La stampa e le istituzioni tedesche sono divise tra chi crede che il nuovo premier rimetterà l’Italia sui binari giusti e chi non si fida e non dimentica le scelte sgradite della Bce

Prima immagine: Angela Merkel alla destra di Mario Draghi, sorridenti come due compagni di classe alla prima gita scolastica dell’anno. È la foto scelta per il messaggio di auguri della cancelliera al nuovo premier italiano, per dire dell’evidente contentezza di Berlino per il cambio d’inquilino a Palazzo Chigi, un’istantanea tesa a raccontarci una storia di complicità.

 

Seconda immagine: l’allora presidente della Banca centrale europea vestito da “Conte Draghila” con tanto di denti aguzzi da vampiro in un fotomontaggio della Bild, il quotidiano più letto della Germania, che lo accusava di «svuotare i conti correnti» dei tedeschi. C’è da aggiungere che quel titolo del ruvido tabloid era corredato di un’intervista autorevolissima, quella al presidente della Bundesbank Jens Weidmann, secondo il quale con i suoi bazooka in politica monetaria espansiva - vedi alla voce Quantitative Easing, stimoli espansivi e tassi in calo - il capo della Bce aveva «superato il limite».

 


Mario Draghi è una splendida cartina di tornasole per interpretare i rapporti paradossali e contraddittori tra Germania e Italia. Neanche un anno e mezzo separano il “Draghi-Nosferatu” della Bild con furente Weidmann annesso (era il settembre del 2019) dal tweet d’augurio merkeliano, al quale si è aggiunta tra le altre l’entusiastica dichiarazione del ministro alle Finanze Olaf Scholz, secondo il quale «in Italia si è formato ancora una volta un governo europeista, ed è un segnale molto, molto positivo, mentre il nome Draghi, «un uomo con tante ottime connessioni internazionali», è sinonimo di «politica intelligente».

 

Come dice all’Espresso anche Clemens Fuest, il presidente dell’autorevole centro di studi economici Ifo: «Molti in Germania sono ansiosi di vedere quale corso prenderà il governo Draghi. Le aspettative sono alte».


Tutto fantastico, allora? Nient’affatto. Gli applausi di oggi non significano certo che le diffidenze di ieri siano acqua passata. Di fronte ad un’Italia che comunque rimane too big to fail e alla quale l’Europa si appresta ad affidare gli inauditi 209 miliardi del Recovery Fund, la Germania sembra non riuscire a decidersi se dopo una crisi di governo giudicata “incomprensibile” prevalga il sospiro di sollievo dinnanzi al tecnocrate di accertato livello internazionale, oppure la diffidenza verso l’uomo che ai vertici dell’Eurotower sfidò apertamente il dogma rigorista del Nord Europa: a Berlino e a Francoforte si sprecano i commenti che avvertono di non cedere alla tentazione di considerare il nuovo premier «il Messia Draghi», come titola Handelsblatt, benché «un governo del buonsenso economico rappresenti forse l’ultima speranza, non solo per l’Italia, ma anche per l’Europa».

 


Nondimeno, incalza la bibbia dei giornali economici tedeschi, «SuperMario deve salvare l’Italia, e già questo implica una certa ironia: si tratta proprio di quell’uomo la cui fantasia per sviluppare nuovi strumenti non conosceva confini, dal massiccio acquisto di titoli di Stato, volto a rendere sostenibile l’enorme peso debitorio dell’Europa del sud, alla politica a tasso zero che gravava sui risparmiatori e alleggeriva i debitori».

 

Si rituffa nella mischia anche la Bild, che non resiste alla tentazione di tirare di nuovo in ballo il “Conte Draghila” che «prende il potere a Roma» e che «insegnò il terrore a milioni di risparmiatori», i quali secondo il tabloid «hanno perso 120 milioni di euro durante il suo mandato». Motivo in più per «non aspettarsi miracoli» dal nuovo premier, aggiunge sulfurea la Frankfurter Allgemeine Zeitung, dato che «quindici ministri del suo esecutivo vengono da mezza dozzina di partiti, il cui unico denominatore comune è la voglia di governare».

 

Titoli e accenti di questi giorni, non di dieci anni fa. Mentre nei corridoi del potere berlinese non si lesinano pacche sulle spalle al visitatore italiano per il passaggio di consegne a Palazzo Chigi, è perlomeno plausibile che quelle espresse dai giornali conservatori siano idee ampiamente condivise nel mondo dei partiti Cdu/Csu, pezzo forte della Grosse Koalition. E forse non solo in quello.


