La Vincenzo Tundo spa ha rastrellato commesse in tutta Italia, ma ora il Gip ne blocca l’attività per un anno. Le indagini della Finanza, che lavora anche sulle responsabilità degli amministratori che gli hanno affidato il trasporto dei ragazzi e dei disabili, potrebbero portare a un’azione penale per truffa aggravata e frode in pubbliche forniture

Per tutti era il re dei trasporti scolastici, con rapporti con un’infinità di amministrazioni, munifiche quanto poco accorte. Una scalata inarrestabile quella di Enrico Tundo, ora fermata dal gip di Taranto. La società di trasporti, la “Vincenzo Tundo Spa”, dopo aver mietuto successi, dal 2016 ha invertito la rotta provocando guai a numerose Regioni italiane, ai Comuni e, naturalmente, ai lavoratori.

 

Il gip  Pompeo Carriere ha imposto uno stop di un anno, il massimo previsto, una misura interdittiva dell’esercizio d’impresa che mette a nudo anche la fragilità di un sistema annichilito dalle furbizie e dalle opzioni scellerate delle amministrazioni.

 

Secondo il giudice «la gravità dei fatti denunciati, la durata del tempo dell’azione e la reiterazione dei comportamenti illeciti», suggeriscono di bloccare tutto per 12 mesi e inibire la prosecuzione dell’attività. Perché sullo stesso fronte, il nucleo della Guardia di finanza di Taranto, coordinato dal procuratore aggiunto Maurizio Carbone, sta indagando su alcuni episodi legati alla scalata dell’imprenditore leccese che potrebbero concludersi con un’azione penale per truffa aggravata e frode in pubbliche forniture.

 

Prima di questa indagine nessuno aveva osato mettere in discussione la traiettoria di crescita di Tundo, presente ovunque vi fosse una gara pubblica in ogni angolo della penisola italiana. Nonostante ci fossero qui e là segnali concreti di una possibile débacle, gli enti non hanno avvistato alcun pericolo e gli stessi investigatori si pongono più di una domanda sul comportamento delle pubbliche amministrazioni.

 

La Tundo ha infatti detenuto una sorta di oligopolio nel segmento del trasporto scolastico esteso poi al trasporto disabili. Milano, Torino, Roma prima di tutti, poi il Friuli, Bolzano, Venezia, Piacenza, i comuni della bassa Emilia, le Marche e la Puglia hanno visto scorrazzare per le proprie strade i bus della Tundo Spa. Ma hanno registrato allo stesso tempo incredibili disavventure come interruzioni del servizio, assenza di carburante, mancanza di documenti idonei a condurre i mezzi di trasporto con successivo sequestro. In alcuni casi non esisteva ciò che era dichiarato nel bando di partecipazione alla gara, in altri non c’erano le stesse condizioni pattuite nel contratto. I mezzi, anche elettrici, come richiesto dai bandi, erano solo sulla carta. E il numero necessario di autisti e assistenti per mandare avanti le attività sarebbe stato gonfiato. Una sfilza di rilievi che aveva già visto scendere più volte sul piede di guerra i sindacati pronti a difendere gli interessi dei lavoratori. Quelli di studenti e disabili rimasti per strada sono stati invece compromessi in un clima di sostanziale indifferenza.

 

La storia della società inizia nel 1972 in provincia di Lecce. Il fondatore è Vincenzo che riesce a stabilire in provincia una serie di rapporti proficui che consentono la lenta ma inarrestabile espansione dell’impresa. Le prime commesse importanti arrivano verso la fine degli anni ’90 quando, nonostante il parco mezzi ridotto, la Tundo trasporti inizia ad affacciarsi sul mercato delle città del nord. La società riesce a farsi largo spesso in partnership con altre aziende che fanno fronte al suo parco mezzi ridotto mettendo a disposizione i propri per garantire commesse e servizi. Subappalti più o meno occulti o cambiamenti di assetti a contratti stipulati che allargano la platea dei mezzi utilizzabili a prescindere dai disciplinari. Quella che è nata come un’azienda familiare si allarga con al timone Enrico, figlio del fondatore, affiancato dalla moglie e vero patron della società. Nel 2012 l’azienda arriva a Roma ma quattro anni dopo, nel 2016 cominciano i problemi. La scelta di ribassi sempre più vertiginosi per assicurarsi gli appalti si rivelano troppo onerosi. Seguono continui stop and go sull’andamento del servizio, sparute proteste e qualche pubblica segnalazione.

