Due ventenni allo sbando, decisi a lasciare tutto per entrare nell’Eta. Il nuovo romanzo dello scrittore spagnolo, ospite al Salone del Libro a Torino. “Le storie più pericolose, oggi come ieri, sono quelle che non ammettono repliche né sfumature, che inducono al fanatismo”

Due ragazzi, due giovani baschi, decidono di lasciare tutto per entrare nell’ETA. Sono imbevuti di nazionalismo, pronti al più rigido addestramento pur di seguire il loro cieco fanatismo. Ma proprio mentre si preparano a colpire, allenandosi in una fattoria di allevatori di galline in Francia, scoprono dalla tv che l’organizzazione indipendentista ha annunciato la fine della lotta e lo scioglimento delle cellule.

 

I due ventenni allo sbando, alle prese con ideali perduti, sono i protagonisti di “Figli della favola” (Guanda), il nuovo romanzo di Fernando Aramburu. Che torna all’universo di “Patria”, il suo libro più potente, e a quel 2011 nel quale l’ETA annunciò la fine della lotta armata, per raccontare lo strascico di dolore e di lacerazione lasciato, le comunità lacerate, i sentimenti feriti, il senso della famiglia. Di tutto ciò lo scrittore parlerà al Salone del Libro di Torino il 21 maggio (alle ore 17,15).

 

“Figli della favola” ruota intorno alla fine di un’ideologia per la quale lottare e sacrificare la vita. I due protagonisti dovranno ricercare un senso nuovo da dare alla loro esistenza e alle loro battaglie. Viviamo in un mondo post-ideologico con urgenze importantissime come la crisi climatica. Quali sono le favole più pericolose?
«Le favole più pericolose, oggi come ieri, sono quelle che non ammettono repliche né sfumature, che inducono al fanatismo e a quello che è successo tante volte nella storia dell’umanità, il diritto di danneggiare gli altri, e anche di annientarli, in nome di una fede, di una causa, di un’utopia; insomma, una favola».

 

Dalle favole dobbiamo continuare a diffidare. Colpisce però che la tentazione più forte, per i due ragazzi in cerca di senso, sia la nostalgia, una delle emozioni più forti e più in circolazione della contemporaneità. E il futuro?
«Ho sempre pensato che la nostalgia fosse associata alla perdita, e che pertanto, pesava di più ai vecchi, a chi teneva sulle spalle un carico di ricordi e di sconfitte. A me personalmente i primi sintomi della nostalgia sono arrivati dopo i trent’anni. Prima di questa età mi sentivo immune da ogni forma di nostalgia. Ma continuo a pensare che il futuro sia proprietà dei giovani».