Trattamenti di favore a chi non li merita. Finti malati. Errori burocratici. Oltre allo squilibrio strutturale, una miriade di casi surreali aggravano i costi: ecco alcune storie

L’insegnante Franca Maria Lucentini è baciata dalla fortuna. Per ben dodici anni, dal 2006 al 2018, incassa all’inizio di ogni mese la pensione da ex insegnante e alla fine di ogni mese il regolare stipendio da insegnante. Che cosa sia esattamente accaduto non sono riusciti a scoprirlo nemmeno i giudici della Corte dei Conti, cercando di ricostruire la sconcertante vicenda.

 

Intendiamoci: le responsabilità sono chiare. C’è una dirigente della scuola Giovanni Paolo II di Belpasso, 27 mila abitanti in Provincia di Catania, che a quanto pare non ha spedito il modello D con il quale si comunica all’amministrazione che una insegnante se ne va in pensione. E c’è una funzionaria che dovrebbe seguire la pratica, accertandosi che tutto vada per il verso giusto, ma se n’è dimenticata. Questo, almeno, viene appurato.

 

Ma la ricostruzione dei fatti non spiega come sia stato possibile che per dodici anni nessuno si sia posto il problema di un dipendente statale che figura contemporaneamente in servizio e in pensione. Il problema avrebbe potuto sollevarlo la protagonista. Mettetevi però nei suoi panni: quanti l’avrebbero fatto, pur sapendo che la cosa non sarebbe rimasta priva di conseguenze? Nella fattispecie la questione non riguarda più l’insegnante Franca Maria Lucentini, deceduta all’inizio del 2019. Bensì i suoi eredi ai quali lo Stato chiede i soldi indietro. Anche se dovrebbe farseli dare da qualcun altro, e non soltanto, come hanno sentenziato il 14 novembre 2022 i magistrati della sezione d’appello della Corte dei Conti, dalle presunte responsabili del pasticcio alla scuola di Belpasso. Una di loro l’ha detto chiaramente ai giudici, che non hanno potuto non condividere le sue rimostranze sulla «incomprensibile mancanza di controlli protrattasi per ben dodici anni, durante i quali gli enti pagatori della pensione e dello stipendio non hanno riscontrato la macroscopica irregolarità». Sembra impossibile che nessuno abbia notato non soltanto l’anomalia di pensionato che continua a ricevere lo stipendio, ma pure l’assurdità che lo Stato paghi uno stipendio a una signora fino ai 78 anni. Ben oltre la massima età pensionabile di chiunque.

 

Per questa serie di inconcepibili negligenze non ci sono colpevoli. E i magistrati che scrivono la parola fine non possono che archiviare la storia accompagnandola con l’aggettivo «surreale». Che ben si adatterebbe a episodi e circostanze decisamente più pesanti per i conti pubblici.

 

Svetta su tutte un norma sbocciata nello stesso decreto del 1973 che partorisce l’abominio delle pensioni baby, con la quale viene istituito il «trattamento previdenziale privilegiato».

 

È una maggiorazione dell’assegno pensionistico, che può essere concessa ai dipendenti pubblici vittime di infortuni o malanni causati dal loro lavoro. Oltre, naturalmente, a quello che viene definito «equo indennizzo». Il minimo sindacale, per chi deve rischiare la vita tutti i giorni come i poliziotti e i carabinieri. Se non fosse per quel vizio, ahimè tutto italiano, che trasforma in occasioni per gli approfittatori anche le iniziative nate con le migliori intenzioni.

 

Perché c’è stato un lungo momento durante il quale le pensioni privilegiate fioccavano. C’entrava forse anche il fatto che la commissione incaricata di accertare la dipendenza delle malattie da cause di servizio fosse composta in maggioranza, com’è ancora oggi, da medici delle forze armate o di polizia. Sono 23 su 35 membri. Nulla però giustifica la folle decisione di estendere la possibilità di ottenere la pensione privilegiata anche ai 670 mila dipendenti della sanità. Per loro è andata avanti fino al 2011, quando la riforma Fornero l’ha riservata esclusivamente a militari e forze dell’ordine. Ma l’effetto trascinamento è lungo. Le cause vanno avanti per anni, e fra ricorsi e controricorsi capita che la pensione privilegiata arriva anche dopo dieci anni o forse più. Nel 2021 l’hanno ancora ottenuta ben 152 sanitari, per un importo medio di ben 4758 euro mensili.

