Per completare l’opera saranno necessari altri due anni e oltre un miliardo di euro in più. I tecnici denunciano “sprechi e cialtronerie”

Altri due anni di ritardo sulla fine dei lavori. Un miliardo di spesa in più. I cantieri fermi da mesi e la manutenzione che non parte, con la corrosione sott’acqua che avanza. Lo scandalo Mose non finisce mai. Le tangenti, gli sprechi, i ritardi, gli errori. Adesso l’incuria e la mancata manutenzione, che ne mettono a rischio il funzionamento nel prossimo futuro, proprio mentre la stagione delle acque alte si avvicina e Venezia è ancora indifesa.


L’ultima vergogna sono tubi e materiali metallici arrugginiti e accatastati all’aperto nell’isola del Mose di Treporti. Proprio quella che aveva ospitato un anno fa l’“inaugurazione” in pompa magna alla presenza dell’ex premier Conte. Tubazioni, barre, giunti in carbonio abbandonati alla salsedine. All’aperto, senza un magazzino che li protegga. Sono preziosi materiali di ricambio, comprati dal Consorzio Venezia Nuova per sostituire quelli ammalorati e lasciati lì, nell’isola del Mose a San Nicolò. Adesso i ricambi sono messi peggio degli originali. Sono stati fatti sparire in gran fretta, quasi tutti da buttare.  Un danno da decine di milioni di euro. Possibile che nessuno se ne sia accorto?
Nel novembre scorso l’ingegnere specialista in corrosione Susanna Ramundo, consulente del ministero delle Infrastrutture, aveva inviato una relazione preoccupata sul tema. «I ricambi sono da buttare», scriveva al Provveditore che le chiedeva un parere. Segnalando «cialtronerie e disattenzioni». «Tubi antincendio corrosi, giunture completamente scrostate e ammalorate». E poi le cataste di metallo all’aperto, in mezzo alla laguna salmastra. In pochi mesi tutto è diventato inservibile. Con uno spreco di decine di milioni di euro.

 


Di chi la responsabilità? Da due anni a guidare il Mose è stata scelta una commissaria straordinaria, Elisabetta Spitz, che ha sostituito i commissari nominati dall’Anac dopo lo scandalo del 2014. La situazione non è cambiata. Anzi, i cantieri in laguna sono stati bloccati, anche per la crisi finanziaria di quello che era il monopolista più potente d’Italia, il Consorzio Venezia Nuova.


Ma gli sprechi continuano. Tanto che la provveditora Cinzia Zincone, ricevuto il rapporto, aveva inviato una relazione alla Procura della Corte dei Conti, affinché indagasse   sulle responsabilità. La Guardia di Finanza ha aperto un’inchiesta, la Procura indaga. Ma i rapporti tra Spitz e Zincone sono improvvisamente peggiorati. Fino all’epilogo di Ferragosto. Zincone «sospesa» per due mesi per aver parlato con un giornalista. Poi accusata di usufruire di un alloggio demaniale (la casetta del custode nella darsena del Magistrato alle Acque). Infine di aver liquidato, come sollecitato dal governo, aziende che avanzavano soldi dopo aver concluso i lavori e rischiavano il fallimento. Decisione che ha destato stupore e proteste. A firmarla, la nuova direttrice generale del ministero, Ilaria Bramezza, direttrice del Comune di Venezia quando sindaco era Paolo Costa, ex ministro dei Lavori pubblici,  e poi della Regione con Luca Zaia.


Sospensione decisa senza nemmeno sentire l’“imputata”,  che non trova precedenti neanche negli anni bui dello scandalo delle tangenti Mose. Da cui Zincone, dirigente apicale dello Stato vicina alla pensione, non era stata nemmeno sfiorata.


Allora? Si dice che la questione sia soprattutto economica. Per il Mose è arrivato un altro miliardo di euro  da spendere, il che porta il totale per la grande opera a 6 miliardi e mezzo.  Uno in più del previsto. La commissaria Spitz preferirebbe dirottare le risorse solo al completamento della grande opera. Zincone aveva aperto un dialogo con gli enti locali, i comitati  e la società civile. Per indirizzare maggiori risorse agli interventi di compensazione in laguna, richiesti dall’Unione europea e mai avviati. C’è anche la questione aperta dell’Autorità per la laguna. Le nomine in arrivo per il nuovo organismo che dovrebbe governare la salvaguardia, sostituendo il Provveditorato, il Consorzio e gli enti locali.


