Le milizie private costano meno allo Stato perché agiscono come società commerciali. Solo in Ucraina ce ne sono una trentina, fanno capo a oligarchi, colossi economici, perfino alla Chiesa Ortodossa

«Le armi mercenarie sono inutili e pericolose: non hanno altra ragione che un poco di stipendio, non sufficiente perché vogliano morire per te. E possono ritorcersi contro chi le ha assoldate: se la milizia privata funziona, prima o poi vorrà il potere, se non funziona perdi la guerra». Così scriveva Niccolò Machiavelli in “Dell’arte della guerra”, anno 1519. Mai tanta saggezza fu così inascoltata.

 

Da Bonifacio Lupi, che combatté per Firenze contro Pisa e per Padova contro Venezia nel ’300, fino ad Evgeny Prigozhin, il capitano di ventura, oggi contractor, è una figura centrale. Se la Wagner va in disgrazia, sbucano altre compagnie: secondo il think-tank Start Insight, in Ucraina operano trenta gruppi armati russi. Altri sono in Siria, Iraq, Africa: 34 Paesi, non meno di 100mila uomini. «Un’armata privata espone a rischi ma permette di disporre di una forza rapida, libera da vincoli di convenzioni internazionali, utilizzabile per le operazioni più sporche e inconfessabili», spiega Stefano Silvestri, già sottosegretario alla Difesa, consulente dell’Istituto Affari Internazionali. «Senza contare valutazioni ancora più ciniche», aggiunge Laura Mirakian, già capo missione a Belgrado durante le guerre balcaniche e ambasciatrice in Siria. «Se qualcuno accusa il Paese di provenienza di aver superato il limite, questo dice di non saperne niente perché la compagnia non risponde al governo. Perfino il numero dei morti non è computabile nel macabro carico di vittime militari di un conflitto».

 

In Russia è il momento di nomi apparentemente innocui come Patriot e Enot (“procione”), aggressivi come Lupi dello Zar, magniloquenti come Forza imperiale, ermetici come Rsb o Centro R. Sempre nel report di Start Insight (l’ha pubblicato l’analista Andrea Molle su Formiche, rivista vicina ad ambienti della Difesa), si scopre che perfino la Chiesa Ortodossa possiede una milizia, la Andreyevsky Krest, e ovviamente i ceceni con la Akhmat Private Military Company. «Malgrado il divieto ufficiale - spiega Silvestri - le milizie sono coordinate da un comitato presso l’Fsb, il servizio segreto militare». I contractor costano meno allo Stato perché agiscono come società commerciali, con bilancio e entrate propri come i diritti di sfruttamento minerario nei Paesi centraficani o petroliferi in Libia. Riscuotono i pagamenti per i servizi di sicurezza (o altro) dai governi, salatissimi in zone ad alto rischio come Somalia, Iraq, Yemen, Sudan.

 

Le milizie la fanno da padrone pur senza una presenza ufficiale di Mosca. Fanno capo a oligarchi come il Centro R di Oleg Deripaska e la stessa Wagner, o a gruppi petroliferi: Gazprom, Tatneft, Stroytransgaz, Zarubezhneft, Rosneft. «Non si limitano alla protezione dei campi ma conducono incursioni in territori nemici o presunti tali: è una degenerazione delle agenzie di guardie giurate che proteggono i pozzi», spiega Silvestri. La Bbc ha documentato che le più attive in Ucraina sono tre compagnie che erano nate per difendere i giacimenti Gazprom in Siria per finire col combattere a fianco di Bashar al Assad contro l’Isis: Fakel, Potok e Redunt. Così intraprendenti da finire in contrasto con Prigozhin fino a contribuire alla sua crisi di nervi. La Wagner, oltre ai proventi diretti, riceve da Mosca un miliardo di dollari l’anno (più 920 milioni per il catering alle forze russe): i concorrenti reclamano una fetta di profitti.

