Un libro fotografico di Daniele Tamagni racconta le battaglie di stile globali. Che a colpi di colore e fantasia raccontano la voglia di emancipazione e ribellione

Creste punk che si stagliano di fronte alle pagode. Bombette su giacche a righe bianche e fucsia sullo sfondo della bidonville. E poi balli e performance, e perfino i ricami della tradizione aymara all’incontro di wrestling.

Lampi di Global Style Battles, battaglie di stile globali, ritratte nel nuovo libro fotografico di Daniele Tamagni, che sarà presentato questa sera al Louvre, al Musée Des Arts Décoratifs. “Nel Sud del mondo gli stili e le mode di strada hanno una vitalità e un vigore straordinari, un’identità ribelle che noi abbiamo perso” dice a L’Espresso il reporter, studioso di culture e controculture giovanili.

Per dieci anni ha viaggiato in Africa, Asia e Sudamerica collezionando premi internazionali, dall’Infinity Award al World Press Photo. Con l’obiettivo sulle style battles, combattute in strada, a partire dalle contaminazioni con le culture occidentali ma anche dalla riscoperta delle tradizioni locali.

“C’è un trait d’union tra le mode globalizzate e l’affermazione di un’identità propria” sottolinea Tamagni: “Basta guardare i tanti stilisti, designer, ballerini e blogger all’avanguardia delle township sudafricane, che si confrontano con l’Occidente ed emergono grazie alla loro creatività, portando gusto ed eleganza nei quartieri più degradati”.

Ecco allora gli Smarteez, un collettivo che prende il nome dai cioccolatini, colorati fuori scuri dentro. Disegnano cappelli a mo’ di elmetto coloniale e sfilano con pantaloncini, borse o giacchette vintage trovate al mercato delle pulci. O i Sartists, studenti stilosi che recuperano in chiave moderna gli abiti dei padri militanti anti-apartheid ispirandosi a Patrice Lumumba e agli altri leader africani degli anni ’60.

Vivono ad Alexandria, una township tra le più difficili, dove la strada è il luogo obbligato per performance e coreografie sempre nuove. Come quelle della Vintage Crew, gesti fluidi e pose plastiche da modelli in stile Vogueing, il movimento newyorchese anni ’80. “Un nuovo colonialismo?” chiediamo a Tamagni. “Nient’affatto, c’è molto altro e molto di più. Prendete la storia degli impeccabili Sapeurs, gli aderenti alla Società delle persone eleganti nata a Brazzaville quando il Congo era ancora francese. Si ispiravano all’Occidente ma al tempo stesso lo sfidavano dicendo: ‘Possiamo vestirci come voi ma anche essere più creativi di voi’”.

Tra mille gusti e colori, gli stili di strada attraversano i confini africani. Accade così che il reportage sugli Afrometal del Botswana, nerovestiti, borchie e cappelli da cowboy, preceda di poche pagine l’eleganza cosmopolita delle Dirianké o le seducenti provocazioni delle Disquettes senegalesi.

Protagoniste, anche loro, con una sfilata sul tema della “rinascita africana”, della presentazione al Louvre. A organizzarla l’Istituto europeo di design e Africa Fashion Gate, un’associazione culturale che vuole trasformare Dakar nella capitale della moda sub-sahariana, polo continentale capace di valorizzare griffe e modelle. “Ma le battaglie di stile non sono solo africane” avverte Tamagni.

Lo confermano le creste impomatate dei Burma Punks, i ragazzi che ascoltano i Sex Pistols sfidando il regime militare del Myanmar. “Il movimento nato in Inghilterra negli anni ’70 rivive in tutta la sua ricchezza di stili in un contesto diverso e difficile, dove un chiodo o un piercing sulle labbra possono portarti dritto in carcere” sottolinea Tamagni.

Il testo del reportage è firmato dal giornalista Peter Popham, biografo di Aung San Suu Kyi, la Signora che proprio in questi mesi sta guidando un’apertura politica del paese. Si intrecciano allora storie di coraggio, con la democrazia, il punk e la “a” cerchiata dell’anarchia che stanno tutti dalle stessa parte. “A Budda non interessa come mi vesto ma come sono” dice uno degli eroi di strada birmani, un ventenne con taglio da mohicano che un giorno ha messo su una band e scelto di chiamarsi Einstein Mc King Skunk.

Voglia di libertà, dunque. Anche la forza degli Habaneros, che nella capitale cubana sfilano con colori sgargianti e t-shirt Dolce&Gabbana immaginando un mondo senza più confini. O delle venditrici di strada boliviane, orgogliose delle loro radici aymara. Con l’ascesa al potere del presidente indigeno Evo Morales si sono conquistate un ruolo nella società e nella vita politica finora negato. Tamagni le ha ritratte mentre combattono sui ring di La Paz, in piazzette o cortili stracolmi fino all’inverosimile: “Attraverso il wrestling vogliono dimostrare la loro forza anche metaforicamente, con calci volanti ma vestite di pizzo, conservando grazia ed eleganza”.