A cinque mesi dal voto i meloniani non toccano palla contro il blocco forzista-leghista in regione. Nelle prossime sedute si cerca la spartizione giusta per le quaranta nomine della sanità e per i finanziamenti alle infrastrutture. Con Romano La Russa in missione speciale per Fdi

La stabilissima Lombardia, feudo inalienabile del centrodestra dal 1994, litiga in modo plateale. Con gli assessori e i consiglieri di Fdi sull’orlo della ribellione, il presidente leghista Attilio Fontana è costretto a usare le maniere forti, lui che è la mitezza in persona, per tenere insieme i pezzi.

L’appuntamento più vicino è la tre giorni di fine luglio per l’assestamento del bilancio che gira attorno ai 600 milioni di euro da aggiungere all’infrastruttura mangiasoldi della Pedemontana, una delle autostrade più care d’Italia. Il piatto piange anche per il trasporto pubblico locale (tpl) dove da qui a fine anno servono 170 milioni di euro in tutto. Ce ne vogliono 70 per garantire lo stesso livello di servizio, e talora di disservizio, dell’anno precedente più altri 100 per l’aumento del corrispettivo nel contratto di servizio fra la regione e la sua partecipata Ferrovie Nord Milano (Fnm), in via di rinnovo decennale senza gara.

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L’immancabile aggiunta è la partita delle nomine. Alla fine del 2023 scadranno i direttori generali delle aziende sanitarie. Sono una quarantina fra le otto Ats, le ventisette Asst e le aziende ospedaliere che comunicano poco o nulla fra loro, create dai bizantinismi della riforma Maroni del 2015.

Premessa d’obbligo: è più facile una crisi di governo in Corea del Nord che nel palazzone milanese inaugurato tredici anni fa dove ha sede la giunta lombarda, mentre il consiglio è rimasto al vecchio Pirellone. Ma i seguaci di Giorgia Meloni, emersi fino al rango di partito di maggioranza relativa in regione con il 25 per cento, si sono accorti della triste verità. A quasi cinque mesi dalla costituzione della giunta Fontana bis, Fdi continua a non beccare palla proprio nella sanità e nelle infrastrutture, i due settori più ricchi della locomotiva economica d’Italia, che vanta un pil di 368 miliardi di euro pari al 22 per cento dell’intero prodotto nazionale e un teorico decimo posto fra le nazioni dell’Ue dopo l’Austria e prima dell’Irlanda. Anche se i diretti interessati tendono a minimizzare, soprattutto con l’Espresso, la presidente del consiglio non potrà ignorare a lungo l’emarginazione dei suoi, declinata in molte forme.

Dopo l’onda d’urto della pandemia, i 21 miliardi di euro di budget annuale nella sanità continuano a favorire i gruppi di sanità privata in convenzione pubblica che sono rimasti sotto l’influenza del berlusconismo e incassano circa metà del budget. L’assessorato più importante fa capo a Guido Bertolaso, tecnico prediletto dei governi forzisti ed ex capo della protezione civile confermato in quota Fontana dopo avere sostituito per pochi mesi Letizia Brichetto Moratti nella legislatura precedente. Nei confronti del sistema sanitario lombardo Bertolaso si è mostrato ancora più critico di quanto siano le stesse opposizioni tanto che a fine giugno lo hanno candidato come commissario straordinario per l’Emilia-Romagna. Era un tentativo fallito per rimuovere chi ha definito la sanità locale con tre aggettivi tombali: disorganizzata, anarchica e diseconomica.

La replica di Fdi si è concretizzata con la creazione di un comitato ristretto a tre tra Bertolaso, Fontana e Romano La Russa, che formalmente è assessore alla sicurezza al posto del pugnace collega di partito Riccardo De Corato, spedito alla Camera.

Il fattaccio del saluto romano al funerale di un vecchio camerata è costato a La Russa la nomina alla vicepresidenza della Regione, andata all’ex berlusconiano Marco Alparone, passato ai meloniani a metà della scorsa legislatura. Ma l’inserimento del fratello minore di Ignazio nel triumvirato con Fontana e Bertolaso segnala la pressione di Fdi sugli equilibri del blocco leghista-forzista.

«È la prima volta che viene creata una task force del genere», commenta il democrat Carlo Borghetti, membro della commissione III sanità, «a dimostrazione che Fdi vuole contare di più nella partita che vale quattro quinti dell’intero bilancio regionale. Sulle nomine dei dg, che saranno in carica per cinque anni, cioè quanto la legislatura, la tensione all’interno della giunta si taglia col coltello».

Il capogruppo Pd Pierfrancesco Majorino ha già tenuto un question time sul tema del manuale Cencelli della sanità lottizzata prossima ventura con Bertolaso che ha respinto ogni accusa. Ma non c’è solo il triumvirato a segnalare il desiderio dei meloniani di cambiare gli equilibri. Nei corridoi del Pirellone è stato avvistato l’ex assessore forzista alla sanità ed ex vicepresidente Mario Mantovani, uscito indenne da una serie di processi. Come Alparone, anche Mantovani è passato a Fdi e spesso si accompagna al capogruppo meloniano Christian Garavaglia, ex sindaco di Turbigo, non lontano da Arconate, il paese di Mantovani.

L’altra pedina piazzata nella sanità è la presidente della commissione III Patrizia Baffi, eletta con il Pd nel 2018, passata a Italia Viva, poi agli indipendenti e infine a Fdi. La guida della commissione sanità, che era sempre stata in mano alla Lega per bilanciare il potere berlusconiano nel settore, è una sorta di compensazione in attesa che si trovi un accordo sui direttori generali che, secondo le riforme Maroni e Moratti (2021), dovrebbero essere scelti attraverso la valutazione di una struttura tecnica in base agli obiettivi strategici ancora carenti come l’accorciamento liste d’attesa.