 

Non è solo una storia russa. Identiche ragioni economiche e strategiche muovono le milizie private americane. In Afghanistan e Iraq il numero dei contractor ha eguagliato i soldati regolari, anche quanto a vittime: il Watson institute for international and public affairs documenta che dall’ottobre del 2001 a oggi 7.071 contractor sono morti nei due Paesi contro 6.860 perdite regolari. Le compagnie sono sostenute da Washington (tremila i contratti conclusi per singole operazioni) nonché dall’autofinanziamento e perfino dal crowdfunding. La più famosa è Blackwater, fondata nel 1997 da Erik Prince, miliardario e fanatico delle armi, che incorse in un tragico passo falso il 16 settembre 2007 quando una pattuglia aprì il fuoco sui passanti in Nisoun Square a Bagdad: i morti furono 17. Un’ondata di indignazione attraversò l’America, e quando Barack Obama subentrò a George W. Bush si aprì il processo contro cinque agenti di Blackwater. Trenta iracheni andarono a testimoniare a loro spese a Washington, uno svenne in aula mentre raccontava la morte del figlio di nove anni quella maledetta mattina. Nell’ottobre 2014 il capo pattuglia Nicholas Slatten fu condannato all’ergastolo, altri tre a 30 anni, il quinto negoziò separatamente. Ma Donald Trump nel 2020 concesse loro la grazia, come Richard Nixon con William Calley per il massacro di My Lai in cui morirono 500 vietnamiti.

 

Ma l’immagine di Blackwater era compromessa. Il Congresso e perfino la Cia ne ridussero il ruolo. Il gruppo, i cui uomini guadagnavano fino a 2500 dollari al giorno, cambiò nome in Xe Services nel 2009, poi in Academy nel 2011 quando fu rilevato da altri investitori, quindi confluì nella Triple Canopy e infine in Constellis Holding. Il fondatore Prince, uscito di scena solo nel 2021, cercò il riscatto forte dell’amicizia con Trump di cui finanzia le campagne, proprio nell’Ucraina già provata dall’occupazione del Donbass: provò nel 2018 a creare un consorzio militar-industriale con una fabbrica di aerei da guerra vicino a Kiev che gli avrebbe fruttato contratti per 10 miliardi, ricostruì Time in un’inchiesta che vinse il premio Pulitzer. «Il progetto più ambizioso della sua carriera», scrisse il settimanale. Fallì per le perplessità ucraine ma soprattutto per la sconfitta di Trump nel 2020.

 

Gli eredi di Blackwater mantengono un complesso di addestramento in North Carolina, così come in Florida c’è la Critical intervention services, in Indiana la Global solutions, in California la Elite security corps, in Oregon la Special tactics & operations, e così via in un lungo elenco di nomi inquietanti. Il giro d’affari, calcola lo stesso Pentagono, sfiora i 250 miliardi l’anno.

 

Società di contractor esistono poi in Gran Bretagna, dove nacque la prima nel 1962 ad opera dei reduci delle gloriose squadre navali che avevano sconfitto il Terzo Reich. Le principali sono Aegis Defence Services, Control risks group, Securiforce. Ci sono poi compagnie in Canada, Sudafrica e Israele.

 

In Italia fortunatamente è tutto vietato in virtù della riforma del codice penale del 1995. La creazione di società armate private nonché la partenza da mercenario, sono reati gravissimi: «Chi compie atti ostili contro uno Stato estero in modo da esporre l’Italia al pericolo di un conflitto - recita il codice - è punito con la reclusione da 6 a 18 anni; se la guerra avviene è punito con l’ergastolo». Più chiara di così, per una volta, la legge italiana non poteva essere.

 

Le guerre privatizzate non si combattono solo sul terreno ma anche nel web. Nel quartiere Primorskij di San Pietroburgo, vicino alla sede della Wagner, c’è la “fabbrica dei troll” più famosa al mondo, la Teka. Al primo piano la sezione social, al secondo i blogger, al terzo i commentatori. Decine di giovani programmatori sfornano notizie false, allusive, provocatorie, diffamatorie, e le diffondono per il pianeta. Collegati in un canale Telegram che si chiama non a caso Killnet, muovono attacchi dimostrativi, destabilizzanti, ricattatòri. «Non è l’unica, sono centinaia le organizzazioni coperte», dice il generale Umberto Rapetto che fondò il Nucleo Speciale Frodi Telematiche della Guardia di Finanza. «Operano in ogni Paese al soldo di governi, aziende, imprecisati interessi, chiunque garantisca un buon pagamento». Il giro d’affari supera i 100 miliardi l’anno. «Bisogna imparare a difendersi prima di essere attaccati: gestire correttamente le password, fare gli aggiornamenti, avere un solido backup sono le basi della prevenzione», spiega Nunzia Ciardi, già a capo della Polizia Postale, vicedirettrice dell’Agenzia nazionale per la cybersicurezza. «Il guaio è che anche se paghiamo il riscatto i nostri dati restano alla mercé dei pirati. Ora che cresce il ruolo dell’intelligenza artificiale, gli attacchi sono ancora più subdoli ma anche le difese possono essere più efficaci». Un nuovo capitolo nella storia dei contractor.