L’omaggio ai maestri Dumas e Simenon. Le città nei romanzi polizieschi italiani. Il Festival du Livre a Parigi e il Festival del Giallo a Napoli. Due grandi scrittori a confronto: “Noi romanzieri noir siamo diversi dagli altri scrittori, ci vogliamo bene”

Sarà che a Napoli le metafore calcistiche vengono facili. Qualche settimana fa alcuni grandi autori italiani di romanzi neri erano a Parigi per il Festival du Livre: una squadra in trasferta, appunto, per svelare nella patria del polar i segreti del giallo all’italiana. Protagonisti Maurizio de Giovanni, Giancarlo De Cataldo, Donato Carrisi, Gianrico Carofiglio, apprezzati e tradotti al di là delle Alpi, si sono avvicendati sui palchi del Grand Palais Éphémère e di alcuni teatri parigini. Un omaggio alla letteratura italiana, che prosegue in questi giorni nella città partenopea con il Festival del Giallo (fino al 28 maggio) diretto da Ciro Sabatino, presidente onorario de Giovanni: oltre 60 scrittrici e scrittori – tra cui Carlo Lucarelli, Diego De Silva, Alessia Gazzola, Maria Oruña – e una trentina di eventi. Per restare nella metafora, stavolta i giallisti italiani giocano in casa, o quasi: l’evento, infatti, viene ospitato dall’Institut Français Napoli ed è dedicato al giallo francese, dalla Parigi misteriosa di Edgar Allan Poe - il suo “I delitti della Rue Morgue”, del 1845, viene considerato il primo romanzo poliziesco della storia - ad Arsène Lupin e Georges Simenon.

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Partono proprio dal padre del commissario Maigret, Maurizio de Giovanni e Giancarlo De Cataldo, seduti uno accanto all’altro alla Maison de la poésie a Parigi, per spiegare le differenze tra le due tradizioni del romanzo poliziesco, la triangolazione tra scrittori, le rispettive influenze. «Siamo tutti figli di Simenon: è un autore geniale, ma oltre a lui c’è una paternità forte di Alexandre Dumas padre», esordisce de Giovanni, che ha appena pubblicato il suo nuovo romanzo “Sorelle – Una storia di Sara” (Rizzoli), che narra le vicende della ex agente dei servizi segreti Sara Morozzi, alle prese con un’indagine che riguarda il rapimento della sua amica, collega e sorella Teresa Pandolfi, la bionda a capo dell’unità segreta dei servizi, che è stata rapita. Lo scrittore napoletano non nasconde la riconoscenza nei confronti della letteratura francese: «“Il conte di Montecristo” di Dumas è il primo vero romanzo nero che sia mai stato scritto. L’eroe è un criminale e in genere viene sottovalutato il fatto che il protagonista, Edmond Dantès, sia un vendicatore, uno che si macchia di crimini terribili, sulla base di una premessa che porta il lettore dalla sua parte».

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Dal canto suo, De Cataldo riconosce una discendenza ancora più precisa. «Per la parte storica dei miei romanzi, “I traditori” e “Romanzo criminale”, vedo una filiazione diretta da Honoré de Balzac, in particolare da “Le illusioni perdute”. Noi facciamo produzioni seriali, come faceva anche lui, che a differenza di noi non aveva il computer», riflette lo scrittore, un tempo magistrato: «Ho sempre prestato attenzione al grande romanzo storico dell’Ottocento, che in Francia ha conosciuto uno sviluppo più importante rispetto al nostro. In Italia non esisteva una lingua, dunque neanche una letteratura. E poi occorre sottolineare che la storia di Alexandre Dumas padre si intreccia profondamente con la nostra: è lui a studiare per primo la camorra, sulle tracce di Marc Monnier. Alcuni storici sostengono addirittura che Monnier abbia inventato la camorra».

