Racalmuto, Aragona. Le dimore, i parchi letterari, le librerie dei grandi autori del Novecento vanno in malora. E in molti casi a ricordarli c’è a malapena una targa

“Terra di Pirandello”. Questa frase ormai abusata, nella provincia di Agrigento viene utilizzata per ogni problema, anche futile, che ha alla base un paradosso. Che sia la terra di Pirandello, ma anche di Sciascia, Camilleri e Tomasi di Lampedusa, tutti cresciuti nel raggio di 30 chilometri, viene invece spesso dimenticato e quella Sicilia che ha visto passare i più grandi scrittori del Novecento, rimane “Terra di Pirandello” soltanto nel senso più dispregiativo del termine, perché i luoghi vengono lasciati (paradossalmente) chiusi e abbandonati. «La casa di Pirandello era un mortorio», ha tuonato il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, che ha voluto svecchiare il luogo natale del premio Nobel attraverso installazioni elettroniche e nuovi percorsi, annunciando poi un finanziamento di 20 milioni di euro per riaprire vecchie case appartenute a scrittori e celebri personaggi siciliani.

Nel 2021 ci si è accorti infatti che la Sicilia ha un tesoro: la cultura. In questi fondi però non ci sono soldi per Aragona, la seconda casa di Pirandello, che ha visto già andato sprecato più di un milione di euro, per la miniera che era appartenuta alla famiglia dello scrittore. Tra l’erba incolta che copre quello che doveva essere l’ufficio informazioni non rimane nulla: la cascina dello scrittore, bruciata con il quadro elettrico distrutto per rubare i fili di rame, fa oggi da riparo ai pastori che portano tra lo zolfo e le colline le proprie pecore. Nessun biglietto mai staccato: gli stessi aragonesi non ne erano a conoscenza. Così salendo dalla collina che prima era percorsa dai “carusi”, gli stessi abitanti scoprono per caso la storia di quel posto, rimanendo estasiati, come Ciaula quando vede la luna la prima volta, nelle novelle di Pirandello. Una situazione pirandelliana. Appunto.

 

La terra del Caos, come scriveva il premio Nobel, è anche la terra di Andrea Camilleri. Nella “Vigata” del commissario Montalbano, quello dei romanzi, un murales ricorda che quella è la sua terra. Una statua appoggiata al palo raffigura il commissario dei libri, nella terra dove manca una libreria per acquistare le opere del celebre scrittore e i turisti non possono visitare quasi nulla: «Ci sarebbe tanto da mostrare su Camilleri che non viene mostrato», spiega Angela Roberto, dell’associazione Archeoclub nel suo percorso alternativo sui luoghi dello scrittore: «La sua prima casa in via Vittoria non è mai stata conosciuta, mentre la sua ultima casa non è visitabile e l’altra sua abitazione è andata distrutta, ma qui anche i vicoli parlano di lui e sarebbe opportuno farli conoscere ai turisti».

 

 

Nel 2018, invece, la casa dove il papà di Montalbano aveva passato parte della sua vita, “Casa Fragapane”, è stata abbattuta: nessuno ha voluto comprarla o rimetterla in sesto. Così se le opere di Camilleri hanno fatto le fortune della terra di Ragusa, set televisivo del celebre commissario, dopo la morte dello scrittore, seppellito a Roma, sarà la capitale, seconda casa di Camilleri, a beneficiare della sua memoria, con la costruzione di un fondo in cui studiosi e appassionati potranno trovare gli scritti inediti dello scrittore empedoclino, mentre la Vigata dei romanzi, quella vera, resta in ombra. Percorrendo ancora la strada degli scrittori, a Racalmuto, la casa di Leonardo Sciascia, in vendita per lungo tempo, è stata invece acquistata da un privato, Pippo Di Falco. Mentre il Comune attendeva una mano dall’alto per aprire le porte dell’importante abitazione che conserva ancora il letto dove dormiva lo scrittore, quando tutto stava andando in malora, ci ha pensato un appassionato a far conoscere a turisti e studenti l’abitazione delle zie, dove viveva Sciascia.

La strada degli Scrittori, chiamata appunto così perché sul suo territorio hanno vissuto i maggiori scrittori del Novecento, collega Agrigento a Caltanissetta. “La piccola Atene”, la chiamava Sciascia che ne era ammaliato di quella cittadina dove la libreria dell’omonimo editore Sciascia, nel centro storico della città, era cuore pulsante dell’attività intellettuale.

 

Da qualche anno la libreria è chiusa, al suo posto oggi c’è un’agenzia immobiliare. Il comune ha pensato di porre una targa con scritto “in memoria della libreria Sciascia”. Leonardo Sciascia ci studiò a Caltanissetta, dall’età di quattordici anni, quando si iscrisse all’istituto magistrale dove insegnava lo scrittore Vitaliano Brancati. L’edificio ha ospitato per sette anni il parco letterario Regalpetra, poi tutto è finito ed è stato abbandonato. Oggi ci sono dei magazzini comunali. Nel quartiere Santa Lucia, lungo la via che conduce allo storico mercato “A Strata foglia” c’è la casa natale dello scrittore Pier Maria Rosso di San Secondo. Lì vicino si trova anche la casa del filosofo Rosario Assunto. Entrambe non tutelate, non valorizzate e dimenticate. Nella centralissima piazza Garibaldi si può godere la fontana con Tritone, una delle tante opere dello scultore nisseno Michele Tripisciano.