Il mondo ci guarda. Dopo tanti rinvii e ritardi, la promessa solenne era quella di concludere i lavori del Mose e consegnare l’opera collaudata entro il 31 dicembre 2021. In questi giorni, con la firma di un nuovo “Atto aggiuntivo” alla Convenzione del 1991, si è stabilito che se ne parlerà forse, a fine 2023. 40 anni dopo il progetto, 20 anni dopo la posa della prima pietra. Intanto il contatore gira, le spese aumentano - il commissario costa un milione in consulenze - e la corrosione sott’acqua, denunciata più volte dall’Espresso, va avanti indisturbata. Venezia è ancora esposta alle acque alte. I test dello scorso anno hanno dato esito positivo, ma dovranno essere ripetuti in condizioni di mare estremo.
E qui si apre un altro capitolo. Perché quel maledetto 12 novembre del 2019 le paratoie del Mose, che sembravano pronte, non sono state alzate? La città forse non sarebbe stata travolta dall’acqua alta più alta di sempre dopo quella del 4 novembre del 1966 (189 centimetri). Il motivo è scritto in un rapporto firmato da Francesco Ossola, ex amministratore straordinario e responsabile tecnico del Mose dal 2015, scelto adesso da Spitz come consulente tecnico e della sicurezza. Nel verbale di ispezione  datato 6 novembre 2019 (sei giorni prima della catastrofe) si legge che durante quelle prove «volavano bulloni». Molti non erano stati fissati né controllati. Dunque il Mose non era pronto a essere sollevato. Anzi, sarebbe stato pericoloso se  messo in funzione. E Venezia andò sott’acqua.


La lista delle “criticità” si allunga di giorno in giorno. Allora l’ingegnere Ramundo esperta di corrosione aveva scritto: «Le tubazioni di fissaggio sono tutte bucate. L’acciaio al carbonio non verniciato all’interno produce ossidi di ferro che vengono trasportati e corrodono tutto, comprese le costosissime valvole di acciaio Super Duplex». Nessuna risposta. C’è anche l’inquinamento “batteriologico”: «Nei serbatoi d’acqua non è mai stato aggiunto nessun biocita», scrive Ramundo, «e quindi si sviluppa anche la corrosione microbiologica. Le tubazioni del sistema antincendio sono realizzate in carbonio non verniciato all’interno. E le joint box che servono per portare i segnali di protezione catodica allagate e non funzionanti».


Errori e lavori malfatti. Segnalazioni che Ramundo e la stessa Zincone mettevano a verbale nelle lunghe riunioni del Cta, il Comitato Tecnico amministrativo del ministero che deve dare il via ai progetti.  «L’abbiamo detto e nessuno ha fatto nulla», dice. Anche Zincone, ora precipitosamente allontanata dopo la sua denuncia alla Corte dei Conti - e l’intervista alla Nuova Venezia in cui ribadiva quanto scritto al ministero, cioè che l’avvento del commissario non era servito a nulla -  aveva chiesto per ben quattro volte di effettuare lo “stato di consistenza” alle bocche. Ispezione concessa solo nel giugno scorso, dopo il sopralluogo della Guardia di Finanza.


Ramundo si era  dimessa nel marzo scorso per protesta. Dopo aver inviato una durissima lettera di denuncia. «La corrosione sott’acqua va avanti e non si è fatto nulla», aveva scritto, «le strutture sono ammalorate e in qualche caso a rischio. La corrosione dell’acciaio sott’acqua potrebbe anche provocare il cedimento della struttura». Ramundo, che ha firmato anche le perizie per il crollo del ponte Morandi a Genova, lo sa bene. La corrosione va fermata.