L’altro tema divisivo dell’alleanza lombarda riguarda strade e ferrovie. Nella giunta le infrastrutture sono state affidate all’assessora leghista Claudia Terzi, ex titolare dei trasporti nella prima consiliatura Fontana. L’attuale assessore ai trasporti è l’avvocato meloniano Franco Lucente, che si è messo in luce con una sparata senza precedenti contro i disservizi di Trenord, la società controllata alla pari da Trenitalia (gruppo Fs) e da Ferrovie Nord Milano (Fnm), quotata in borsa e per il 57,6 per cento di proprietà della Regione.

Il presidente esecutivo del gruppo Fnm Andrea Gibelli, architetto e deputato leghista per cinque legislature, è sotto attacco per gli aumenti di prezzo dei biglietti (+8 per cento fra 2022 e 2023), a fronte di disservizi che da anni mettono in croce i pendolari e di una tematica di sicurezza fra le più gravi del tpl in Italia.

Dopo la polemica, la correzione di Lucente è arrivata a stretto giro di posta, con un comunicato emolliente in nome del gioco di squadra. «Regione Lombardia e Trenord collaborano in totale sintonia», ha dettato il neoassessore. «L’impegno comune è garantire agli utenti un servizio di eccellenza. Tutti i dati illustrati dai vertici aziendali e relativi ai primi mesi del 2023 sono positivi: certo, vi sono delle criticità e nessuno vuole nasconderle. In tal senso va interpretata la mia lettera dei giorni scorsi, strumentalizzata da alcune parti politiche di minoranza».

Le minoranze, però, la pensano altrimenti. «Le incrinature sono più d’una», commenta Emilio Del Bono, eletto in consiglio con il voto dello scorso febbraio dopo essere stato sindaco Pd di Brescia per dieci anni (2013-2023). «Il tema del tpl è molto caldo, con un sistema che è poco brillante e sottofinanziato. Le agenzie provinciali non hanno fondi a sufficienza mentre, come ha evidenziato di recente la Corte dei conti, la regione ha una cassa di 10 miliardi di euro impegnati ma non spesi. Lucente sta diventando l’assessore alla sfortuna.

Al contrario della sua collega delle infrastrutture Terzi, lui ha contatto diretto con i cittadini e fa capire di essersi trovato un pacchetto pronto, come il rinnovo decennale a Trenord che da sempre è un fortino della Lega nonostante 9,7 milioni di euro di penali per disservizi nel solo 2022. Per adesso la schermatura delle responsabilità politiche ha retto. Ma spetta a noi dell’opposizione rendere chiaro ai cittadini il collegamento fra le questioni irrisolte e le responsabilità della giunta».

La commissione V (territorio, infrastrutture e mobilità), della quale fa parte Del Bono, è presieduta dal giovane forzista bergamasco Jonathan Lobati. Dalla commissione, oltre che dagli assessorati, passano altri tre mal di testa dei meloniani in crisi di influenza.

Il primo è la Pedemontana, che avanza a spizzichi e bocconi. L’ultimo appalto integrato da 1,26 miliardi di euro per le tratte B2 (Lentate-Cesano Maderno) e C (Milano-Meda Tangenziale est) è stato affidato a Webuild con Pizzarotti. La Pedemontana lombarda spa, controllata dal blocco Regione-Fnm al 90 per cento, è diretta da Sabato Fusco, manager irpino nominato a novembre dopo essersi fatto le ossa ad Autostrade e a Cav, la concessionaria autostradale creata dall’Anas in compartecipazione con la regione Veneto. Fusco ha realizzato il passante di Mestre e ha creato buoni rapporti con il mondo industriale e con l’ambiente del presidente leghista Luca Zaia. Il presidente della società è Luigi Roth, 82 anni, ex formigoniano di lunghissimo corso con precedenti, fra i molti che vanta il suo curriculum, alla guida di Fnm e di Fondazione Fiera Milano.

Un’altra occasione di polemiche in giunta è l’autostrada regionale Mantova-Cremona. Il tracciato di 60 chilometri per 800 milioni di investimento gravita su un’area della Lombardia che è stata a lungo governata da un centrosinistra spaccato fra due anime, una favorevole alle nuove infrastrutture e l’altra ambientalista e battagliera sulle opere considerate inutili.

L’opera è in concessione ad Aria, società del Pirellone protagonista in negativo della campagna vaccinale. Ma fra la regione e la vecchia concessionaria estromessa dai lavori, musicalmente battezzata Stradivaria, c’è un contenzioso triennale che il Tar ha rimandato a un’udienza fissata per il prossimo novembre. All’inizio di luglio la giunta Fontana ha ammesso che le difficoltà di finanziamento e realizzazione sono di fatto insormontabili e che è forse più pratico riqualificare la statale Padana inferiore. In soccorso dell’autostrada sono intervenuti, una volta ancora, due meloniani di Mantova, l’assessore all’agricoltura Alessandro Beduschi e la consigliera Paola Bulbarelli, sostenuti per l’occasione dalla leghista Alessandra Cappellari.

Dulcis in fundo, ci sono i ritardi sul cronoprogramma per i giochi invernali di Milano-Cortina 2026, cofinanziati dalle regioni Lombardia e Veneto ma soprattutto dalla legge di Bilancio. Il governo ha piazzato la cabina di regia a Palazzo Chigi. Almeno a Roma Fdi avrà voce in capitolo.