Parla uno dei maggiori leader dell’opposizione russa sopravvissuto a due tentativi di omicidio: “Qui repressioni da regime sovietico. Putin va bloccato”

È sopravvissuto a due tentativi di avvelenamento Vladimir Kara-Murza, uno dei maggiori leader dell’opposizione democratica in Russia e presidente della Fondazione Boris Nemtsov per la libertà. Una laurea in storia all’Università di Cambridge e un passato da giornalista, Vladimir Kara-Murza ha deciso di restare a Mosca, nonostante rischi la vita, con lontano la sua famiglia che per ragioni di sicurezza non vive in Russia. E di combattere il regime di Putin.

Parla a L’Espresso collegato da Mosca.

Vladimir Putin ha firmato una nuova legge che impedisce agli “estremisti” di concorrere per cariche pubbliche. Chi sono gli “estremisti”?
“La legge vuole colpire l'opposizione, la parola “estremista” nel vocabolario del Cremlino indica, infatti, chiunque si opponga a Vladimir Putin e al suo sistema di potere corrotto, autoritario e cleptocratico. Imbavagliare, intimidire, imprigionare o uccidere gli oppositori: questo è il modo in cui Putin ha mantenuto il suo dominio politico”.

La legge, dunque, vuole non solo impedire ai sostenitori di Alexei Navalny di candidarsi alle prossime elezioni parlamentari del 19 settembre ma fa parte di una più ampia campagna di repressione?
“Si vuole tenere lontano dalle elezioni come candidato chiunque osi opporsi a Putin. La legge colpisce in modo totalmente arbitrario tutti, non solo chi è alla guida di un’organizzazione considerata “estremista” ma chiunque abbia fatto una donazione economica o sostenuto pubblicamente uno di questi gruppi o una loro singola iniziativa, chiunque abbia partecipato a una manifestazione a sostegno di Navalny. Ci sono stati ultimamente anche due arresti, quello dell’ex leader della Ong Open Russia Andrej Pivovarov, che si trova ancora in un centro di custodia cautelare, e quello di Dimitry Gudkov, ex deputato dell’opposizione democratica, costretto a lasciare la Russia. È andato in Ucraina, come lui stesso ha dichiarato, perché hanno ricattato lui e la sua famiglia. Ci sono, quindi, due candidati di alto profilo in meno dell’opposizione alle prossime elezioni”.

L’intensificazione degli atti repressivi è il segnale di un’insicurezza di Putin?
“Il regime si sente insicuro e debole, sa che non può più vincere, nonostante controlli tutto, dai media al sistema politico e amministrativo, e tenga lontano i veri oppositori dalle elezioni. Il problema crescente per Putin è che tanti russi, soprattutto giovani, sono stufi non solo di un sistema arretrato e autoritario, che non dà speranza e prospettive, ma anche di vedere la stessa faccia da venti anni. Secondo gli ultimi sondaggi del centro demoscopico Levada Center, l’ultimo più o meno indipendente in Russia, il partito Russia Unita di Putin è sceso al 27% a livello nazionale e al 15% a Mosca, la capitale. Il regime è nel panico, disperato. I russi sono pronti a votare chiunque non sia il candidato sostenuto dal Cremlino. Si vedrà, nonostante tutte queste repressioni, in modo spettacolare il 19 settembre alle elezioni parlamentari nazionali”.

La Russia è vicina a una rivoluzione democratica?
“Il mio dovere è lavorare perché sia sempre più vicino il giorno in cui la Russia diventerà, come ha detto Navalny, “un normale paese europeo”. E non ho dubbi che succederà. Milioni di persone nel mio paese lo vogliono. La storia ci insegna che il grande cambiamento politico arriva in Russia inaspettatamente: nel 1991 il regime sovietico è collassato in tre giorni”.

Lei ha subito due attentati, nel 2015 e nel 2017. L’inchiesta dalla piattaforma di ricerca indipendente Bellingcat ha scoperto che dietro c’è il Servizio federale di sicurezza russo.
“Questa indagine è riuscita a identificare chi mi ha avvelenato, sono quattro ufficiali del Servizio federale di sicurezza russo (Fsb). Hanno monitorato i loro movimenti e scoperto che mi hanno pedinato prima di attentare alla mia vita. Entrambe le volte c’è voluto circa un anno per riprendermi, sono stato in coma, per i medici avevo il 5% delle possibilità di sopravvivere. Era chiaro fin dall’inizio: non volevano spaventarmi, ma uccidermi perché per oltre dieci anni ho lavorato alla stesura della legge “Magnitsky” che impone sanzioni mirate sotto forma di divieti di visto e congelamento dei beni per quegli alti funzionari del regime russo che rubano i soldi in Russia per andare a spenderli in Occidente”.

Quali sono le condizioni di salute di Navalny?
“Alexei Navalny sta soffrendo gli effetti che durano a lungo dell’avvelenamento avvenuto l’anno scorso con un agente chimico, per mano, come nel mio caso, di ufficiali dell’Fsb. Il fatto che in prigione le autorità gli abbiano negato le cure mediche riecheggia alcune delle peggiori fasi del Gulag sovietico, quando i prigionieri politici venivano condotti così alla morte, con una tortura lenta e dolorosa. Per chiedere vere cure mediche ha fatto uno sciopero della fame e a fine aprile gli sono state concesse grazie alle grandi proteste interne e alla pressione internazionale. Il punto è che Navalny non dovrebbe essere in prigione: è ancora illegalmente, ingiustamente, per motivi politici, incarcerato dal regime del Cremlino. Non è colpevole di nulla se non di essere un avversario politico di Putin, che sta violando non solo la legislazione russa, ma anche gli impegni internazionali assunti dalla Russia come Stato membro del Consiglio d'Europa, che ha aderito alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Navalny, va ricordato, è solo uno dei quasi 400 prigionieri politici oggi in Russia, in carcere per aver osato intralciare il cammino di Putin”.


Quanto è importante che il coraggio di Navalny sia riconosciuto a livello internazionale anche con il premio conferitogli dal Geneva Summit for Human Rights?

“L'attenzione internazionale è, a volte, l'unica difesa per chi è perseguitato da regimi autoritari. Ne sono una testimonianza vivente. Navalny è oggi il più importante, potente, efficace oppositore politico di Putin, che ne ha grande paura. Un riconoscimento meritato, di cui sono grato, al suo coraggio che è molto importante anche per tutti gli altri prigionieri politici in Russia”.

È lontano dalla famiglia, rischia la vita. Cosa la fa andare avanti, restare in Russia?

“Ci tengo al mio paese, non merita questo regime autoritario. Il modo più efficace per mettere a tacere gli oppositori resta l'esilio perché così un politico perde il senso della realtà e, soprattutto, l'autorità morale. Non ho avuto mai dubbi che sarei rimasto in Russia. E che Navalny avrebbe fatto lo stesso. Arrenderci e scappare sarebbe il regalo più grande per il Cremlino, è quello che vuole. Non lo faremo mai”.