 Ma il tempo passa, e la situazione si fa sempre più critica. Dopo i miliardi spesi, commissari che si moltiplicano con i loro costi, scandali e nuove promesse, il Mose si conferma come la più grande incompiuta d’Italia. La vedremo finita, se va bene, nel 2024Altri due anni di ritardo sulla fine dei lavori. Un miliardo di spesa in più. I cantieri fermi da mesi e la manutenzione che non parte, con la corrosione sott’acqua che avanza. Lo scandalo Mose non finisce mai. Le tangenti, gli sprechi, i ritardi, gli errori. Adesso l’incuria e la mancata manutenzione, che ne mettono a rischio il funzionamento nel prossimo futuro, proprio mentre la stagione delle acque alte si avvicina e Venezia è ancora indifesa.


L’ultima vergogna sono tubi e materiali metallici arrugginiti e accatastati all’aperto nell’isola del Mose di Treporti. Proprio quella che aveva ospitato un anno fa l’“inaugurazione” in pompa magna alla presenza dell’ex premier Conte. Tubazioni, barre, giunti in carbonio abbandonati alla salsedine. All’aperto, senza un magazzino che li protegga. Sono preziosi materiali di ricambio, comprati dal Consorzio Venezia Nuova per sostituire quelli ammalorati e lasciati lì, nell’isola del Mose a San Nicolò. Adesso i ricambi sono messi peggio degli originali. Sono stati fatti sparire in gran fretta, quasi tutti da buttare.  Un danno da decine di milioni di euro. Possibile che nessuno se ne sia accorto?
Nel novembre scorso l’ingegnere specialista in corrosione Susanna Ramundo, consulente del ministero delle Infrastrutture, aveva inviato una relazione preoccupata sul tema. «I ricambi sono da buttare», scriveva al Provveditore che le chiedeva un parere. Segnalando «cialtronerie e disattenzioni». «Tubi antincendio corrosi, giunture completamente scrostate e ammalorate». E poi le cataste di metallo all’aperto, in mezzo alla laguna salmastra. In pochi mesi tutto è diventato inservibile. Con uno spreco di decine di milioni di euro.


Di chi la responsabilità? Da due anni a guidare il Mose è stata scelta una commissaria straordinaria, Elisabetta Spitz, che ha sostituito i commissari nominati dall’Anac dopo lo scandalo del 2014. La situazione non è cambiata. Anzi, i cantieri in laguna sono stati bloccati, anche per la crisi finanziaria di quello che era il monopolista più potente d’Italia, il Consorzio Venezia Nuova.


Ma gli sprechi continuano. Tanto che la provveditora Cinzia Zincone, ricevuto il rapporto, aveva inviato una relazione alla Procura della Corte dei Conti, affinché indagasse   sulle responsabilità. La Guardia di Finanza ha aperto un’inchiesta, la Procura indaga. Ma i rapporti tra Spitz e Zincone sono improvvisamente peggiorati. Fino all’epilogo di Ferragosto. Zincone «sospesa» per due mesi per aver parlato con un giornalista. Poi accusata di usufruire di un alloggio demaniale (la casetta del custode nella darsena del Magistrato alle Acque). Infine di aver liquidato, come sollecitato dal governo, aziende che avanzavano soldi dopo aver concluso i lavori e rischiavano il fallimento. Decisione che ha destato stupore e proteste. A firmarla, la nuova direttrice generale del ministero, Ilaria Bramezza, direttrice del Comune di Venezia quando sindaco era Paolo Costa, ex ministro dei Lavori pubblici,  e poi della Regione con Luca Zaia.


Sospensione decisa senza nemmeno sentire l’“imputata”,  che non trova precedenti neanche negli anni bui dello scandalo delle tangenti Mose. Da cui Zincone, dirigente apicale dello Stato vicina alla pensione, non era stata nemmeno sfiorata.


Allora? Si dice che la questione sia soprattutto economica. Per il Mose è arrivato un altro miliardo di euro  da spendere, il che porta il totale per la grande opera a 6 miliardi e mezzo.  Uno in più del previsto. La commissaria Spitz preferirebbe dirottare le risorse solo al completamento della grande opera. Zincone aveva aperto un dialogo con gli enti locali, i comitati  e la società civile. Per indirizzare maggiori risorse agli interventi di compensazione in laguna, richiesti dall’Unione europea e mai avviati. C’è anche la questione aperta dell’Autorità per la laguna. Le nomine in arrivo per il nuovo organismo che dovrebbe governare la salvaguardia, sostituendo il Provveditorato, il Consorzio e gli enti locali.


