Il passaggio al digitale pone molte domande sulla possibile scomparsa dei formati tradizionali e sull'impatto che avrà per la nostra memoria. Eppure qualche risposta si può tentare già adesso

Leggere è diventato complicato. Al libro di carta si sono aggiunti tablet, e-reader e cellulari di ultima generazione dove consumare rapidamente racconti brevi, esauribili in otto fermate di metropolitana. I supporti hi-tech continuano a evolversi. E i libri? Sono, come i dinosauri, destinati all’estinzione? Se lo chiedono in tutte le università del mondo, e non si tratta di questioni accademiche. Gli editori devono decidere se andare incontro alla smaterializzazione o mantenere la carta per testi universitari, quotidiani e periodici. Se spingersi verso soluzioni visionarie (libri e giornali interattivi con realtà aumentata, musica, giochini, filmati) o sperimentare meccanismi ibridi.

Sarebbe bello se i neuroscienziati che analizzano i meccanismi cognitivi offrissero risposte definitive del tipo: “È ora di trasferire tutto su piccoli supporti con grandi memorie, il cervello si adatterà”, oppure “Il genere di conoscenze sollecitato dalla lettura su ebook fa perdere capacità, evitiamo scelte drastiche”. Ma non succede: i risultati delle ricerche sono contraddittori. Il dibattito è vivace, soprattutto negli Usa, dove la smaterializzazione continua a correre e il fatturato degli ebook ha superato quello dei libri rilegati (annuncio di Amazon) e PricewaterhouseCoopers, la più grande società mondiale di revisione dei bilanci, prevede che nel 2017 costituiranno la metà del mercato.

Tutto sta accadendo velocemente. Secondo il Pew Reasearch Center nel 2010 pochissimi americani possedevano un e-reader o un tablet. Nel 2011 erano il 17%. Nei tre anni successivi sono arrivati al 28, numero abbastanza grande per farsi qualche domanda sul futuro. C’è chi pensa che l’hi-tech ci porterà in territori sconosciuti, che leggere su device ridurrà la capacità di memorizzare e imparare, o danneggerà i ritmi del sonno. Anne Campbell, della Open University in Scozia, ha notato che i suoi studenti usando un basico kindle avevano migliori risultati nella lettura profonda (la capacità di immergersi nel testo senza distrazioni) e meno nell’apprendimento attivo (in cui si annotano i libri a margine, si sfogliano le pagine, ci si interrompe per verificare un’informazione).

Lo scorrimento delle pagine richiedeva maggiore attenzione e li costringeva a rallentare. Buona cosa, sostiene Sara Margolin, neuroscienziata newyorkese. La riduzione della velocità aumenta la “metacomprensione“, il momento in cui ritorni sul testo per vedere cosa ti è rimasto. Ma potremmo andare avanti con tonnellate di interventi, esperimenti, analisi, senza avere le risposte che cerchiamo, se non partiamo dalla motivazione. Perché leggiamo? Per imparare? Per divertimento? Per ammazzare il tempo? Per acquisire informazioni prima di un incontro di lavoro? C’è differenza tra lettura ricreativa (puoi cestinare e dimenticare) e un testo di diritto industriale su cui dare un esame (devi imparare a memoria). C’è differenza tra Kindle, iPad, computer.

Uno studio condotto a Taiwan da Szu-Yuan Sun consiglia il libro tradizionale per una migliore comprensione e su ebook per chi ha necessità di collegamenti ipertestuali, che sono uno stimolo e un rischio. Julian Baggini, giornalista-filosofo osservatore dei comportamenti di massa (in Italia Rizzoli ha tradotto “Il potere della lagna”) dice: «Parti per andare a comprare il latte e torni con un sacco di patate: ti servivano?». Ovvio: le potenzialità offerte dal web - se leggi su computer - sono infinite ma altissimo è il rischio di dispersione. Lasci il testo e arrivi chissà dove.

Per Sara Margolin su e-reader si impara meno: forse la difficoltà nell’uso del device riduce la capacità di memorizzare? Forse il tipo di lettura non crea raccordi sufficienti ad attivare al cento per cento i meccanismi del ricordo? Non solo. L’illuminazione degli schermi non è ancora ottimale (ma il kindle Paperwhite è migliore dei precedenti). «Chiaro, siamo in una fase di transizione», interviene Francesco Sacco che insegna Strategie aziendali all’Università dell’Insubria: «Andiamo verso semplificazione ed efficienza. I nuovi supporti saranno più agili, somiglieranno sempre di più ai libri. La situazione è fluida».

