Calo di consensi per il carovita (simboleggiato dall’aumento del prezzo delle cipolle) e il dopo terremoto. Opposizione unita per la prima volta. Le elezioni del 14 maggio potrebbero essere una brutta sorpresa per il presidente turco

Persone molto vicine a Recep Tayyip Erdoğan dicono che avrebbe già lasciato alcune indicazioni su come festeggiare, nel 2071, il millesimo anniversario della vittoria di Manzikert sull’Impero bizantino, secondo i più ferventi nazionalisti turchi il mito fondante dell’Impero ottomano. Questo la dice lunga sul potere che pensa di avere, anche sul futuro del Paese. Eppure domenica 14 maggio in Turchia si voterà e il risultato è tutt’altro che scontato. E il caso vuole proprio nell’anno di un’altra importante ricorrenza: quella del centenario della Repubblica fondata da Mustafa Kemal “Ataturk”. Per la prima volta, infatti, una coalizione eterogenea di partiti, ribattezzata il “Tavolo dei sei”, ha scelto un candidato comune: Kemal Kılıçdaroğlu, 74 anni, curdo alevita, leader dal 2010 dell’Chp, il Partito Repubblicano del Popolo, laico e liberale. L’obiettivo è uno: mettere fine a vent’anni di governo dell’Akp, il Partito di giustizia e sviluppo di Erdoğan. Dentro l’alleanza, oltre al Chp, il Partito Buono, il Partito della Felicità, il Partito Democratico, il Partito della Democrazia e del Progresso e quello del Futuro.

 

Perfino movimenti lontani anni luce dal gruppo dei sei, pur non facendo parte della coalizione, hanno deciso di sostenere Kılıçdaroğlu. «I nostri ideali sono molto diversi da quelli dell’Chp, ma è l’unico modo per ricostruire una piena democrazia in questo Paese e tornare a una forma di governo parlamentare», dice a L’Espresso Ferhat Encu, ex parlamentare e presidente della sede di Istanbul dell’Hdp, partito socialista e filocurdo da anni perseguitato da Ankara, costretto per motivi legali a partecipare alle elezioni sotto l’ombrello del Partito della Sinistra Verde.

 

Due settimane fa l’ultima retata: centinaia di persone arrestate, tra loro esponenti e persone legate all’Hdp con la solita accusa di presunti legami con il Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, formazione politica e paramilitare indipendentista curda, considerata un’organizzazione terroristica anche da Unione Europea e Stati Uniti. Lo stesso Ferhat Encu in passato si è fatto più di tre anni di carcere. «Erdoğan prova in tutti i modi a ostacolarci, ma siamo ancora qui - spiega - e se per fermalo dobbiamo scendere a patti con gli altri, lo faremo per far rispettare i nostri diritti». La pensa così anche Doğan Ergün, vicepresidente del Tip, il Partito dei Lavoratori: «Se nello stesso quartiere vivono due ragazzi, uno legato all’Akp e l’altro all’opposizione, uno troverà lavoro, l’altro no. Per questo il 14 maggio è uno snodo cruciale tra autoritarismo e democrazia, tra nepotismo e normalità».

 

Fra una settimana si vedrà se i turchi faranno un salto nel buio, affidando il governo a una coalizione a rischio instabilità, o se preferiranno proseguire sulla via della continuità. Negli anni il presidente in carica ha saputo incarnare lo «spirito della nazione, elaborando una dottrina fondata sul neopatrimonialismo come sistema economico, sul populismo come strategia politica e sull’islamismo come ideologia», come scrive la professoressa Valentina Rita Scotti nel libro “La Turchia di Erdoğan”. La gestione del terremoto di febbraio e l’economia, però, questa volta potrebbero fargli perdere parecchi consensi. L’inflazione nel Paese è ancora altissima - i dati ufficiali dicono sia sopra al 50%, ma potrebbe essere anche di più - e la moneta è in caduta libera. Dieci anni fa un euro si scambiava con tre lire turche, oggi con più di venti. «Fare la spesa è diventato difficilissimo», racconta un’amica che vive qui da parecchio tempo.

 

Simbolo dell’opposizione è diventata la cipolla. «Oggi costa trenta lire (un euro e mezzo) - ha detto Kılıçdaroğlu in un video diffuso sui social -. Ma se Erdoğan resterà al potere arriverà a 100». L’ortaggio è rimasto pesante al presidente che, nonostante qualche problemino di salute, prosegue i suoi impegni elettorali. E quasi a volerci ricordare la sua forza, la gigantesca nave militare Tcg Anadolu, inaugurata appena un mese fa, rimarrà ancora per un po’ ormeggiata lungo le sponde del Bosforo, confine naturale tra la parte asiatica e quella europea di Istanbul. «In questo modo vuole mostrare a tutti, cittadini e visitatori, la grande potenza che ha costruito e che non intende mollare», dice un funzionario che preferisce rimanere anonimo.

 

Grandezza che Erdoğan fa valere in politica estera: uno dei pochi intermediari di Vladimir Putin, attore privilegiato in Africa, leader imprescindibile della Nato. Insomma una potenza regionale che pesa sullo scenario globale. «Al prezzo, però, di aver lasciato gran parte del potere nelle mani di una persona sola al comando», racconta ancora Doğan Ergün, che non nasconde la preoccupazione per «le prossime mosse» del presidente qualora dovesse perdere le elezioni. Come a Istanbul nel 2019.

 

Per questo l’İstanbul Barosu, l’Ordine degli avvocati della città, ha creato una Commissione di Lavoro per la Sicurezza Elettorale. «I nostri colleghi saranno nei seggi per controllare che tutto vada bene. In caso di criticità, segnaleremo alla commissione che potrà intervenire», spiega l’avvocato Süreyya Turan, la responsabile del progetto. Che alla nostra domanda se sia necessario ride, preferendo non rispondere.