Anche se le opere più famose dello scultore si trovano sparse in varie parti d’Italia, come a Roma il “Monumento a Gioacchino Belli” che si trova nella piazza a lui dedicata. «Il comune di Caltanissetta aveva acquistato la casa che ora giace in completo abbandono. L’unica cosa che hanno fatto è mettere una targa», racconta Leandro Ianni, presidente di Italia Nostra Caltanissetta: «Così come alcuni anni fa l’associazione Storia Patria di Caltanissetta ha messo sempre una targhetta sulla casa in cui ha vissuto Sciascia, in via Redentore, ma più di questo niente. Più che targhe così sembrano delle lapidi», dice spazientito Ianni.

 

 

Dalla scrittura all’archeologia, la storia che potrebbe portare turisti non è di casa in questa parte di Sicilia: a circa una decina di chilometri a nord est di Caltanissetta c’è il parco archeologico di Sabucina. Le erbacce dominano l’area e qualcuno pensa di dargli fuoco, infatti, ogni anno, soprattutto d’estate ci sono incendi fin dentro il parco archeologico. L’ultimo, quello di agosto, ha distrutto un’area di 30 ettari. Lì sul Monte Sabucina, si trova l’omonima aerea archeologica di enorme valore, tanto che con un decreto dell’Assessorato Regionale ai Beni Culturali e Ambientali del 2001 è diventato “parco archeologico regionale”. L’importanza è legata alla sua origine risalente all’età del “bronzo antico” che ne fa uno dei siti archeologici più antichi della storia siciliana. Vi abitarono le antiche popolazioni dei sicani, a cui seguirono i greci e poi i romani.

C’è un cartello e poi un cancello aperto, tutto attorniato anche qui da erba alta che quasi impedisce la vista di avanzare. Oggi questo sito è abbandonato e perfino ciò che si era tentato di realizzare, cioè una biglietteria e i servizi igienici, sono stati devastati dalle intemperie, dai vandali dagli incendi. Non esiste, tra l’altro, neanche il servizio di sorveglianza e sul sito della regione siciliana si legge che il sito è chiuso temporaneamente e che il biglietto intero ha un costo di due euro, e ridotto uno. Ben poco per un’area di così pregio valore. Se fosse fruibile. Cinque chilometri più a sud si trova il sito archeologico “Gibil Gabib”, dall’arabo “Monte di Habib”. È collocato ai piedi di una collina alta seicento metri che domina il fiume Salso, e proprio lì ci sono due necropoli. «Inaugurato e subito dopo abbandonato, è questa l’assurdità. Ormai non si fa più neanche l’ordinaria manutenzione. Abbiamo scritto numerosi esposti alle autorità competenti ma nessuno mai ha risposto», racconta Ianni. Nel territorio comunale di San Cataldo ricade il sito archeologico “Vassallaggi” e rappresenta un importante esempio di insediamento greco del centro Sicilia, ellenizzato da coloni greci-rodio-cretesi. Anche questo è non fruibile, e si trova in uno stato di abbandono.

 

In tutta questa storia c’è da dire che la Soprintendenza di Caltanissetta non ha un archeologo tra i suoi funzionari, così come a Gela. Torniamo in città, a Caltanissetta. Sulla statale la si vede in lontananza. È alta 286 metri e detiene il primato in Italia di struttura più alta e fino al 1965 lo detenne anche in Europa. Negli anni, “l’antennone Rai”, come lo chiamano qui, è diventata il simbolo di Caltanissetta, situata com’è sul colle Sant’Anna, a 689 metri d’altezza. Una specie di tour Eiffel siciliana. Fu inaugurata il 18 novembre del 1951, alla presenza dell’allora ministro delle Poste e telecomunicazioni Giuseppe Spataro, l’allora presidente della regione Sicilia Franco Restivo e l’allora presidente della Rai Cristiano Ridomi. Il centro trasmittente di Caltanissetta aveva un compito strategico ben preciso: portare il segnale della radio italiana in tutti i Paesi del Mediterraneo e in buona parte dell’Africa.

Il segnale iniziò a morire il 9 agosto del 2004, quando furono spente le onde lunghe, seguite nell’arco di dieci anni da tutte le altre. Sono rimasti impianti di trasmissione ancora intatti che rappresentano pezzi unici nella storia della radiodiffusione. Ebbe a dire così anche il nipote di Guglielmo Marconi durante una visita casuale. L’idea di farne un museo delle comunicazioni o centro ricerca per giovani studiosi in accordo con le università pare sfumato, come sfumato fu il sogno di avere l’università a Caltanissetta. Non c’è più. La Rai vuole abbattere l’antenna, troppi i costi di manutenzione, e dall’altro lato ci sono le associazioni, i cittadini, che vorrebbero tutelare quello che reputano un bene.

 

 

Qualche settimana fa tutto era pronto per la demolizione, nel cantiere c’erano anche le telecamere ma poi l’opposizione dei cittadini in primi e i vari appelli arrivati, hanno evitato il peggio. Quel giorno il dipartimento regionale dei Beni culturali ha indicato alla Soprintendenza di Caltanissetta di dare avvio alle nuove procedure per l’apposizione del vincolo di bene di interesse culturale dell’antenna Rai di Caltanissetta, ritenuta dalla comunità locale e dalle organizzazioni del territorio un elemento fortemente identitario e dal profondo valore storico e culturale, mentre la Regione mette sul piatto 350 mila euro per salvarla, per far sì che non diventi l’ennesimo ricordo della Sicilia che fu. «A futura memoria, se la memoria ha un futuro», come scriveva Sciascia.