Guerra, affari e politica
Savoini a Mosca chiedeva soldi per la Lega ai servizi segreti di Putin
La spia con il passaporto di Stato. L’ideologo della guerra in Ucraina. L’oligarca che finanziava Marine Le Pen. La star tv uccisa dall’autobomba. Ecco i personaggi del regime coinvolti nella trattativa all’hotel Metropol per finanziare il partito di Matteo Salvini
Dietro lo scudiero leghista Gianluca Savoini, nella sua missione a Mosca a caccia di rubli, si staglia una colonna di alfieri dei servizi segreti russi. Una cordata quantomeno imbarazzante per il partito di Matteo Salvini, che in questa campagna elettorale, listata a lutto dalla guerra in Ucraina, è impegnato a far dimenticare anni di uscite politiche a favore di Vladimir Putin. È una rete di potere che parte da una spia russa, che ha partecipato al famoso incontro con Savoini all'hotel Metropol, e arriva fino a Daria Dugina, la figlia dell'ideologo ultra nazionalista Alexander Dugin, assassinata lo scorso 20 agosto con un'autobomba: un clamoroso attentato per cui il regime di Putin accusa i servizi ucraini.
Tutto inizia il 18 ottobre 2018 a Mosca. Nella hall del Metropol c'è Gianluca Savoini, un fedelissimo di Matteo Salvini, di cui è stato per anni il portavoce. L'esponente leghista, accompagnato da due consulenti italiani, parla di soldi con tre russi. In quel periodo la Lega ha le casse vuote, dopo la sentenza definitiva che ha ordinato la confisca dei famigerati 49 milioni della truffa dei rimborsi elettorali dell'era di Umberto Bossi. Quel mattino Savoini, senza sapere di essere registrato da uno dei suoi interlocutori, propone un affare d'oro: vendere all'Eni gasolio russo, a prezzi maggiorati, per dividersi la cresta. Il suo obiettivo, dichiarato, è far rientrare milioni di euro in Italia, tramite società di comodo, per finanziare la Lega. A scoperchiare lo scandalo è L'Espresso, con uno scoop di Giovanni Tizian e Stefano Vergine pubblicato nel febbraio 2019.
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A quel punto la Procura di Milano apre un'indagine, tuttora in corso. E nel luglio 2019 la testata americana BuzzFeed pubblica una registrazione dell’incontro al Metropol, con la voce di Savoini che chiede ai russi i soldi per la Lega.
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Nel giugno 2021 il nostro settimanale aggiunge un altro tassello: uno dei tre russi è schedato come agente segreto di Mosca. Dunque Savoini, al Metropol, stava trattando con un rappresentante dei potentissimi apparati di spionaggio da cui proviene lo stesso presidente Putin. La presenza della spia è stata evidenziata ai magistrati italiani dalla nostra intelligence, che ha ricevuto l'informativa da uno dei Paesi fondatori della Nato (non dalla Cia). Di lui però i pubblici ministeri sanno solo che si chiama Andrey Yuryevich Kharchenko, nato nel 1980 a Baku, quando l'attuale Azerbaijan faceva parte dell'Unione sovietica. Le autorità di Mosca non hanno mai risposto alle richieste (rogatorie) della Procura di Milano.
A rivelare i segreti taciuti dal regime di Putin sono diverse notizie segnalate al nostro settimanale da un gruppo di giornalisti che prima della guerra lavoravano in Russia. Le loro scoperte sono state verificate e approfondite da testate internazionali come BuzzFeed, Bellingcat, Insider e Istories. Queste informazioni, finora sconosciute ai magistrati di Milano, forniscono conferme decisive sul ruolo di spia di Kharchenko. Con riscontri oggettivi, documentali: l'uomo del Metropol, in particolare, non risulta registrato come dipendente pubblico, però dopo la guerra in Crimea ha potuto viaggiare con uno speciale «passaporto di Stato», che i cronisti russi chiamano «di servizio» e viene rilasciato solo a rappresentanti del governo.
