso ha ceduto la guida al collega deputato Marco Osnato che presiede la commissione Finanze, figura di rango di Fratelli d’Italia, in particolare in Lombardia, genero di Romano La Russa, dunque nipote acquisito di Ignazio. Fdi ha scalzato gli alleati leghisti perché l’Arabia Saudita è ormai un interlocutore stabile, caduta la ritrosia etica.

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Al momento diciannove parlamentari hanno aderito all’intergruppo. La maggioranza è saldamente di centrodestra con le presenze solitarie di Nicola Carè, che proviene da Italia Viva e oggi rappresenta il Partito Democratico, e di Giorgio Lovecchio per i 5S. La renziana Iv schiera Mauro Del Barba. Oltre al capo Osnato, Fratelli d’Italia partecipa con Salvatore Caiata, Giangiacomo Calovini, Grazia Di Maggio, Fausto Orsomarso, Cinzia Pellegrino, Fabio Rampelli, Sandro Sisler. A far compagnia a Murelli, invece, per la Lega c’è Stefania Pucciarelli. Forza Italia ne ha tre, Roberto Pella, Catia Polidori e Francesco Rubano.

 

La tratta Riad-Roma con frequenti tappe a Milano è spesso battuta. Ogni due o tre settimane c’è un evento che poi è occasione per aggiornarsi/informarsi. Cos’è che chiedono i sauditi? «Vogliono che le aziende italiane investano nel loro Paese. Loro sono interessati - dice Murelli - a tutte le collaborazioni in tutti i settori, in particolare meccanica, meccatronica, arte, tessile, moda, arredamento, cultura, alberghi, tutto per attuare il programma “visione 2030”. Per esempio, per le infrastrutture, creano le strade o i porti. Ci sono già le nostre Webuild e Fincantieri, però hanno bisogno di produrre e ci chiedono conoscenze e occupazione. Il turismo va sviluppato. Hanno una città stupenda che si chiama Hegra, è la gemella di Petra, ma non è famosa. Adesso una compagnia da crociera italiana ha aggiunto l’Arabia fra le sue destinazioni. Non è sufficiente perché i sauditi sono carenti con i servizi».

 

La bilancia commerciale pende sempre verso i sauditi perché sono ricchi di petrolio e carbone, comunque gli affari aumentano in ingresso e in uscita. Nel ’22 Riad ha esportato in Italia merce per un valore di 7,4 miliardi di euro di cui circa 6,6 riferiti a materiale per l’energia. Nel medesimo periodo, l’Italia ha mandato 1,2 miliardi di euro in apparecchiature e macchinari, 373 milioni in cibo e vino, 234 milioni in mezzi di trasporto per un totale di 4 miliardi. Il divario è tanto. L’appetito anche. Murelli racconta i fondamentali appuntamenti che si sono tenuti a maggio con la trasferta italiana del Business Council, il corrispettivo di Confindustria. I sauditi hanno incontrato imprenditori, istituzioni, il ministro Adolfo Urso, diversi sottosegretari e l’intergruppo parlamentare. «Desiderano che le nostre aziende siano presenti in Arabia Saudita. (stabili, non per appalti. A oggi sono una cinquantina, ndr). Quando sono andata a Riad - spiega Murelli - mi hanno domandato quanti imprenditori avrei poi portato. Io gli ho risposto che devono migliorare la comunicazione perché qui in Italia non si conosce il cambiamento che state facendo, il desiderio di avvicinarvi all’Occidente, tutti pensano che siate integralisti, invece la realtà è diversa. Le aziende italiane non sanno dell’evoluzione saudita. E in secondo luogo, dobbiamo cambiare le procedure, la burocrazia: semplificare. La nostra ambasciata è operativa. In passato il capitale di un’azienda doveva essere totalmente controllato dai sauditi, adesso i requisiti sono diversi. Lo stesso succede con la tassazione, la doppia tassazione, e su questo punto in Parlamento stiamo lavorando e ne abbiamo discusso col viceministro degli Esteri».

 

La senatrice leghista menziona il viaggio in Italia di Saud Al Sati che si è svolto anche in forma privata, a porte chiuse, nel centro di Roma: «Un momento di confronto e di dialogo, in un’ottica di rafforzamento», si legge nell’invito riservato ai parlamentari. Una settimana dopo il ministro Gennaro Sangiuliano (Cultura) ha firmato un protocollo d’intesa con l’omologo saudita Bader bin Abdullah bin Farhan Al Saud: «Pronti a sviluppare una collaborazione nell’ambito museale, archeologico e musicale». Ancora un’altra settimana, e il calendario testimonia la marcatura stretta dei sauditi agli italiani, il gruppo che negozia la pace nello Yemen, capeggiato da Mohammed bin Saeed al Jaber, ha illustrato ai parlamentari italiani le buone intenzioni per ottenere una vera pace dopo il cessate il fuoco. Fu l’utilizzo saudita nello Yemen di bombe tedesche fabbricate in Sardegna a spingere l’esecutivo giallorosso di Giuseppe Conte a limitare le forniture di armi. Il vincolo è stato definitamente rimosso dal governo di Giorgia Meloni come era accaduto già per gli Emirati Arabi Uniti. Il ministro Antonio Tajani (Esteri) ha difeso la scelta alle Camere: «I miei colleghi del G7 hanno salutato con favore questa nostra decisione». Riad è un presidio di pace. Il suo ruolo nel mondo è condiviso. Lo attesta anche la missione in Arabia Saudita, la prima, di Luigi Di Maio in qualità di inviato europeo per il Golfo Persico.

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A L’Espresso risulta che i sauditi stiano per entrare, dopo una breve esperienza da uditore, come membro permanente nell’Assemblea Parlamentare del Mediterraneo (Pam): «Io ho portato l’argomento Pam sul tavolo saudita e il ministro degli Esteri mi ha ringraziato», rivendica Murelli. Le distanze si accorciano. Il ballottaggio Roma-Riad per l’Expo 2030 dividerà fino a novembre (e magari qualche italiano tifa per i sauditi). La diplomazia è spumeggiante. «L’intergruppo parlamentare ha ricevuto l’invito dal nostro ambasciatore per la Festa della Repubblica a Riad. Non è stato possibile organizzare. Ci andremo in autunno». Osnato e Murelli vorrebbero aggregarsi alla delegazione di Confindustria che sarà a Riad a settembre. Male che vada si rinvia per ottobre. Tanto ormai in Arabia Saudita splende sempre il sole. E che bel sole.