Il fotografo è morto il 13 marzo nella regione di Kiev, dove stava lavorando usando il suo drone. Ora un’indagine di Reporter senza frontiere prova a fare luce sull’accaduto

Due spari a sangue freddo, mentre cercava la sua macchina fotografica. È morto così Maks Levin, 40 anni, il fotoreporter ucraino scomparso il 13 marzo e ritrovato cadavere lo scorso primo aprile, in una foresta poco distante da Kiev. Si era spinto lì accompagnato da un suo amico, il soldato Oleksiy Chernyshov, per cercare il drone che aveva perso qualche giorno prima. I due non troveranno quello ma la morte. Ora, un’indagine sul campo del fotografo di guerra Patrick Chauvel e dal Capo dell’unità di indagine di Reporter senza frontiere, Arnaud Froger, prova a fare luce sull’accaduto. Sollevando il sospetto che le due vittime sarebbero anche state torturate.

 

Levin lavorava in prima linea, a fianco dell’esercito ucraino per raccontare l’assedio russo a Kiev, documentandolo con il suo drone. Le immagini che raccoglieva erano anche servite all’esercito per individuare le posizioni russe e forse anche per questo motivo il 13 marzo si è spinto di nuovo nella foresta vicina al villaggio di Huta-Mezhyhirs'ka, dove tre giorni prima di essere ucciso aveva perso il suo fedele strumento di lavoro.

 

È il 10 marzo quando insieme a Chernyshov e a un altro soldato si reca in questa parte di territorio incastonata tra due fiumi, Irpin a ovest e Dnipro a est, per fare delle foto. Levin fa partire il suo drone verso una zona occupata dai russi, ma questo si scarica e cade prima che il giornalista possa recuperarlo. Non appena attiva il gps per identificare dove sia, i tre vengono raggiunti dagli spari. Fuggono, senza aver recuperato il drone. Così, tre giorni dopo Levin e l’amico tornano a cercarlo. È il 13 marzo, il giorno della scomparsa. L’ultimo segnale di vita del fotogiornalista è alle 11:23, un messaggio alla sua ragazza. Poi più nulla.

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Le ricerche iniziano a rilento perché la zona in cui si perdono le tracce dei due è diventata terreno di combattimento ed è inavvicinabile per quasi tre settimane. Il primo aprile vengono identificati l’auto di Levin, il suo cadavere e quello del soldato suo amico, in parte bruciato. «Dalle foto è possibile vedere che il corpo del giornalista, disteso sulla schiena, presenta tre fori di proiettile, uno sul busto e due sulla testa. Quello di Oleksiy Chernyshov giace a faccia in giù accanto al veicolo sul lato con la portiera aperta. All'interno dell'abitacolo sono stati trovati due proiettili. Uno di piccolo calibro, tipico dei Kalashnikov usati dall'esercito russo; l'altro di calibro maggiore, attribuito alle forze speciali russe da una fonte militare esperta», spiega Rsf. Che conferma la presenza dei russi nella zona anche per via di alcuni oggetti ritrovati nelle vicinanze: involucri di cibo, posate di plastica, pacchetti di sigarette, un elenco di istruzioni per l'uso di razzi. «Le immagini e i reperti della scena del crimine indicano che i due uomini sono stati probabilmente giustiziati a freddo o addirittura torturati in precedenza. Ci sono indicazioni che il corpo di Oleksiy Chernyshov possa essere stato bruciato vivo, un sospetto alimentato in particolare dalla posizione in cui è stato trovato», dice l’Ong. Mentre le fotografie del cadavere di Levin e il ritrovamento di un proiettile conficcato nel terreno nel punto esatto in cui è stato rinvenuto il cadavere «indicherebbero che è stato colpito da uno o addirittura due proiettili sparati a distanza ravvicinata mentre era già a terra».

 

L’Ong avanza due ipotesi. Secondo la prima Levin e Chernyshov sarebbero stati colpiti perché entrati in una zona controllata dalle forze russe, senza accorgersi che queste erano nascoste in alcune trincee. Così, mente Levin ignaro scende dalla sua auto e inizia a cercare il drone e Chernyshov lo aspetta alla macchina, i russi si avvicinano. Notano la fascia blu al braccio del giornalista, segno di amicizia verso le truppe ucraine e accessorio necessario per i giornalisti che, come Levin, lavorano sul fronte a fianco dell’esercito di Kiev. Gli sparano, al volto e al busto. E colpiscono Chernyshov alla testa. I due sono a terra, Levin potrebbe essere ancora vivo. Gli sparano altre due volte e gli rubano telefono e documenti. Prima di allontanarsi bruciano sommariamente il veicolo e il corpo di Chernyshov. A Levin non tocca la stessa sorte, forse perché la benzina non basta o perché sentono avvicinarsi i soldati ucraini, richiamati dagli spari nel bosco. Nella seconda versione che spiegherebbe l’accaduto, Rsf ipotizza invece un’esecuzione dopo un interrogatorio. I russi bloccano la macchina, disarmano Chernyshov, salgono a bordo e li costringono ad addentrarsi nella boscaglia. Interrogano poi i due separatamente, probabilmente chiedono informazioni sulle posizioni ucraine vicine. Cercano di indurli a parlare sparando contro il veicolo. Poi il soldato viene cosparso di benzina, minacciato e bruciato vivo. Levin invece viene colpito dai proiettili.

 

Che l’intera zona fosse controllata dai russi è confermato anche da alcuni abitanti di Moshchun, un piccolo villaggio nelle vicinanze. A Rsf i pochi rimasti hanno raccontato che le loro case fungevano da scudi civili per impedire all’esercito ucraino di fare fuoco. Secondo l’Ong, ad aver sparato al giornalista e al suo amico potrebbero essere stati i paracadutisti della 106ª Divisione aviotrasportata della Guardia russa. O i soldati "Buryat", di origine mongola. Gli stessi sospettati di aver compiuto i crimini di Bucha.

 

Per aiutare le indagini condotte dalle autorità ucraine, Rsf ha condiviso con gli investigatori le informazioni ottenute durante la sua missione e ha consegnato le prove raccolte sul campo, tra cui diversi proiettili, i documenti di identità di Oleksiy Chernyshov e le tracce dei russi nelle trincee vicine. «Contiamo anche sul ministero della Difesa ucraino e sui servizi di intelligence per fornire informazioni sulla presenza di soldati russi in questa foresta e nel villaggio di Moshchun nel mese di marzo. Perché se i colpevoli verranno arrestati, è essenziale che vengano identificati rapidamente, ascoltati e chiamati a rispondere dei loro omicidi». È essenziale per Mask, per Chernyshov e per tutte le vittime di questa guerra.