Il ministro doveva varare la nuova Autorità per Venezia entro lo scorso anno. Ma il sindaco vuole decidere il presidente. E mentre il centrodestra non trova l’accordo, le dighe mobili finiscono in riparazione ai box di Fincantieri. Così l’inaugurazione si allontana

Il Mose è quasi finito. E adesso chi lo solleva? Nei mesi estivi di presumibile tranquillità dall’acqua alta la domanda rimbalza fra il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini e il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. Sono loro che devono nominare il nuovo presidente dell’Autorità per la laguna, creata da una legge del 2020 ai tempi del governo giallorosa. Il leader leghista aveva promesso di avviarla entro il 2022, sotto il titolo di Magistrato alle acque, l’antica istituzione della Serenissima che governava gli equilibri di isole e canali.

 

Sono passati sette mesi e l’Autorità non c’è ancora. Forse perché nei vari emendamenti della legge costitutiva si è stabilito che la scelta del presidente spetta “di intesa” a ministro e sindaco. L’espressione vuol dire tutto e nulla salvo che “l’intesa” fra i due esponenti del centrodestra evidentemente non si trova.

 

Questa paralisi si sovrappone a due scadenze importanti dei prossimi mesi. A settembre il Mit selezionerà le commissioni di collaudo del sistema di dighe mobili attraverso il capo dipartimento alle opere pubbliche Calogero Mauceri. I compensi per i collaudatori, calcolati a percentuale sull’importo dei lavori che ha superato i 6 miliardi di euro, saranno nell’ordine di molti milioni. Qualche decina, più probabilmente. Il rischio è che si ripeta l’orgia di parcelle e consulenze iniziata nel 2003, quando il Consorzio Venezia Nuova (Cvn), concessionario unico delle opere in laguna, distribuiva prebende a un vasto mondo di manager statali e professionisti con la targa giusta. Al tempo, il Cvn era all’apice della sua potenza. Nel 2014, è stato travolto da un’inchiesta giudiziaria che ha messo fine al lungo regno del presidente forzista della regione Giancarlo Galan.

 

La seconda scadenza è prevista a fine 2023 quando, a collaudi completati, si potrà procedere all’ennesima celebrazione di un’opera che l’ex ministro veneziano Renato Brunetta ha sobriamente definito «patrimonio dell’umanità» richiedendo la protezione dell’Unesco affinché il Modulo sperimentale elettromeccanico (Mose) salvi il mondo dall’innalzamento dei mari.

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Nel frattempo, le prime paratoie affondate dopo una delle tante inaugurazioni in pompa magna sono già divorate dal sale e bisognose di restauro. Pochi giorni fa la prima barriera è stata ripescata dalla bocca di porto di San Nicolò dopo dieci anni di immersione ed è stata sostituita con uno dei due moduli allestiti per le manutenzioni. Un’altra paratoia andrà in revisione il 10 agosto per un periodo di circa tre settimane, e così via le altre. Il commissario governativo al Mose, Elisabetta Spitz, che è stata fra i candidati a guidare l’Autorità per la laguna insieme al prefetto Vittorio Zappalorto e al generale della Finanza Giovanni Mainolfi, ha accolto l’indicazione del Mit e ha affidato l’incarico a Fincantieri.

 

L’intervento della società di Stato nella partita della gestione, che vale 63 milioni di euro all’anno fino al 2034, quindi 756 milioni in totale, ha creato preoccupazioni nei circa 230 lavoratori addetti al sollevamento del Mose. Il 6 luglio i sindacati confederali hanno indetto una manifestazione in Campo San Maurizio che ha coinvolto le tre società addette ai complessi protocolli di attivazione delle 78 paratoie disposte alle bocche di porto di Lido (Treporti-San Niccolò), Malamocco e Chioggia.