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Kharchenko ha usato il passaporto di Stato anche nel novembre 2016, per una missione di servizio: un viaggio ad Ankara insieme ad Alexander Dugin, il teorizzatore dell'annessione della Crimea e della guerra contro l'Ucraina. Pochi giorni prima, l'ideologo e l’agente segreto erano volati insieme proprio in Crimea, per incontrare un consigliere del presidente turco Erdogan. Dugin e la spia del Metropol, secondo i dati raccolti dai giornalisti investigativi, hanno fatto molti altri viaggi insieme, mai rivelati prima. Interpellato dai cronisti russi, Kharchenko non ha detto nulla sul Metropol, ma ha ammesso di lavorare per la fondazione Eurasia di Dugin, che però non pubblica il suo nome. Dopo la guerra in Crimea Kharchenko non risulta aver presentato, per almeno cinque anni, alcuna dichiarazione dei redditi: un altro segno che il suo lavoro è segreto.
Lo stesso Dugin ha fortissimi agganci con i servizi. Un'eredità di famiglia: prima di essere censurata dal regime, la stampa russa ha fatto in tempo a scrivere che suo padre era un ufficiale del Kgb. La sua immagine di filosofo con la barba ha messo in ombra, almeno in Italia, questi legami spionistici. Che a Mosca appaiono evidenti. Dugin è stato il consigliere di uno dei politici più vicini a Putin, Sergei Naryshkin, quando era presidente del parlamento russo, dal 2011 al 2016. Da allora Naryshkin è diventato il numero uno dei servizi segreti esteri (Fsb).
Dell’ideologo amico delle spie, Savoini è un sostenitore dichiarato da almeno un decennio: la sua associazione Lombardia-Russia ha pubblicato molte loro foto insieme. Il leghista ha visto Dugin, a Roma e a Mosca, anche nei giorni della trattativa al Metropol. Dove Savoini garantiva ai tre russi la sua «totale connessione» con «Alexander».
Nel novembre 2016, dopo la vittoria di Donald Trump negli Usa, è Dugin che ha realizzato l'intervista-shock di Matteo Salvini alla tv russa Tsargrad, in cui il leader della Lega dichiarava che «l'Unione europea non è una democrazia», ma «una costruzione artificiosa che ha già cominciato a crollare». Negli stessi mesi, nonostante la condanna internazionale della Russia con le prime sanzioni per l'invasione della Crimea, Savoini continuava a organizzare incontri, anche in Italia, tra Dugin, Salvini e altri leader dell'estrema destra europea, in qualche caso «da non pubblicizzare», come precisava nelle sue carte. E per le questioni più riservate, indirizzava i suoi messaggi alla mail della figlia dell’ideologo, Daria Dugina. Proprio la conduttrice di Tsargrad, uccisa dall'autobomba che il governo russo ha attribuito a un'agente segreta ucraina scappata in Estonia.
Dugin a Mosca è famoso soprattutto come agitatore televisivo della stessa rete, controllata dall'oligarca ultra ortodosso Konstantin Malofeev. Daria Dugina era la star femminile di quella tv militarista. E usava la mail di Tsargrad anche per comunicare con Savoini. Come in un gioco di matrioske, insomma, dalla spia del Metropol si arriva a Dugin. E dall'oligarca che lo paga, si torna alla Lega. Malofeev, infatti, è un grande finanziatore del Congresso mondiale delle famiglie, la kermesse integralista che fu ospitata nel 2019 a Verona dai ministri della Lega. Ed è uno degli oligarchi sospettati di manovrare soldi nell'interesse dei servizi di Putin. In Francia procurò a Marine Le Pen, nel 2011, prestiti bancari di favore per 11 milioni di euro. E nel 2018 il leghista Savoini trattò i primi affari petroliferi a Mosca con una società offshore dello stesso Malofeev.
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Sul piano legale, come sempre, tutti vanno considerati innocenti fino alle sentenze finali dei giudici. E qui forse un processo non si farà mai: in mancanza di risposte dalla Russia, la stessa Procura potrebbe dover archiviare tutto. Ma il problema non è giudiziario: il caso del Metropol è uno scandalo politico internazionale.
Confermato anche dalla ricostruzione dei fatti firmata dal tribunale del riesame e finora mai contraddetta: da tutte le fonti di prova «emerge in maniera nitida» che Savoini, a Mosca, stava «contrattando l'acquisto da parte dell'Eni di ingenti quantitativi di prodotti petroliferi, prevedendo che una percentuale del prezzo, indicata nel 4 per cento, sarebbe stata retrocessa per finanziare la campagna elettorale della Lega». E a confermarlo, come sottolineano i giudici di Milano, sono «le stesse parole auto-indizianti pronunciate da Savoini». Parola di leghista filo-russo.