È che certi riflessi condizionati sono duri da vincere. In pratica - per quanto lo spread sia in festa e molti ricordino le commosse parole con le quali Merkel salutò l’addio di Draghi alla Bce nonché le “molte telefonate” tra la cancelliera e il banchiere centrale a difesa dagli attacchi dei falchi in patria e fuori, e benché il «Whatever it takes» di Mario in mezzo alla tempesta perfetta dell’euro vada di pari passo con il «Wir schaffen das» di Angela durante la crisi dei migranti - è obiettivamente difficile per la Germania, il Paese che ha ancorato la stabilità finanche alla Costituzione, dissimulare le preoccupazioni dinnanzi alle convulsioni romane. Ce lo spiega bene uno dei più autorevoli editorialisti tedeschi, Thomas Schmid: «È abbastanza irrazionale il grande entusiasmo con il quale, in Italia e in Germania, è stato accolto l’arrivo di Draghi, visto come una sorta di guaritore miracoloso. Viene festeggiato perché non è un politico, ma un economista nonché ex banchiere centrale. Il messaggio è chiaro: i politici non sono in grado di fare il loro lavoro, ora tocca agli esperti».

 

 

L’ex direttore della Welt lo dice chiaro e tondo: se da una parte «è giusto» ritenere che la classe politica in Italia non sia stata capace di garantire la stabilità e di realizzare riforme durevoli, dall’altra «l’alternativa è un reggimento di esperti che assomiglia all’idea platonica dell’ideale uomo di Stato: ma la politica segue altre regole rispetto alla scienza o a quelle delle banche».


Schmid non indulge in complimenti, questo è chiaro. «Da capo della Bce Draghi ha dimostrato di perseguire i suoi obiettivi con astuzia e durezza. Ma per ora non ci sono indicazioni sul fatto che sia anche un politico capace, che sappia trovare maggioranze e compromessi. Ancora poco ci dice che l’aristocratico Mario Draghi sia effettivamente in grado di muoversi su questo terreno accidentato, dove non ha più a che vedere soltanto con i suoi simili».

 

Al tempo stesso nessuno pensa, a Berlino e dintorni, che Draghi non possa avviare le riforme in maniera “credibile”, per esempio investendo sulle infrastrutture e rimettendo in moto il mercato del lavoro. «Certamente gestirà i mezzi del Recovery Fund con maggiore autorità di quanto non potesse fare Giuseppe Conte», azzarda l’editorialista, che però ribadisce che a Berlino «non si dimentica con quanta radicalità si sia mosso da capo della Bce: rimarrà “europeo” nello svolgere il suo mandato, ma si può anche coltivare il sospetto che Draghi si impegnerà a garantire al proprio Paese una fetta possibilmente grande della torta europea, in caso di necessità anche a costo degli altri Paesi». Schmid ne è sicuro: «Il sistema Merkel a Berlino non lo percepirà come un taumaturgo».


Rilancia invece la palla in campo il numero uno dell’Ifo Clemens Fuest, invitando a guardare alla sostanza: «Lo stesso Draghi», ci spiega, «nel suo ruolo da presidente della Bce ha sempre insistito sul fatto che i Paesi membri non si devono affidare solo alle politiche monetarie, che servono solo a guadagnare tempo, ma non bastano: sono i governi nazionali a dover creare i presupposti per crescita e finanze stabili attraverso le riforme: esattamente quello che ora ci si aspetta dal nuovo premier italiano. Continuare con una crescita debole e il debito in aumento sarebbe una prospettiva pessima anche per la Germania. L’Italia è per noi un importante partner economico: maggiore crescita e benessere in Italia significano maggiore crescita e benessere anche per il resto dell’Europa».


A proposito d’Europa: in tutta questa storia c’è un convitato di pietra, ed è Angela Merkel. Ossia la sua uscita di scena: quello attuale è il suo ultimo mandato da cancelliera. Qualcuno pensa che a fronte della debolezza dei candidati che dovrebbero prenderne il posto, proprio Mario Draghi potrebbe rivelarsi il deus ex machina nelle dinamiche di un’Unione europea costretta a reinventarsi.


Una suggestione alla quale il presidente dell’Ifo risponde in modo pragmatico: il nuovo premier italiano «potrebbe assumere un ruolo di integrazione e modernizzazione», ma per quello che riguarda il futuro del Recovery Fund e la capacità di sopravvivenza della politica «è chiaro che non dipenderà tutto da Draghi, bensì anche dai partiti che lo sostengono, ovvero se e per quanto porteranno avanti il suo corso». Il posto che il nostro Paese potrà occupare nell’Ue ne sarà la coerente conseguenza.


È perlomeno «affrettato» tuffarsi in tali scenari, ribatte Schmid: «Le carte verranno tutte rimescolate, questo è vero, e sicuramente Draghi avrà un ruolo centrale, ma non il più importante. Io penso che sarebbe già molto di guadagnato se gli riuscirà di trascinare fuori l’Italia dalla zona di retrocessione europea. Per tanti anni si diceva “Francia più Germania più Italia uguale Unione europea”: oggi questa equazione non vale più, e neanche un Draghi in procedura urgente riuscirà a ricostruirla». Et voilà: SuperMario è servito. Forse i caldi sorrisi di Angela non basteranno a spianare la via del banchiere apostrofato come “Messia”.