 

Che cosa ha prodotto quella legge lo dicono chiaramente i dati dell’Inps. Le pensioni di inabilità vigenti alla fine del 2021 sono più di 206 mila. E siccome gli assegni pensionistici del pubblico impiego sono circa 3 milioni, significa che più o meno uno statale su quindici si è infortunato o ammalato per colpa del lavoro.

 

Non mancano episodi di spudorata sfrontatezza. Dicembre 2021: la Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna condanna l’assistente capo C. F. in servizio presso la polizia di frontiera a pagare 39 mila euro di danni erariali al ministero dell’Interno. Il Nostro ha la lombosciatalgia: causa di servizio. Così grave che la commissione medica è costretta a dichiararlo «non idoneo permanente ai servizi operativi di polizia» per i quali è richiesto «pieno possesso dell’efficienza fisica e quindi la capacità di effettuare corsa, salti, trattenere e bloccare persone, essere esposti al rischio di colluttazioni». Non può fare il poliziotto di strada, né portare il cinturone con la pistola. Un chilo e mezzo, troppo pesante. Può però giocare a tennis a livello agonistico: non è forse un tesserato della Federazione italiana tennis? Ma è anche musicista. Suona il basso, e con il suo complesso fa anche concerti, regolarmente pubblicizzati sulla sua pagina Facebook. Tennis e concerti, magari anche nella stessa giornata. Alla faccia della lombosciatalgia. Finisce agli arresti domiciliari, però non ci sta. Ammette, sì, di aver partecipato a un paio di tornei di tennis. Ma argomenta che la «spondilodiscoartrosi lombosacrale con voluminosa ernia lombare posteriore» di cui è affetto non è incompatibile con dritto, rovescio, servizio e volee. Misteri della medicina…

 

E siccome per i malanni non c’è prescrizione, ecco che qualcuno avanza la pretesa di pensione privilegiata per causa di servizio dopo cinquant’anni. Non è uno scherzo: lo racconta una sentenza emessa dalla Corte dei Conti nel 2021. È il 21 agosto del 1962, i Beatles hanno appena cominciato a strimpellare, due settimane prima è morta Marilyn Monroe e il governo razzista del Sudafrica ha spedito in carcere Nelson Mandela. Il signor Sempronio è un giovanotto e sta andando in macchina al mare. A un certo punto la strada impazzisce e si ritrova all’ospedale. Ha la commozione cerebrale, una frattura al cranio e anche una lieve paralisi facciale. Poteva andare peggio, per l’incidente che è stato. Un mese a letto e il Nostro si rimette in sesto. Dopo una botta del genere almeno mi risparmieranno il servizio militare, pensa. Invece si sbaglia. A luglio del 1963 lo spediscono sotto le armi. Poi però un ricovero dopo l’altro all’ospedale militare, e la naja finisce a novembre.

 

Ma non finisce la storia. Nel luglio 2013, esattamente cinquant’anni dopo essere stato arruolato, il signor Sempronio presenta la richiesta di equo indennizzo e pensione privilegiata perché la leva avrebbe aggravato le sue menomazioni fisiche causate dall’incidente dell’agosto 1962. Aggravamento riscontrabile nei «segni di ipertensione endocranica e di irritazione meningea da postumi di trauma cranico». La domanda viene respinta, ma lui fa ricorso e nel 2021 la Corte dei Conti gli dà ragione. E riapre la partita, mentre il signor Sempronio (il nome è ovviamente di fantasia) si avvia a tagliare il traguardo degli ottant’anni. Mai dire mai.