Il grande scrittore spagnolo interverrà al Salone del Libro di Torino per “Riscrivere la parola intellettuale”

Tra i più grandi autori di oggi, Javier Cercas scrive libri amati e premiati, da “Soldati di Salamina” a “Anatomia di un istante”. Da anni puntualmente interviene nel dibattito pubblico su nazionalismi, populismi, migrazioni, sull’Europa. «A sessant’anni dovrei rassegnarmi ad essere catalogato come intellettuale», scrive nel suo libro più recente, “Colpi alla cieca”, edito come sempre da Guanda. Al Salone interverrà il 18 maggio (ore 18,30, “Il mondo che verrà”) e il 19 (alle 15.45), per “Riscrivere la parola intellettuale”.

 

La parola non le piace granché: teme chi prende troppo sul serio sé stesso anziché il proprio lavoro. Ma intellettuale lo è: si è rassegnato?
«Che posso farci? Da quando questa figura è comparsa in Francia, alla fine del XIX secolo, con l’esplosione del caso Dreyfuss, un intellettuale è essenzialmente una persona che ha acquisito una certa notorietà – uno scrittore, un pittore, un musicista – e che, oltre a esercitare il proprio mestiere, interviene in qualche modo nel dibattito pubblico. Bene o male, è quello che sto facendo da più di vent’anni, perciò – sebbene la parola mi suoni troppo solenne, e sebbene troppo spesso gli intellettuali abbiano svolto un triste ruolo durante il XX secolo – sì, per quanto mi dia fastidio non ho altra scelta che accettare di essere un intellettuale. Di più (non so se sto per darle una brutta notizia): è molto probabile che lo sia anche lei. Ancora di più: è molto probabile che lo siano molti di coloro che ci stanno leggendo, per quanto godano di poca notorietà. La spiegazione è semplice: durante il XX secolo, pochissima gente poteva far sentire le proprie opinioni; oggi, però, in parte grazie ai social network, quasi tutti possono farlo. E, se intervieni nel dibattito pubblico, stai già operando come un intellettuale. Perciò, benvenuti nel club».

 

La guerra, le disuguaglianze… Su quali urgenze avverte più l’esigenza della voce degli intellettuali?
«Tutte, la politica è cosa di tutti. Politica viene dal greco polis, città, e la città è di tutti; e “democrazia” in greco significa “potere del popolo”, e il popolo siamo tutti. La politica è troppo importante per lasciarla nelle mani dei politici».