Il regista Maurizio Scaparro racconta il successo dell'adattamento del romanzo di Yourcenar con Giorgio Albertazzi: «Adriano è l'essenza della cultura mediterranea. Anche i giovani restavano rapiti dallo spettacolo»

Sono molto rari gli spettacoli teatrali che vengono replicati centinaia di volte, con il tutto esaurito, in Italia e in Europa. Questo successo è stato raggiunto dalla messa in scena delle “Memorie di Adriano”: protagonista Giorgio Albertazzi, regia di Maurizio Scaparro. «L’importanza del filtro della Yourcenar ci ha restituito l’uomo Adriano», dice Scaparro, «e anche se non sappiamo con quanta fedeltà storica, questa operazione letteraria sulla romanità è tra le più riuscite e avvincenti». Direttore di istituzioni teatrali a Roma, Parigi (Téâtre des Italiens), Siviglia, dove ha curato gli eventi culturali dell’Expo nel 1992, Scaparro è stato il regista, tra tanti titoli, di “Amleto”, Vita di Galileo”, “Il gabbiano”, “Aspettando Godot”, e di attori come Micol, Cardinale, Moriconi, Scaccia. Se ammette di essere molto legato anche alle tre versioni della “Venexiana”, l’opera del Cinquecento di Anonimo Veneziano, la straordinaria esperienza delle “Memorie” nel suo cuore resta al primo posto.

Giorgio Albertazzi, col passar del tempo, confessava di identificarsi sempre più con Adriano. Cosa ha rappresentato per lei questo imperatore?
«In un certo senso, l’essenza della cultura mediterranea. Era nato in Spagna, aveva studiato in Grecia, ha vissuto in Italia: mi appare come uno spaccato eccellente della Magna Grecia, terra di incontro culturale tra Oriente e Occidente. Ho portato sulla scena anche il “Caligola” di Camus, un imperatore interessante per vari aspetti, ma non ho avvertito altrettante emozioni».

Si racconta che Adriano, durante i banchetti, facesse recitare tragedie e commedie, e aveva studiato per eliminare le inflessioni spagnole del suo latino.
«Amava senza dubbio il teatro e lo frequentava ovunque andasse. Il suo interesse riguardava anche gli attori: a parte la dizione, ne studiava i movimenti, i gesti, le espressioni; sapeva come fossero importanti per un uomo pubblico del suo calibro. Ma il fenomeno arriva ai nostri giorni, pensiamo - per esempio - a Hitler: e si potrebbe continuare con un bell’elenco».

Tra tutte le repliche delle “Memorie”, ce n’è una che le è rimasta impressa?
«Sì, al teatro Parioli di Roma, pochi anni fa. Sono entrato in platea e ho visto un pienone di giovani. Pensavo che, dopo un po’, molti sarebbero andati via; invece, con grande sorpresa, sono rimasti tutti in assoluto silenzio per l’intera durata dello spettacolo. Sembrava che quei giovani, travolti dalle nuove tecnologie della comunicazione, fossero stati rapiti dalla “parola” sul palcoscenico».