De Cataldo, che a inizio luglio pubblicherà “Colpo di ritorno” (Einaudi Stile Libero), un nuovo romanzo del ciclo con protagonista Manrico Spinori della Rocca, il pubblico ministero aristocratico che risolve i casi ascoltando l’opera lirica, segnala alcune differenze fondamentali tra le due scuole. «Nei gialli italiani le città sono importantissime, perché sono molto diverse tra loro. In Francia invece c’è Parigi e poi ci sono tante altre France che conosciamo meno», aggiunge: «Esistono storie che possono essere raccontate solo a Roma, Napoli, Firenze». De Giovanni annuisce e sposta l’accento su un altro tema: «A differenza della letteratura mainstream, che racconta gli interni delle case, la crime fiction è il racconto delle relazioni sociali che nascono in strada. Da questo punto di vista Andrea Camilleri è stato lo spartiacque. Per questo noi giallisti siamo complementari: per conoscere l’Italia bisogna leggere i nostri romanzi. Facciamo un po’ di pubblicità», ironizza l’inventore del commissario Ricciardi. Dai suoi libri, ambientati nella Napoli degli anni Trenta, è nata una delle più fortunate serie tv (Rai) degli ultimi anni. «Faccio le serie tv e poi neanche le guardo. Preferisco leggere libri. I suoi», dice lo scrittore napoletano indicando l’autore di “Romanzo criminale”, che replica: «Le serie tv? Sono come un tradimento: se gli amanti sono soddisfatti è un buon tradimento, altrimenti vuol dire che è andata male».

Anche se si muovono sul terreno della finzione, i giallisti non rinunciano ad osservare la realtà che li circonda. Tutt’altro. De Giovanni ammette di restare colpito da alcuni fatti di cronaca come la vicenda di Youssef, il ragazzo del Mali trovato senza vita su una spiaggia, qualche anno fa, dopo un naufragio. Nella giacca aveva una pagella con ottimi voti cucita dalla madre. «L’immigrazione è una terribile ferita che ogni popolo porta sulla propria pelle, veder partire le persone migliori per un’altra terra. In genere ci concentriamo sull’approdo, non seguiamo la ferita che resta nel Paese che lasciano i migranti. E pensare che ottant’anni fa eravamo noi a partire, tra drammi e speranze», riflette de Giovanni.

E la realtà è protagonista anche del ciclo di De Cataldo: Manrico Spinori ha uno sguardo critico sul mondo con i suoi eccessi, che riflette in parte la visione dell’autore. E si rifugia nella passione per la musica. «Come me, Spinori non ama molto il mondo contemporaneo dominato dai social, gli sembrano pieni di pornografia. Tutti parlano di emozioni ma sono false, puro narcisismo», afferma De Cataldo: «L’opera lirica invece vi costringe a credere che una soprano molto robusta muoia per “il mal sottile” oppure che un tenore colpito da un coltello impieghi un quarto d’ora a tirare le cuoia. Se accetti quel patto, riconosci i veri sentimenti: passione, tradimenti, gelosia, crudeltà, avidità. L’investigatore è un uomo contemporaneo che cerca di comprendere il mondo in cui si trova. Quello che faccio io con l’opera lirica il mio amico Maurizio lo fa con la grande canzone napoletana».

Se esiste un’internazionale degli autori del giallo, che arriva fino all’India e al Sudamerica, gli scrittori italiani rappresentano un mondo a parte. «Si è creata una squadra, un movimento del romanzo poliziesco italiano fatto di persone che si vogliono bene, scherzano, stanno bene insieme, raccontano il Paese da angolazioni diverse. Noi del polar siamo diversi dalla società letteraria. Gli altri scrittori sono pettegoli, si odiano, si accoltellano alle spalle. Noi invece tentiamo di costruire un modo di raccontare», ironizza l’autore di “Romanzo criminale”, che porge l’assist all’amico che ha inventato il commissario Ricciardi: «Siamo tutti ex galeotti, alcolisti, aspiranti uxoricidi, abbiamo tutti il crimine dentro di noi. Per cui ci riconosciamo», scherza de Giovanni. «E infatti un uomo di legge ci voleva in questa compagnia», ribatte De Cataldo, alludendo a sé stesso. «La nostra in realtà non è un’amicizia, ma una sottoposizione. Giancarlo è il mio capo», conclude de Giovanni: «A lui si riconosce una leadership assoluta, quando ti chiama ti ordina: “Guarda dobbiamo fare questa cosa”, io la faccio. È un patto leonino, non paritetico».