Il mondo ci guarda. Dopo tanti rinvii e ritardi, la promessa solenne era quella di concludere i lavori del Mose e consegnare l’opera collaudata entro il 31 dicembre 2021. In questi giorni, con la firma di un nuovo “Atto aggiuntivo” alla Convenzione del 1991, si è stabilito che se ne parlerà forse, a fine 2023. 40 anni dopo il progetto, 20 anni dopo la posa della prima pietra. Intanto il contatore gira, le spese aumentano - il commissario costa un milione in consulenze - e la corrosione sott’acqua, denunciata più volte dall’Espresso, va avanti indisturbata. Venezia è ancora esposta alle acque alte. I test dello scorso anno hanno dato esito positivo, ma dovranno essere ripetuti in condizioni di mare estremo.


E qui si apre un altro capitolo. Perché quel maledetto 12 novembre del 2019 le paratoie del Mose, che sembravano pronte, non sono state alzate? La città forse non sarebbe stata travolta dall’acqua alta più alta di sempre dopo quella del 4 novembre del 1966 (189 centimetri). Il motivo è scritto in un rapporto firmato da Francesco Ossola, ex amministratore straordinario e responsabile tecnico del Mose dal 2015, scelto adesso da Spitz come consulente tecnico e della sicurezza. Nel verbale di ispezione  datato 6 novembre 2019 (sei giorni prima della catastrofe) si legge che durante quelle prove «volavano bulloni». Molti non erano stati fissati né controllati. Dunque il Mose non era pronto a essere sollevato. Anzi, sarebbe stato pericoloso se  messo in funzione. E Venezia andò sott’acqua.
La lista delle “criticità” si allunga di giorno in giorno. Allora l’ingegnere Ramundo esperta di corrosione aveva scritto: «Le tubazioni di fissaggio sono tutte bucate. L’acciaio al carbonio non verniciato all’interno produce ossidi di ferro che vengono trasportati e corrodono tutto, comprese le costosissime valvole di acciaio Super Duplex». Nessuna risposta. C’è anche l’inquinamento “batteriologico”: «Nei serbatoi d’acqua non è mai stato aggiunto nessun biocita», scrive Ramundo, «e quindi si sviluppa anche la corrosione microbiologica. Le tubazioni del sistema antincendio sono realizzate in carbonio non verniciato all’interno. E le joint box che servono per portare i segnali di protezione catodica allagate e non funzionanti».


Errori e lavori malfatti. Segnalazioni che Ramundo e la stessa Zincone mettevano a verbale nelle lunghe riunioni del Cta, il Comitato Tecnico amministrativo del ministero che deve dare il via ai progetti.  «L’abbiamo detto e nessuno ha fatto nulla», dice. Anche Zincone, ora precipitosamente allontanata dopo la sua denuncia alla Corte dei Conti - e l’intervista alla Nuova Venezia in cui ribadiva quanto scritto al ministero, cioè che l’avvento del commissario non era servito a nulla -  aveva chiesto per ben quattro volte di effettuare lo “stato di consistenza” alle bocche. Ispezione concessa solo nel giugno scorso, dopo il sopralluogo della Guardia di Finanza.


Ramundo si era  dimessa nel marzo scorso per protesta. Dopo aver inviato una durissima lettera di denuncia. «La corrosione sott’acqua va avanti e non si è fatto nulla», aveva scritto, «le strutture sono ammalorate e in qualche caso a rischio. La corrosione dell’acciaio sott’acqua potrebbe anche provocare il cedimento della struttura». Ramundo, che ha firmato anche le perizie per il crollo del ponte Morandi a Genova, lo sa bene. La corrosione va fermata.


 Ma il tempo passa, e la situazione si fa sempre più critica. Dopo i miliardi spesi, commissari che si moltiplicano con i loro costi, scandali e nuove promesse, il Mose si conferma come la più grande incompiuta d’Italia. La vedremo finita, se va bene, nel 2024