Perquisizioni negli uffici del social network a New Delhi per uno “sgarro” a un esponente del governo. Mosca che lancia un ultimatum al motore di ricerca affinché rimuova contenuti politicamente scomodi. Sono solo gli ultimi casi dello scontro tra big tech e governi nazionali

Governi nazionali da una parte e giganti tecnologici dall’altra: un contrasto che negli ultimi mesi è diventato sempre più frequente. Tema dello scontro, almeno in questo caso, è la circolazione di informazioni: “Contenuti che incitano all’odio” secondo i primi, notizie scomode per i governi locali e quindi da tutelare per i secondi.

 

L’India contro Twitter

Nella giornata di lunedì 24 maggio, la polizia indiana ha fatto irruzione nelle sedi di Twitter a New Delhi e Gurgaon alla ricerca di informazioni e chiarimenti sul perché tra i filtri del social sia rimasto “incastrato” un post di Sambit Patra, portavoce del partito governativo “Bharatiya Janata Party” (Bjp). Patra il 18 maggio ha pubblicato una serie di documenti, secondo lui divulgati dal partito rivale “Congresso”, pieni di consigli che invitavano a sfruttare il momento della pandemia per distruggere il consenso e la figura del premier Narendra Modi. Piccoli trucchi per mettere in cattiva luce il primo ministro: dall’uso di drammatiche foto di pire e funerali, all’utilizzo di risorse create sui social per far emergere la malagestione del virus da parte di Modi. Per il Congresso, e soprattutto per Twitter, la lista era stata alterata e per questo motivo sotto i post è stata aggiunta l’etichetta “media manipolato”, attirandosi lo sdegno dei governativi che hanno domandato a gran voce su quale base si poggiasse la scelta del social. Una perquisizione che è sembrata più un avvertimento simbolico che altro, anche se alcuni media hanno rivelato non ci fosse nessuno dipendente al momento dell’irruzione.

 

Ma le divergenze vanno avanti da mesi. Il Wall Street Journal, a marzo, ha segnalato come il governo indiano abbia minacciato di imprigionare gli impiegati di Facebook, WhatsApp e Twitter perché le società si rifiutavano di eliminare le immagini delle imponenti proteste attuate dagli agricoltori nel paese. Solamente poche settimane fa, invece, la società di San Francisco aveva accettato di cancellare più di 50 tweet, molti dei quali pubblicati da esponenti dell’opposizione, in cui veniva individuato Modi come responsabile diretto del tremendo aumento dei contagi in India. La richiesta era arrivata dallo stesso governo in base a una legge del 2000, l’Information Technology Act, che di fatto consente di arginare la diffusione di materiale che inciti alla violenza. Per questo molti tweet sono stati eliminati e alcuni oscurati nel paese, rimanenco visibili all’estero. In quel caso Twitter aveva acconsentito, ma adesso che il social si è ritorto contro il governo è scattata la reazione.

 

La Russia contro Google

Tuttavia in queste ore New Delhi non è l’unica ad aver avuto contrasti con una delle società tecnologiche americane. Sempre lunedì, Mosca ha dato una sorta di ultimatum di 24 ore a Google per rimuovere dei contenuti vietati in Russia. La lista e i criteri non sono così definiti, ma includono materiali che secondo il Roskomnadzor (il Servizio federale per la supervisione nella sfera della connessione e comunicazione di massa) alimentano la pornografia infantile, l’uso di droghe o coinvolgono giovani in proteste non autorizzate ed estremiste. Quest’ultimo “pericolo” si collega alle manifestazioni andate in scena gli scorsi mesi per chiedere la liberazione di Alexei Navalny, l’oppositore russo chiuso nelle carceri russe. Per l’organo federale sarebbero migliaia i contenuti incriminati che Google dovrebbe eliminare. Se non lo farà, il Cremlino è pronto a rallentare i servizi della piattaforma in tutta la Russia.

 

Una contromossa già attuata di recente proprio contro Twitter dopo una contesa dalle motivazioni identiche. In un comunicato ufficiale il Roskomnadzor ha dichiarato di non averlo bloccato, ma di averne solamente rallentato il traffico perché il social avrebbe cancellato gran parte (il 91%) dei post chiesti da Mosca. Anche in questo caso, sarebbero stati migliaia i contenuti illeciti secondo la Russia. I rapporti tra il paese di Vladimir Putin e le società americane sono tesi già da tempo e non di rado avvengono episodi simili. YouTube (sempre di Google) ha per esempio bloccato account e video collegati a RT, un network televisivo controllato dal governo russo, perché avrebbero pubblicato informazioni false sul Covid-19. 

 

La lista delle dispute tra le big tech e gli Stati nazionali continua ad allungarsi, senza dimenticare il più celebre ban di Donald Trump da molte piattaforme. Battaglie legali, guerre più o meno piccole, portate avanti a colpi di rimozioni e avvisi che si inseriscono in dinamiche molto più ampie, nelle relazione tra paesi o nella repressione del dissenso interno. Con l’incognita (non da poco) dell’incredibile potere assunto recentemente dalle big tech in tema di controllo e veicolazione dei contenuti.