Coming out, identità e discriminazioni: in occasione del Pride month, K magazine racconta in una video intervista le esperienze personali di attiviste e attivisti. Quale sarà il futuro di un etichetta in evoluzione?

«Essere queer è un modo per esprimere la mia persona»; «Spesso mi sono sentito rivolgere la domanda “ma prima come ti chiamavi?”»; «Fare coming out l’ho sentito un po’ come un dovere verso i miei genitori ma allo stesso tempo è stata una liberazione»; «Le mamme, davanti ai propri figli, mi lanciavano i sassi per strada per spiegare che se fossero diventati come me avrebbero fatto quella fine»; «Sono stata bombardata da frasi tipo “tu non sembri lesbica affatto, tu non sei così, è solo una fase”. Sembrava sempre che qualcuno cercasse di strapparmi via la mia identità».

Sono voci di persone, uomini e donne a cui la vita ha imposto di lottare per affermare la propria identità. Dodici di loro, in occasione del Pride month, hanno incontrato, per una video intervista, K magazine, il social magazine di LUZ, nato per parlare di musica, mode, arte, talenti, cinema e cultura, e hanno raccontato le proprie esperienze, la propria comunità di appartenenza e il futuro di un'etichetta in continua evoluzione.

Per molti di loro l’etichetta rappresenta un modo per trovare legittimità, per conoscersi, per confrontarsi, per ottenere quell’inclusività che molto spesso manca in una società che tende a renderli invisibili.

«Siamo partiti dall'idea di raccogliere delle testimonianze nuove: volevamo raccontare l'evoluzione della sigla e indagare la storia di persone che utilizzano i social media per fare divulgazione», hanno dichiarato Vito Maria Grattacaso e Valentina Ecca, responsabili editoriali del progetto. «Il video racconta come la comunità LGBTQIAPK+ sia ricca di correnti di pensiero diverse e in una trasformazione continua. L'esperienza di intervista è stata, a tratti, complessa, per la profondità e l'intimità dei racconti. A loro va tutta la nostra gratitudine per il tempo che ci hanno dedicato e per aver affidato a noi le loro storie».