 

Si tratta di personale del Cvn, messo in liquidazione e affidato dal novembre 2020 al commercialista veneziano Massimo Miani, della Comar controllata integralmente dal Cvn e di Thetis, società di tecnologia ambientale con sede all’Arsenale e anch’essa controllata dal Cvn. Mentre Miani tenta di assorbire Comar nel Cvn e di vendere la più appetibile Thetis, per la quale ci sarebbero già alcune offerte, le rappresentanze sindacali hanno esposto le loro preoccupazioni sul futuro del sistema Consorzio, creato da Giovanni Mazzacurati e Piergiorgio Baita. «L’arrivo di Fincantieri», dicono gli esponenti delle Rsu, «è stato una sorpresa per noi. Rischiamo che la società pubblica prenda sia la manutenzione sia la movimentazione delle dighe mentre l’Autorità per la laguna è di là da venire. Peraltro l’Autorità dovrebbe essere dotata di un organico di sole cento persone di cui cinquanta prese dal provveditorato alle opere pubbliche e le altre cinquanta non si sa. Di fatto, si esclude una quota importante di professionalità specializzate e si scarta la possibilità di trasformare Thetis nella società in house dell’Autorità».

 

I lavoratori sono stati ricevuti dal prefetto Michele Di Bari che ha raccomandato tranquillità, niente scioperi e ha indetto la prossima riunione con le parti sociali per sabato 22 luglio. Di Bari è arrivato a Venezia a fine febbraio dopo un quadriennio segnato da ottimi rapporti con Salvini che il 30 aprile 2019, da ministro dell’Interno con l’attuale ministro Matteo Piantedosi nel ruolo di capo di gabinetto, lo aveva nominato capo del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione. Di Bari si era dimesso a dicembre del 2021 durante il governo Draghi, dopo che la moglie era stata coinvolta nell’inchiesta “Terra rossa” della Procura di Foggia sul caporalato. In quell’occasione, Salvini aveva polemizzato duramente con la titolare del Viminale, Luciana Lamorgese. Adesso tocca a Di Bari mediare finché ministro e sindaco trovano la quadra.

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«La situazione di stallo dell’Autorità», dice Giuseppe Saccà, capogruppo Pd al Comune, «è ascrivibile a Salvini e a Brugnaro. Oltre alla questione delle nomine, che difficilmente arriveranno prima di settembre, andranno risolte le sovrapposizioni di competenze. Soprattutto bisognerà affrontare il tema del futuro della laguna da qui a cinquant’anni. Il Mose vuol dire anche il porto, le attività produttive, la legge speciale su Venezia, i fondi Ue per la mitigazione del cambiamento climatico che sono stanziati ma non impiegati. In quanto a Fincantieri, andrà risolto il problema della gara europea. Il Cvn insegna che a Venezia le concessioni uniche non hanno funzionato».

 

Sul fronte nazionale, l’opposizione democrat cerca di tenere viva l’attenzione con le interrogazioni parlamentari di Rachele Scarpa, la deputata più giovane d’Italia, e di Andrea Martella, senatore, segretario regionale e animatore del testo di legge sull’Autorità insieme al collega di partito Pier Paolo Baretta, sconfitto da Brugnaro nella corsa a Ca’ Farsetti di tre anni fa. Nel 2020 il decreto sull’Autorità venne contestato duramente da Salvini e da Brugnaro che poi si sono convinti: l’Autorità serve. A che cosa? Per esempio a stabilire quando azionare le dighe e in base a quale livello di marea. La prima decisione ha un impatto economico che è stato quantificato in modo piuttosto ampio fra i 200 e i 290 mila euro a ogni sollevamento. Finora ne sono stati eseguiti cinquanta, oltre ai 180 per i test. La seconda decisione è molto contestata. Per l’autunno 2023 il livello è stato fissato a 120 centimetri di marea e a 110 centimetri per il 2024, quando in teoria il sistema dovrebbe essere a regime, dunque in piena efficienza. Per i veneziani del centro storico è recente il ricordo dei cinque giorni fra il 12 e il 17 novembre 2019 quando la città fu sommersa con un massimo di 189 centimetri di acqua alta, appena cinque centimetri meno dell’Acqua Granda del 4 novembre 1966, che rappresenta il record da quando si è iniziata la misurazione delle maree in laguna nel 1872.

 

Con il prossimo autunno il Mose è atteso alla prova decisiva. Ma la metà delle barriere è sott’acqua da più di cinque anni, il tempo limite per la manutenzione, e i dubbi sull’usura di paratoie e cerniere rimangono.