Greenpeace rende pubblici alcuni punti del controverso Ttip. Dai file emergono trattative in corso sui tribunali speciali per risolvere trattative tra Stati e investitori. L'Onu: "Sono incompatibili con la democrazia, lo stato di diritto e i diritti umani". Il 7 maggio manifestazione nazionale anti-accordo

E alla fine le preoccupazioni delle organizzazioni per i diritti umani e per i diritti dei lavoratori, delle Ong e dei difensori dell'ambiente, si sono rivelate fondate. Il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), noto anche come “trattato di libero scambio”, che Stati Uniti e Europa stanno discutendo da tre anni nelle segrete stanze della diplomazia, viene portato avanti all'insegna delle pressioni Usa per rimuovere, o comunque ridimensionare, tutele basilari per cittadini e consumatori. A confermare questi timori sono sedici documenti ottenuti da “Greenpeace”, che è riuscita a mettere le mani sui testi di alcuni dei capitoli del Ttip in discussione.

I file lasciano affiorare, in particolare, le trattative in corso sui tribunali speciali per la risoluzione delle dispute tra stati e investitori, un'istituzione estremamente controversa e che neppure due settimane fa l'Onu è tornata a condannare con una dichiarazione senza mezzi termini: «Sono incompatibili con la democrazia, lo stato di diritto e i diritti umani». Le rivelazioni di Greenpeace arrivano proprio mentre il fronte italiano anti-Ttip prepara la prima manifestazione nazionale, che si terrà a Roma, il 7 maggio, dopo che proteste analoghe in paesi come la Germania hanno registrato una massiccia mobilitazione popolare. Ma andiamo per ordine.

Già due anni fa “l'Espresso” aveva rivelato grazie a documenti ottenuti da WikiLeaks, i negoziati in corso su una “triade” di trattati che ridisegneranno l'economia mondiale: il Ttip, il Tisa e il Tpp. Quello che più colpiva di questi trattati, che avranno un impatto enorme sulla vita e sul lavoro di milioni di cittadini, era la segretezza in cui venivano discussi.

Per il Ttip, in particolare, la trafila per accedere ai testi in corso di discussione era a dir poco complessa: i parlamentari che volevano consultare i capitoli del trattato oggetto di negoziazioni dovevano contattare l'ambasciata americana e prendere appuntamento. Una volta ottenuto, potevano accedere ai testi scortati dai funzionari dell'ambasciata, dopo aver accettato di mantenere il riserbo sui testi consultati e dopo aver consegnato ogni dispositivo elettronico, per evitare il rischio che copie dei documenti potessero uscire e circolare liberamente. Considerato che si tratta di testi complessi e tecnici, che in vari passaggi richiedono il parere informato di esperti delle materie più disparate – da pesticidi alle comunicazioni elettroniche – viene da chiedersi cosa i parlamentari italiani ed europei, ad oggi, sappiano e abbiano davvero capito del Ttip.

Solo recentemente, i paesi europei hanno attivato sale di lettura (reading room) per permettere un accesso più semplice e diretto ai testi del negoziato, ma per esempio in Italia queste sale non sono ancora disponibili, tanto che la settimana scorsa il Movimento 5 Stelle ha presentato un'interrogazione alla Camera dei deputati.

I file pubblicati oggi da Greenpeace fanno finalmente luce sulle trattative in corso sui tribunali speciali (o Isds), dopo anni in informazioni incerte. Questo tipo di “tribunali” sono dei sistemi per risolvere le controversie tra le aziende e gli stati membri dell'accordo, bypassando la magistratura e i tribunali tradizionali e creando un sistema di arbitrato internazionale completamente a parte. Se un'impresa o una multinazionale ritiene che un paese parte del trattato abbia violato gli accordi e messo a rischio o danneggiato i suoi interessi commerciali, può ricorrere a questi tribunali speciali, trascinando lo stato in questione di fronte a queste corti speciali e pretendendo un risarcimento.

Il Ttip non è il primo trattato che prevede questo tipo di sistema di risoluzione delle controversie tra le aziende e gli stati. A partire dal 1959, quando queste forme di arbitrato sono state introdotte per la prima volta, moltissimi accordi commerciali internazionali, come ad esempio il “Nafta”, li prevedono, esiste quindi una casistica delle controversie approdate di fronte a questi tribunali. E purtroppo, la casistica non è edificante: questo meccanismo ha, per esempio, permesso all'azienda svedese Vattenfall di trascinare in tribunale il governo tedesco chiedendo una compensazione di 3,7 miliardi di dollari. Motivo? Dopo Fukushima, la Germania ha optato per una politica di addio all'energia nucleare, scelta che va a ledere gli interessi della Vattenfall. A finire di fronte a questi tribunali sono stati i governi più diversi: dall'Australia, denunciata per la sua politica antifumo, all'Egitto, che puntava a un innalzamento del salario minimo, una scelta che metteva a rischio i profitti della multinazionale francese Veolia.

Perfino il settimanale “Economist”, di certo non una bibbia dei no global, ha scritto: «Se volete convincere l'opinione pubblica che gli accordi commerciali internazionali sono un modo per rendere le aziende multinazionali più ricche a spese della gente ordinaria, questa è la cosa da fare: concedere alle aziende straniere il privilegio di ricorrere a tribunali segreti in cui operano avvocati d'affari lautamente pagati per chiedere un risarcimento per qualsiasi legge un governo approvi, per esempio, per scoraggiare il fumo, proteggere l'ambiente o prevenire una catastrofe nucleare».

Neppure due settimane fa l'esperto delle Nazioni Unite, Alfred de Zayas, ha usato parole molto nette: «I tribunali Isds esistenti dovrebbero essere eliminati e nessun trattato di investimento dovrebbe contenere alcuna clausola su un sistema di risoluzione delle controversie privatizzato o semi-privatizzato», ha dichiarato l'esperto, sottolineando come gli Isds abbiano “freddato” alcuni stati che hanno tentato di legiferare nel pubblico interesse per risolvere, ad esempio, problemi sociali o ambientali. Dal Canada alla Colombia, de Zayas ha citato una casistica devastante di stati “intimiditi” dalla prospettiva di controversie miliardarie.

Ma evidentemente questa casistica non è un deterrente né per gli Stati Uniti né per l'Europa, che stanno trattando sulla materia e, almeno a giudicare dai documenti pubblicati oggi da Greenpeace, la differenza tra la posizione degli Usa e quella dell'Unione Europea, seppure reale, non sembra abissale.

Le rivelazioni di oggi getteranno inevitabilmente benzina sul fuoco delle proteste anti-Ttip, che in Europa – e in particolare in Germania – sono state molto forti, mentre in Italia il dibattito fatica a decollare. In attesa della manifestazione del 7 maggio, alcune città italiane si sono dichiarate “zone no Tttip”, e in rete è disponibile una petizione per chiedere che l'adesione dell'Italia al trattato sia discussa nei consigli comunali, in modo da rendere il dibattito più capillare possibile. Quanto di più lontano dalla volontà dei signori del mercato che avevano pianificato un Ttip blindato e giocato all'insegna della segretezza.