La ricostruzione. Il boom economico. La televisione. Le immagini dell’agenzia Publifoto raccontano l’Italia che cambia. Tra divi amatissimi e gente comune, festival canori e conquista della Luna

In due su una bicicletta: lei da un lato, lui dall’altro. Lei con i piedi sui pedali di sinistra, lui su quelli di destra. E in mezzo si immagina un sellino diviso a metà. Procedono sorridenti, in un equilibrio perfetto che non teme né il famigerato pavé né le rotaie del tram. Siamo a Milano nel 1947, e i due giovani immortalati dal fotografo dell’agenzia Publifoto su un esemplare più unico che raro di “bici-coppia” sembrano un’icona dell’Italia del boom economico: anni difficili ma pieni di speranze, con un popolo intero che riusciva in imprese apparentemente impossibili grazie all’incoscienza di chi, durante la guerra appena finita, aveva schivato rischi ben peggiori.

Pensate che fatica: scegliere qualche decina di immagini da esporre avendo a disposizione un archivio di oltre 7 milioni di scatti, il meglio di una produzione che ha coperto ogni avvenimento della cronaca italiana dagli anni Trenta agli anni Novanta. Per la mostra che inaugura i nuovi spazi torinesi della Fondazione Intesa Sanpaolo, Giovanna Calvenzi e Aldo Grasso avevano però una linea precisa: raccontare i venticinque anni che vanno dalla fine della guerra al volo dell’Apollo 11.

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Il risultato è “Dalla guerra alla luna. 1945-1969”, la selezione che da martedì 17 maggio accompagnerà i visitatori nei nuovi spazi della sede torinese delle “Gallerie d’Italia”, che a Milano, Vicenza e Napoli ospitano collezioni e iniziative culturali della fondazione. Torino e Napoli, nelle nuove ristrutturazioni firmate da Michele De Lucchi, riaprono con focus diversi: a Torino, oltre all’archivio Publifoto, saranno esposte opere del barocco piemontese mentre a Napoli, dal 21 maggio, torna in mostra il “Martirio di Sant’Orsola” del Caravaggio, insieme a bellissimi vasi greci e opere d’arte contemporanea (da Fontana a Burri, da Boetti a Gerhard Richter).

La mostra curata da Calvenzi e Grasso festeggia l’arrivo nel Palazzo Turinetti di Piazza San Carlo dell’intero archivio della Publifoto, acquistato da Intesa Sanpaolo nel 2015. L’archivio, ospitato in uno dei piani ipogei del palazzo, sarà a disposizione del pubblico, che potrà vedere le immagini anche attraverso pannelli touchscreen e proiettori 4K. Tornano così in circolazione le immagini dell’agenzia chiusa nel 1995: un’agenzia fondata nel 1939 da Vincenzo Carrese, nato a Castellammare di Stabia ed emigrato a Milano per diventare giornalista. L’obiettivo dichiarato era fornire immagini alle pagine di cronaca (il nome completo è “Publifoto. Fotografie da pubblicare”) ma l’azienda si ritrovò da subito a produrre fotografie di una qualità che oggi è considerata arte, e con una scelta di avvenimenti che è diventata Storia.

Le foto non riportano il nome dell’autore ma per Publifoto hanno lavorato grandi nomi dell’epoca come Tino Petrelli, Carlo Ancilotti, Fedele Toscani, Peppino Giovi, Peppino Benzi: e si vede. Ognuna delle immagini che L’Espresso mostra in esclusiva meriterebbe un articolo a sé.

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Un gruppo di bambini in posa con cartelli più grandi di loro per chiedere campi da gioco (siamo a Gallarate nel 1966) sarebbe l’occasione per raccontare un Paese che fin da allora, nella fretta di crescere e di costruire, ha iniziato a calpestare i diritti dell’infanzia, e ancora ne paga le conseguenze. Dalida – lunghi capelli, lunghissime gambe – seduta sul tetto di un'automobile saluta i fan che la circondano durante una tappa del Cantagiro, festival popolarissimo che portava i divi della musica in tante città di provincia: siamo nel 1968, e il calore del Cantagiro rilancia la carriera italiana della cantante che l’anno prima aveva portato a Sanremo con Luigi Tenco la sfortunata “Ciao amore ciao”, la cui bocciatura spinse il cantante piemontese al suicidio. Anche Dalida tentò di uccidersi, un mese dopo Tenco; ci riuscì 20 anni più tardi. 

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Molte delle foto in mostra raccontano l’influenza che sull’evoluzione della società italiana hanno i mezzi di comunicazione. Negli anni Cinquanta ascoltare una trasmissione alla radio è l’occasione per ritrovarsi tra amici, come racconta una foto di giovani del 1952. Alla fine degli anni Sessanta, invece, la tv non è ancora arrivata in tutte le case: ed è al bar che gli italiani si riuniscono per vedere insieme uno degli eventi della Storia del Novecento: l’arrivo del primo uomo sulla Luna. La foto è del 20 luglio 1969: il visitatore di oggi non vede lo schermo ma conosce le immagini sfuocate che quei giovani stanno guardando con tanta attenzione (solo uno di loro si lascia distrarre e volge lo sguardo verso il fotografo). E sembra di sentire anche il sonoro, la voce di Tito Stagno che con il suo racconto rende comprensibili quelle immagini mai viste prima.

Si sente dire a volte, con tono da sfottò, che «l’Italia non l’ha fatta Garibaldi, l’ha fatta Mike Buongiorno»: una battuta che torna in mente davanti a uno scatto dal set di “Lascia o raddoppia?” del 1956. Si riconoscono, da sinistra, il presentatore ancora giovanissimo, la valletta Edy Campagnoli con un vestito a campana che tiene le distanze come una crinolina dell’Ottocento, poi Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi impegnati in una gag. Ma chiunque sia stato a realizzare l’unità del nostro Paese - Garibaldi o Buongiorno, le mondine delle risaie o i muratori dell’Autostrada del Sole, gli sfollati del Vajont o i volontari dell’alluvione di Firenze, i meridionali che partivano per il Nord o le donne che chiacchierano tranquillamente dalle finestre di Milano bombardata – davanti alle fotografie di questa mostra nasce una certezza: chiunque sia stato a costruire l’Italia, l’aveva fatta bene.