Lukashenko aumenta la repressione e usa i migranti come mezzo di pressione contro l’Unione Europea. Ma dal basso continua la protesta con gesti dimostrativi, attacchi hacker e controinformazione. In attesa del giorno in cui il tiranno cadrà

«La Bielorussia è un campo di concentramento grande quanto un Paese intero». Il regime di Lukashenko è «come una forza di occupazione nemica, guidata da un uomo assetato di potere che dalla sua ha ormai solo la forza bruta». E i bielorussi «un popolo sotto assedio che però non è annientato: la resistenza continua ma è partigiana».

 

Uno scenario che rievoca tempi lontani in Europa, in un Paese che l’occupazione nazista l’ha vissuta sulla propria pelle. Eppure così racconta oggi la sua Bielorussia Ekaterina Ziuziuk, presidentessa dell’Associazione bielorussi in Italia, Supolka. È stata fondata nel giugno 2020, pochi giorni dopo l’arresto di Viktor Babaryko, il principale avversario di Alexander Lukashenko alle elezioni presidenziali che si sarebbero tenute il 9 agosto e avrebbero sancito l’inizio del sesto mandato consecutivo dal 1994 del dittatore più longevo d’Europa. La sua vittoria sproporzionata, con l’80 percento dei voti contro Svetlana Tikhanovskaya, non ha convinto nessuno. Così il popolo bielorusso si è riversato nelle piazze di Minsk, protestando pacificamente, denunciando brogli e chiedendo nuove elezioni. «Un anno fa la vittoria era vicina», dice Ekaterina. «Avevamo l’attenzione della comunità internazionale, c’erano i mezzi e Lukashenko aveva davvero paura di una rivolta. I bielorussi però non volevano violenze, senza sapere che invece poi le avrebbero subite».

 

All’indomani delle elezioni iniziavano gli arresti di massa e le torture nel carcere degli orrori di via Akrestsin nella capitale. Le urla dei prigionieri e il rumore dei manganelli si sentono nei video girati a poche centinaia di metri dall’edificio. Eppure progressivamente l’interesse internazionale si affievoliva, mentre il regime aveva appena iniziato a oliare gli ingranaggi della macchina della repressione.

 

Da allora secondo le Nazioni Unite sono state arrestate più di 35mila persone. Viasna, la principale organizzazione per i diritti umani bielorussa, riporta che al 4 novembre 2021 sarebbero almeno 836 i prigionieri politici. Anche Ales Bialiatski, presidente della stessa associazione, è in carcere da tre mesi, insieme ad altri volontari, e il 6 ottobre è stato condannato a 7 anni di detenzione, come parte di una più ampia campagna di "epurazione" della società civile: le autorità bielorusse hanno chiuso almeno 275 organizzazioni non governative.

 

«Basta poco, dire ad alta voce “Viva la Bielorussia”, o avere un braccialetto o un adesivo bianco e rosso, i colori della bandiera nazionale prima del 1995 divenuta simbolo della resistenza, per essere accusato di reato di manifestazione non autorizzata: da 10 a 15 giorni di reclusione. E ora è stato introdotto il reato di estremismo». Già annientata la libertà di riunione e di associazione, oggi il regime si concentra su quella di espressione. Chi è responsabile di un canale Telegram, ma anche chi quei canali li frequenta soltanto, rischia l’arresto per diffusione di informazioni pericolose per la pubblica sicurezza. Proprio per questo Siarhei Krupenich e Anastasiya Krupenich-Kandnatsiyeva, marito e moglie poco più che trentenni, da giugno entrano ed escono dal carcere: 8 condanne consecutive per essersi scambiati su Telegram messaggi “estremisti”. Il 4 novembre Anastasiya è stata nuovamente arrestata, ancor prima di lasciare la struttura penitenziaria. E tra il 29 settembre e il 1 ottobre oltre 100 persone sono finite in carcere per aver commentato o condiviso post sulle morti, durante una perquisizione, dell’informatico Andrei Zeltser e dell’ufficiale del KGB Dzmitry Fedasiuk.

 

Ora la gente ha paura di manifestare. Teme le camionette scure che girano per le strade, cariche di agenti a volto coperto che possono fare irruzione in casa o arrestare chiunque in qualsiasi momento. Le torture documentate sono oltre 4mila. Per questo il 1 novembre l’ ECCHR – Centro europeo per i diritti costituzionali e umani - e l’OMCT - Organizzazione mondiale contro la tortura - hanno presentato in Germania una denuncia contro 6 alti funzionari bielorussi accusati di crimini contro l’umanità. Secondo Ekaterina i casi di tortura sarebbero molti di più: «Chi dopo il carcere veniva ricoverato in ospedale ha iniziato a ricevere visite notturne e a essere minacciato, così le denunce sono diminuite».

 

Finito il tempo delle manifestazioni di massa ora la resistenza prosegue sotterranea e si articola in una moltitudine di canali diversi: «Non c’è una struttura, sarebbe pericoloso» spiega Ekaterina, «La resistenza è come un insieme di gruppi di lavoro con un obiettivo comune ma strade e mezzi diversi per raggiungerlo». Associazioni della diaspora, come Supolka si occupano di divulgare informazione. Altre, come Bysol, nata durante la prima ondata del covid per aiutare gli ospedali mentre Lukashenko suggeriva di bere vodka contro il virus, offrono supporto sociale e finanziario alle migliaia di esuli.