 

Niente che accenda veramente il faro sulla conduzione e la regolarità degli appalti e sul rispetto di tutte le procedure. Tanto più che, nonostante le prime difficoltà, Enrico Tundo si lascia tentare anche dall’avventura calcistica: visibilità e relazioni ma anche previsioni di investimenti e forse anche di introiti accompagnano l’esperienza alla guida del Lecce calcio. Un passaggio in cui lo coinvolge Saverio Sticchi Damiani, attuale presidente del Lecce e amministrativista di lungo corso che per anni ha aiutato Tundo nelle sue controversie giudiziarie legate a inadempienze e contratti rescissi. Perché lo scoglio principale resta la solvibilità dell’azienda rispetto agli impegni assunti anche con i lavoratori.

 

A Torino, dove i dipendenti erano rimasti a secco, una lunga teoria di rimandi e di promesse. Tutte regolarmente mancate fino a una rocambolesca fuga in taxi documentata dalle cronache locali. Quando arrivano le prime autentiche mazzate con la revoca dei primi contratti, Tundo reagisce con tutte le armi che il diritto gli mette a disposizione. Resiste così di fronte al Tar al provvedimento notificatogli dall’Asl tarantina che dopo aver indugiato a lungo passa a revocargli l’appalto. Nonostante i precedenti non proprio edificanti la spa passa di appalto in appalto milionario con risvolti anche paradossali.

 

Nelle Marche, dopo aver vinto la gara per il servizio, il giorno prima di scendere in strada per avviare il rapporto e onorare il contratto, la società fa sapere di non essere pronta a soddisfare la richiesta dell’amministrazione. Una disfatta in piena regola che solleva più di un interrogativo. Resta da capire, infatti, come e se sia stata valutata davvero la regolarità contributiva dell’azienda, obbligata, come tutte a presentare il Durc. Si tratta del documento di regolarità contributiva, una sorta di pre requisito per attestare la legittimità a contrarre rapporti come fornitrice di enti pubblici. Il sospetto di chi indaga è che abbiano giocato un ruolo anche alcune attestazioni non proprio regolari se non del tutto false. E in un Paese in cui regolarmente la destra ignora cosa fa la sinistra e viceversa, è accaduto che nella storia degli appalti successivi nulla dei precedenti non proprio rassicuranti della società abbia fatto capolino nelle carte.

 

Ogni gara sembra fare storia a se. Ma le inadempienze documentate e l’eco delle proteste degli utenti e le controversie con i lavoratori è arrivata anche sui giornali, instaurando contenziosi che dovevano suggerire una valutazione più rigorosa dei requisiti. In soccorso di Tundo, in quel ginepraio che spesso sono le cause amministrative, è arrivato anche il Consiglio di Stato che in seduta plenaria ha corretto e di molto al ribasso l’eventuale allarme che le false dichiarazioni e le omissioni avrebbero dovuto far scattare immediatamente. «Le false dichiarazioni e le omissioni devono essere affiancate dal basso profilo morale e scarsa abilità professionale di chi vince perché questi possa essere escluso».

 

Dunque il principio è che quelli bravi e intraprendenti possono anche commettere qualche peccato ma la penitenza non può spingersi all’esclusione da una gara d’appalto a meno di non riuscire a dimostrare l’insussistenza dei requisiti morali di chi amministra la ditta. Con buona pace dei diritti degli utenti e dei lavoratori.

 

Il caso è stato sollevato da un concorrente di Tundo arrivato fino al grado di appello sostenendo l’illegittimità dell’aggiudicazione del lavoro all’imprenditore leccese. Il Consiglio di Stato ha concluso stabilendo che «la stazione appaltante avrebbe dovuto informarsi sulle manchevolezze dell’azienda in questi tre-quattro anni, che bisognava sincerarsi meglio dell’integrità morale del soggetto e dei requisiti professionali». Insomma, la Asl di Taranto ha assunto una decisione senza informarsi per avere cognizione delle violazioni commesse. Il provvedimento di aggiudicazione non prende nemmeno in considerazione la verifica dei requisiti di moralità. Colpa dunque dell’amministrazione che non ha chiesto sufficienti notizie su quanto era accaduto a Roma, Torino, Milano in circostanze analoghe. La versione di Tundo è sempre quella della difficoltà congiunturale e mai di una conduzione disinvolta dell’azienda. E anche per questo le denunce sindacali che si sono susseguite negli ultimi anni in diverse regioni sono state praticamente ignorate.

 

Adesso, dopo lo stop del giudice e gli sviluppi dell’inchiesta giudiziaria in corso sulla regolarità di aggiudicazione degli appalti pugliesi con il lavoro di verifica delle Fiamme gialle, si aggiunge anche una richiesta di concordato preventivo dell’azienda pugliese che rende più nebuloso il quadro, soprattutto rispetto alle aspettative dei lavoratori e alle previsioni contabili delle amministrazioni. Che in attesa di vedersi risarcite per i disservizi patiti dal mancato assolvimento degli obblighi di trasporto, si vedono ora arrivare i decreti ingiuntivi dei lavoratori. E c’è poi il fronte bancario: la società ha spesso adoperato con la leva dell’affidamento.