Topi da schiacciare per Mosca, fiancheggiatori utili per Kiev: sono i combattenti finanziati dagli epurati che sognano di spodestare lo “zar” e intanto umiliano la Federazione

Li chiamano partigiani, terroristi, nazionalisti o pedine dell’Occidente; Kiev dice di non controllarli ma li appoggia, Mosca vuole «schiacciarli come topi». Sono i battaglioni di combattenti russi che nelle ultime settimane hanno debuttato in maniera eclatante nel contesto della guerra in Ucraina.

 

Gruppi compositi, comandati da figure fumose e dal passato ambiguo che fino a poco fa operavano perlopiù nell’ombra, al fianco delle truppe ucraine ma con uno status non ufficiale. I nomi che hanno scelto sono Legione libertà per la Russia (Svoboda Rossiy) e Corpo volontario russo (Russkiy dobrovol'cheskiy korpus, o semplicemente Rdk) e negli ultimi mesi sono stati più volte evocati come possibili esecutori di azioni in territorio russo.

 

Condividono l’obiettivo di rovesciare il governo di Vladimir Putin e spesso agiscono insieme ma non hanno, almeno a quanto sembra, gli stessi ideali.

 

La Legione libertà per la Russia è una creatura di Ilya Ponomarev: uomo d’affari ed ex membro del Partito comunista russo, l’unico deputato della Duma ad aver votato contro l’annessione della Crimea nel 2014 e a essersi astenuto nella votazione sulla legge contro la «propaganda gay». Nel 2015 è accusato dalle autorità di appropriazione indebita e, dopo quello che lui stesso definisce un «processo politico», viene fatto decadere dalla carica pubblica. Si auto-esilia in Ucraina nel 2016 e vi si stabilisce diventandone cittadino nel 2019. Ben presto entra in contatto con le élite di Kiev e, senza esporsi mai, diventa una figura molto influente. Subito dopo l’invasione russa si unisce ai battaglioni di difesa territoriale ed è a quel punto che nasce la Legione. «Non direi di essere il fondatore di questa Legione - spiegava in un’intervista a Le Figaro lo scorso febbraio - ma piuttosto diciamo che mi muovo nelle alte sfere politiche per agevolare certe cose, e che la formazione di questa unità ne è una parte». Secondo alcuni la Legione è una sorta di braccio armato di una piattaforma politica che Ponomarev stesso intende lanciare a breve (o potrebbe essere già attiva) in Russia. «C’è bisogno di una rivoluzione armata per finirla con Putin, non ci sono altre soluzioni».

 

Il Corpo volontario russo, invece, è guidato dal neonazista Denis Kasputin, un altro di quei personaggi che non nascondono le proprie simpatie per il terzo Reich ma che, interrogati in pubblico, rispondono che «al momento ci sono cose più importanti di cui occuparsi». E queste impellenze sono, appunto, l’abbattimento del potere putiniano. Anche Kasputin, noto altrimenti come Denis Nikitin, ha un passato degno di nota. Rinomato negli ambienti nazionalisti russi per le sue posizioni intransigenti ed estremiste, è emigrato in Germania dove ha vissuto per diversi anni e dove avrebbe avuto modo di stringere legami con l’estrema destra tedesca. Quando i carri armati russi hanno attraversato il confine ucraino ha deciso che era il suo momento e si è recato a Kiev per combattere contro l’esercito di Mosca. Kasputin ha rivendicato l’incursione a Bryansk, sempre in territorio russo, ed è sospettato dell’attentato a Kostantin Malofeev, alto dirigente di una rete televisiva.

 

Un’altra figura di spicco dell’Rdk è Aleksandr Skachkov, che appare sorridente nelle foto in seguito all’azione di Belgorod con uno strap raffigurante un uomo incappucciato (come quelli del Kkk) con un fucile. Secondo la piattaforma d’inchiesta Bellingcat, Skachkov (di nazionalità russa) è stato arrestato nel 2020 in Ucraina dai Servizi segreti per aver tradotto e diffuso il manifesto dell’autore della strage di Christchurch (2019), in Nuova Zelanda.

 

Entrambi questi gruppi hanno partecipato alla «controinvasione» della regione di Belgorod, in territorio russo, tra il 22 e il 23 maggio. In breve, lunedì notte Svoboda Rossiy ha pubblicato un comunicato nel quale affermava di aver attraversato il confine e di aver invaso la cittadina di Kozinka, oltre ad aver inviato unità nella città di Grayvoron. L’Rdk, intanto, dava manforte nelle aree limitrofe. Gli scontri si sono protratti per circa 24 ore prima che il ministero della Difesa russo annunciasse di aver «bloccato e sconfitto» i «nazionalisti infiltrati nel territorio della Federazione». Secondo Mosca oltre 70 di quei «terroristi» sarebbero stati uccisi ma i gruppi di miliziani, rientrati in Ucraina, hanno dato una versione diversa. Non solo dicono di aver riportato un «grande successo», ovvero aver dimostrato che il confine russo è permeabile, ma hanno annunciato nuove azioni.

 

I funzionari ucraini, soprattutto i servizi militari guidati da Kyrylo Budanov, ormai non nascondono più il loro appoggio alle formazioni di volontari russi, pur chiarendo in ogni occasione che «non agiscono su ordine di Kiev».

 

La scorsa settimana il consigliere di Volodymyr Zelensky, Mikhaylo Podolyak, ha dichiarato che «con l’inizio della controffensiva ci saranno più incursioni in Russia da parte di gruppi ribelli russi simili al raid nella regione di Belgorod».

 

Intanto, dal lato russo, il Cremlino cerca di glissare sull’argomento per non far montare il caso mediatico e derubrica le azioni di Belgorod all’opera di terroristi «finanziati ed equipaggiati dall’Occidente» per destabilizzare la Russia.

 

Il ritrovamento di mezzi americani utilizzati durante le azioni di guerriglia, infatti, ha spinto subito Mosca a biasimare la Casa Bianca e «il suo burattino che sta a Kiev». In ogni caso, questi gruppi armati costituiscono un ulteriore problema per il fronte interno russo anche se, almeno al momento, non sembra rappresentino una seria minaccia per il potere putiniano.