A Oviedo il convegno più ricco degli ultimi anni sul tema del sessismo e della discriminazione contro le donne. “Non si può combattere oggi se non indaghiamo nel nostro passato”

Ciò che non è nominato non esiste. Lo ha detto Victoria Rosell, delegata del governo spagnolo contro la violenza di genere, ed è il principio che ha mosso il Xll Congreso internacional dell’Audem, Asociacion universitaria de estudios de las mujeres, appena concluso nella Facoltà di Lettere a Oviedo, in Spagna, sul tema “La misoginia en la literatura, la cultura y la sociedad. Una mirada al pasado y retos para el futuro”.

Centocinquanta relatrici in presenza (una decina i relatori) fra studiose e scrittrici, e una quarantina on line, per il convegno forse più ricco degli ultimi anni, per adesioni e per l’ampiezza di orizzonte, geografico e storico.

«Non si può combattere la misoginia oggi se non indaghiamo nel nostro passato», ha esordito Estela Gonzales de Sande, docente di Letteratura italiana, organizzatrice del convegno assieme alla sorella e collega Mercedes: «E cioè i modi e gli strumenti con cui si è espressa e diffusa nei secoli, creando modelli e categorie adottati anche passivamente da uomini e donne nella cultura e nella società».

Tant’è. Dai Padri della Chiesa alle madri del pensiero no-binary, dai canti medievali ai videogames, passando per i pamphlet e i trattati morali, dai martirologi (veri cataloghi della violenza sulle donne) ai riti funerari e alle fiction tv, in un percorso avvincente e tenebroso emerge la narrazione sulla donna (volontaria e involontaria) nei vari Paesi, e la misoginia furiosa o disfrazada (travestita), automatica o ideologica, razzista e coloniale, quella accademica e militante, in tempo di guerra e di pace, in fabbrica, in carcere o negli ospedali, durante i disastri naturali, dentro la mafia e nel settore marittimo, dai manuali di scuola a quelli diagnostici per il disturbo mentale. Tra povere e regnanti, contadine e celebrità. Dal “realismo isterico” al “disarmismo”, al “femminicidio romantico”.

Non esistono parole innocenti. La lingua è intrisa di sessismo, ne siamo tanto imbevuti e sgocciolanti da averne perso la lucidità, ma sono tante, ovunque, in studio, le mujeres olvidadas, dimenticate, o peggio silenziate, autrici di testi rimossi o svalorizzati, da riconsegnare alla memoria. E non solo per allungare lo sguardo, ma per rifondare un linguaggio paritario ed equo, che le studiose spagnole con giusto orgoglio rivendicano come prioritario, non solo negli atti normativi di ministeri e istituzioni, ma anche per l’amplissima produzione di testi, negli ultimi quindici anni - a cura di ministeri, università, centri di ricerca, sindacati e associazioni - sull’uso non sessista del linguaggio.

È l’Italia, ahinoi, il Paese più attardato, anche sul fronte degli interventi legislativi, riguardo all’uso non discriminante del linguaggio. Il provvidenziale testo di Alma Sabatini, “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”, pubblicato nel 1986 per la Commissione nazionale per la parità e pari opportunità, è stato ignorato sino a ieri non solo dai media ma dalle stesse istituzioni che lo avevano commissionato.

Non solo palabras, dicevamo - scambiate, scadute e da reinventare. L’assemblea dell’Audem, a fine convegno, ha definito il suo piano attivo di osservatorio permanente tra le associazioni femminili e la ricerca delle allieve.

Sulla fiancata del bus che prendiamo al volo c’è scritto Stop alla violenza sulle donne. Scritte analoghe, in colori forti e vitali, campeggiano sui pannelli in strada. Mentre il campus universitario si allontana, e scompare tra gli alberi, Estela racconta che per loro non è mai esistita la scrittrice. C’è sempre stata la scrittora. Persiste ancora la poetisa, strisciante e canzonatoria, ma la parola, per tutte, è poeta.