Norme stratificate, produzione isterica, assenza di risorse, retribuzioni inadeguate al livello di responsabilità: sono queste le ragioni che possono spiegare la paura di “firmare”

La pubblica amministrazione non funziona e i Tar bloccano i cantieri: sotto accusa controllati e controllori. Questo luogo comune, che diventa opinione diffusa senza risparmiare sacche di addetti ai lavori, rappresenta una facile via di fuga dalla responsabilità – politica – di non aver saputo creare un quadro di regole certe e comprensibili né saputo investire nella direzione giusta.

 

Un corretto approccio alla questione disvelerebbe due dati significativi: meno del 2 per cento delle gare bandite è oggetto di impugnazione e – in questa materia - il giudice amministrativo corre ad una velocità record (basti guardare le statistiche ogni anno declamate alle inaugurazioni dei TTAARR e del Consiglio di Stato); per altro verso, i fondi destinati alla formazione nel settore dell’impiego pubblico hanno subito negli ultimi anni tagli lineari incompatibili con prestazioni efficienti. Norme stratificate (per non dire accavallate), produzione normativa isterica, assenza di risorse nei tantissimi Comuni italiani di piccole dimensioni che rappresentano la spina dorsale dell’intero sistema, retribuzioni inadeguate ai rischi implicati dall’assunzione di responsabilità, ben possono spiegare la paura di “firmare”.

 

Di certo la soluzione non è quella imboccata della riduzione delle tutele: non è quella di derubricare la responsabilità erariale del funzionario pubblico cancellando la colpa, come si è fatto nel 2020 con l’art.21 del D.L. n. 76 convertito in legge n.120/2020; né quella di spuntare le armi al giudice amministrativo, ultimo baluardo della legittimità dell’azione pubblica dopo l’abolizione di tutti i controlli preventivi, come si è fatto nel 2021 con l’art.48 del D.L. n. 77, convertito in legge 128/2021.

 

È evidente che neanche in occasione dell’ultima grande iniezione di capitali negli investimenti con il piano Marshall del XXI secolo (il famigerato Pnrr di cui dovranno rispondere i nostri figli e nipoti) si è sfuggiti al corto circuito: al giudice amministrativo è stato sottratto il potere di “intervenire” nella fase dell’aggiudicazione con un provvedimento inibitorio che individua e corregge –immediatamente - l’eventuale violazione delle regole, riportando il procedimento sul corretto binario. Perché è esattamente questo che il giudice amministrativo fa con la odiatissima “sospensiva” e che non potrà fare rispetto agli appalti finanziati dal programma straordinario: corregge in tempo –quasi - reale la deviazione dal corretto procedimento; e lo fa sostenendo la decisione cautelare – quasi - immediata con una corposa motivazione (statisticamente non smentita in sede di decisione definitiva), fissando la data della discussione per la soluzione finale della controversia in un arco temporale molto ristretto anche per gli standard europei o, addirittura, lo fa decidendo la controversia con sentenza immediata, sottoposto a termini stringenti e mediamente osservati con scrupolo; tanto da non potersi ragionevolmente giustificare l’accusa di «bloccare» i cantieri.

 

La riduzione di tutele non può essere la strada maestra in uno Stato di diritto; non può esserlo per gli interessi individuali di cittadini e imprese, che finiranno per pagare di tasca propria errori e inefficienze lasciati andare né per la salvaguardia dello stesso interesse pubblico.

 

Occorrerà quindi guardare con onestà intellettuale alla radice dei problemi, non inseguire soluzioni punitive, controllare l’ipertrofia normativa (less regulation for better regulation) e spendere nella direzione giusta.

 

Gia Serlenga è Presidente dell’Associazione nazionale magistrati amministrativi