 

Anche Yuliya Yukhno Tarasevich, ex modella trentenne, oggi è un’attivista e gira l’Italia come testimone. Il 23 luglio è stata arrestata per la seconda volta, dopo essere stata prelevata dalla sua casa all’alba. È stata costretta a fuggire dal Paese, dopo 15 giorni trascorsi in celle sovraffollate, dormendo sul pavimento, senza doccia, né “passeggiata”, né biancheria. Oggi racconta le «torture psicologiche fatte per umiliarci». E spiega: «Non so quando potrò tornare, ma so di essere più utile fuori dalla Bielorussia ora».

 

Tra le fila di chi resiste c’è anche l’Unione dei lavoratori bielorussi, che il 1 novembre ha lanciato uno sciopero nazionale, chiaramente culminato in una serie di arresti. E poi gruppi di sabotaggio anonimi.

 

«Siamo come partigiani», commenta Ekaterina «si passa da piccoli gesti, come issare la bandiera bianco rossa in punti non raggiungibili o attaccare stickers con i simboli e i colori della rivolta».

 

Partigiano si definisce anche il volto online della resistenza, i “Belarus Cyber Partisans” (o C-Partisans). Un gruppo di esperti di tecnologia e sicurezza informatica, che ormai da un anno viola le reti governative per esfiltrare e pubblicare informazioni e documenti, sabotare operazioni di sorveglianza e smascherare i crimini della polizia e del regime. Gli hacker negli ultimi mesi hanno rilasciato, sul loro canale Telegram che conta più di 73mila iscritti, diverse presunte intercettazioni di alti funzionari del governo. L’ultima, il 3 novembre, riguarda Nicolai Maksimovic, comandante della polizia antisommossa, che durante una conversazione si chiede come «trasformare il paese in un campo di prigionia senza rovinare l’immagine della nazione».

 

I cyber partigiani lavorano a stretto contatto con Bypol. Il gruppo, nato a ottobre 2020, è uno dei più attivi e importanti della resistenza. Riunisce decine di ex-agenti di polizia che dopo le violenze hanno deciso di licenziarsi. Con il tempo l’iniziativa si è allagata e ha coinvolto anche avvocati, ex investigatori, pubblici ministeri, giudici, e porta avanti principalmente attività di contro informazione. Se da una parte i C-Partisans approfittano di internet e delle competenze tecniche, dall’altra Bypol sfrutta una fitta rete di infiltrati nelle strutture governative: dal Comitato di sicurezza nazionale, il famoso Kgb, al Ministero degli affari interni, fino al servizio di sicurezza del presidente.

 

L’obiettivo comune è quello di documentare i delitti commessi dal regime, individuare i colpevoli e fare il modo che nessuno possa sfuggire alle proprie responsabilità.

Dai video del canale Youtube di Bypol, Aliaksandr Azarov e Aleh Talerchik, i volti pubblici del gruppo, oltre a diffondere le informazioni raccolte, invitano tutti i bielorussi ad aderire al “Peramoga Plan”, il piano per la vittoria. Elaborato dal centro analitico istituzionale di Bypol e sostenuto anche da Svetlana Tikhanovskaya, il piano consiste nel riunire le persone disposte a fare qualcosa “per la vittoria”. Si contano le forze per strutturare e organizzare la resistenza. Da una piattaforma online si viene indirizzati a un canale Telegram. Chi vuole partecipare aderisce anonimamente al piano, limitandosi a inserire informazioni sui luoghi in cui è disposto ad agire e sulle risorse che ha a disposizione, come ad esempio un’auto o un altro mezzo. In attesa del “giorno X”, quello in cui tutti saranno contattati e riceveranno istruzioni per una grande azione che dovrebbe portare al ritorno della democrazia in Bielorussia.

 

Il “giorno X” però potrebbe non dover arrivare mai, perché il regime potrebbe sgretolarsi da solo. I problemi di Lukashenko infatti non arrivano solo dalla resistenza: la volontà di Putin di sostenerlo traballa, mentre il dittatore sembra far di tutto per provocare l’Unione Europea: dal dirottamento del volo Ryanair FR4978 lo scorso maggio, fatto atterrare forzatamente a Minsk per arrestare il giornalista oppositore Roman Protasevic, ai migranti spinti verso i confini europei. L’Europa ha già risposto con il divieto di sorvolo alle compagnie bielorusse e una serie di sanzioni economiche contro persone e aziende. E un quinto pacchetto di sanzioni sta per essere approvato.

 

Dalla Lituania, dove si è rifugiata dopo le elezioni, Svetlana Tikhanovskaya continua a richiamare l’attenzione della comunità internazionale, di cui ha chiesto il supporto per il 27 novembre, giornata di solidarietà con i prigionieri politici bielorussi. Perché “la vittoria” passa anche dal sostegno dell’opinione pubblica e dalle azioni dei singoli.

 

Come quella dell’ex-console onorario della Bielorussia in Reggio Emilia, Antonio Sottile che dopo 10 anni ha deciso di dimettersi dall’incarico. L’unico in Italia. «La mia è stata una scelta di coscienza, perché credo fermamente nei valori con cui sono cresciuto: democrazia, libertà, rispetto dei diritti umani e non violenza. Tutte cose che in Bielorussia non esistono più. Spero che il mio gesto faccia riflettere».

 

Se la strada per il ritorno della democrazia in Bielorussia è ancora lunga, la presidentessa di Supolka non ha dubbi: alla fine il regime cadrà. «Sai cosa fanno i bambini a scuola? Giocano alla manifestazione e gridano “Viva la Bielorussia”. Pochi giorni fa il figlio di una mia cara amica uscendo da scuola ha detto sottovoce alla mamma, indicando un altro bambino: «Lo vedi quel bambino? Anche lui è bianco rosso» Questa è la generazione che sta crescendo in Bielorussia.