Sono passati 12 mesi dal primo scoop del nostro giornale sull'incontro a Mosca per finanziare la Lega con soldi russi. Un anno di menzogne e omissioni. Di risposte mai date. E di fughe continue. Dalle foto scattate all'Hotel Metropol il 18 ottobre a oggi ecco cosa abbiamo scoperto

Un anno dalla trattativa per finanziare con soldi russi il partito di Matteo Salvini. E dalla visita a Mosca del leader leghista, all’epoca ancora ministro e vicepremier, per presenziare al convegno di Confindustria e per incontrare segretamente il vicepremier russo, Dmitry Kozak.

Tanto è passato dal nostro viaggio a Mosca per cercare conferma alle notizie di cui eravamo in possesso. Un anno di menzogne e omissioni. Di risposte mai date alle nostre inchieste giornalistiche, di fughe continue dalle responsabilità da ministro, di silenzi sul negoziato del Metropol, organizzato dal suo ex portavoce Gianluca Savoini, il regista del summit politico-affaristico che con il collega Stefano Vergine avevamo documentato a febbraio scorso sull’Espresso e nel “Libro Nero della Lega”.

In seguito alla pubblicazione dello scoop, a febbraio, la procura di Milano ha aperto un fascicolo di indagine per corruzione internazionale. I nomi iscritti nel registro degli indagati al momento sono tre: gli italiani presenti al Metropol il 18 ottobre, Gianluca Savoini, l’avvocato e rappresentante di una banca londinese Gianluca Meranda, e il consulente Francesco Vannucci.

L’inchiesta giudiziaria sul Metropolgate prosegue, quindi, da otto mesi. I pm hanno in mano alcuni elementi non trascurabili. Hanno l’audio della registrazione dell’incontro del 18 ottobre. Le proposte commerciali (una di queste indirizzate a Rosneft, il colosso petrolifero il cui nome è stato fatto al tavolo dell’hotel) in cui le intese del Metropol sono state messe per iscritto su carta intestata della banca londinese che avrebbe fatto da mediatore dell’affare. E un foglio manoscritto con gli appunti di quel giorno e le cifre di cui hanno discusso Savoini e i russi durante la riunione.

La registrazione è genuina, ha stabilito il tribunale del Riesame. È valida e utilizzabile come prova, acquisita dai pm con un ordine di esibizione nei confronti dell’Espresso che ne era in possesso. Ci siamo limitati a consegnare il file, tutelando l’identità delle fonti. I giudici hanno così bocciato il ricorso di Gianluca Savoini che chiedeva l’inutilizzabilità dell’audio, sostenendo inoltre che doveva considerarsi comunque illegale in quanto registrato su territorio della Federazione russa. Questa tesi difensiva è stata respinta dal Tribunale del Riesame. Insomma, l’utilizzo della registrazione non è messo in dubbio. E per la procura è una prima vittoria in fase delicata di indagini preliminari.

Se questi documenti potrebbero bastare per provare il tentativo di corruzione ipotizzato dai magistrati milanesi, di certo non chiariscono del tutto gli interrogativi rimasti. Uno su tutti: l’affare si è chiuso? I protagonisti sostengono che non sia andato in porto. Chi indaga sta setacciando tutti i conti correnti, le connessioni, le relazioni societarie e non solo. I detective della Guardia di finanza stanno passando ai raggi x anche i flussi finanziari delle associazioni filorusse, come la Lombardia-Russia (fondata da Savoini).

Più passaggi nella sentenza del Riesame confermano il ruolo politico di Savoini nella trattativa: il punto di connessione tra l’affare e il partito. Per capire meglio la genesi e identificare tutti i protagonisti del negoziato, anche quelli occulti, che stanno sullo sfondo del Metropol, i magistrati si stanno districando tra il materiale sequestrato ai tre italiani coinvolti. Tra quelle carte e quei file in mano agli inquirenti potrebbero esserci gli elementi utili per ricostruire i preparativi dell’incontro di ottobre.

Di certo c’è che Savoini a partire da giugno 2018 aveva iniziato a imbastire trattative per chiudere l’affare gasolio. Sono di luglio i contatti e le offerte commerciali che insieme a Stefano Vergine abbiamo documentato sull’Espresso e nel “Libro Nero della Lega”. Avevamo svelato, per esempio, il negoziato con una società riconducibile all’oligarca Konstantin Malofeev, grande amico di Savoini e di Putin, tra i finanziatori più importanti del congresso mondiale delle famiglie. La società con cui Savoini ha dialogato in quel periodo si chiama Avangard Oil. Incontri ripetuti e scambi di offerte commerciali di cui abbiamo dato conto. Poi, però, Savoini cambia canale. Scommette su un altro giro del potere putiniano. Che lo porterà al summit del Metropol, il giorno dopo la visita di Matteo Salvini a Mosca. L’allora ministro e vicepremier era volato nella capitale di Putin per un impegno pubblico e uno segreto. Ufficialmente come guest star di Confindustria Russia, ufficiosamente per incontrare il vicepremier Dmitry Kozak, che ha la delega agli affari energetici.

L’incontro riservato, non previsto nell’agenda pubblica di Salvini, è centrale nel Metropolgate perché Kozak è molto vicino all’avvocato Vladimir Pligin, che il 18 ottobre al tavolo era rappresentato da uno dei russi di nome Ilya Yakunin. Anche su questa connessione i pm vorranno vederci più chiaro. Nonostante questo sia l’aspetto più politico della vicenda, che doveva essere affrontato in altre aule, per esempio quelle parlamentari.