La componente cognitiva è forte, quella culturale pure. C’è l’influenza sociale, c’è la famiglia, ci sono i gruppi di riferimento. Uno studio del Literary Trust rileva che il 52% dei giovani americani tra gli 8 e i 16 anni preferisce leggere su schermo, soltanto il 32% si orienta sulla carta. Da noi il libro ha perso oltre mezzo miliardo in termini di vendite tra il 2008 e il 2012, in compenso 39 milioni di italiani hanno avuto accesso a Internet da computer, smartphone e tablet (dati Nielsen), acquistato libri e scaricato contenuti editoriali. I lettori ci sono ancora, e il Salone di Torino ha annunciato una promettente ripresa (Rcs 35%; Sperling & Kupfer oltre il 50; Mondadori ed Einaudi 12; Gruppo Gems 10; Feltrinelli 20; Sellerio 16; Adelphi 5; Minimum Fax 12; Voland 30%) e la fetta del digitale è in crescita. I numeri non sono stratosferici: gli ebook scolastici sono appena il 2% del totale e il problema dell’apprendimento su device elettronici e ricadute non è al primo posto in nessuna lista. Ma dovrebbe.

Roberto Casati, filosofo e direttore di Ricerca del Centre National de la Recherche Scientifique all’Institut Nicod, École Normale Supérieure di Parigi, è critico acceso del “colonialismo digitale”, secondo cui tutto ciò che prima era analogico, adesso andrebbe sostituito. Il saggio “Contro il colonialismo digitale: istruzioni per continuare a leggere” pone la questione così: quale problema risolve l’ebook? Ottenere libri in un clic e raccogliere un’intera biblioteca in un e-reader? Non dover scegliere i romanzi da portare in vacanza? Recuperare spazio in casa? Ma il libro di carta, spiega Casati, si può annotare: la funzione di sottolineatura disponibile su Kindle e iBooks non è paragonabile a quella di un evidenziatore e non aiuta comprensione e memorizzazione (anche se alcune applicazioni dell’iPad permettono di annotare i pdf con una penna “quasi” come su carta). Il fatto che il libro abbia un peso, sia impaginato in un certo modo e occupi spazio fornisce informazioni tattili e visive che fanno da rinforzo alle nozioni. Sappiamo, per esempio, quanto manca alla fine. Le librerie offrono un potente aiuto alla memoria: spesso basta guardare gli scaffali per riattivare il ricordo delle informazioni. Scorrere una lista su un monitor non ha lo stesso effetto.

Paolo Ferri, professore di Teorie e Tecniche dei nuovi media e Tecnologie didattiche all’Università di Milano Bicocca, è sulla sponda opposta. Ha appena pubblicato (il 29 ottobre da Bur Rizzoli) il saggio: “I nuovi bambini. Come educare i figli all’uso della tecnologia senza diffidenze e paure inutili” e non vede problemi: «La Galassia Guntenberg è finita, oggi abitiamo la Galassia Internet. Dovremo adattarci che ci piaccia o no. La filiera della lettura è ormai tutta digitale per una ragione economica e sociale, prima che cognitiva: il taglio dei costi di distribuzione e stampa è troppo rilevante perché si possa tornare indietro.

L’uso dei due supporti (carta ed e-reader) continuerà per un po’, ma perché ostinarsi a usare il cavallo se abbiamo inventato l’automobile? Io lavoro su pc e non mi sembra che i risultati delle mie ricerche siano meno buoni. Siamo al centro di un grande mutamento. Non abbiamo più bisogno di conoscere a memoria numeri di telefoni e tabelline, possiamo delegare a dischi esterni pezzi di conoscenza quantitativa che non usiamo. Il cervello è plastico, si adatterà, anche se non subito. Sull’interfaccia-libro abbiamo 500 anni di esperienza, mentre l’iPad è del 2010. Andiamo verso un incrocio di computer e tablet, non sappiamo quale sarà il risultato finale. Certo non l’iPad (è un sistema chiuso) e non l’attuale Android (non è stabile): la tecnologia ci mette una trentina d’anni a maturare... Le perplessità che ho riguardano lo studio: c’è un liceo milanese “figo” dove hanno comprato trecento tablet perché è di moda, ma per utilizzarli come strumento didattico bisogna essere preparati. Non c’è formazione adeguata, si rischia di spendere soldi inutilmente. Per un bambino delle elementari un tablet è troppo! Più che il mezzo, conta il metodo»

Gli ebook scolastici rappresentano bene il problema di chi i libri li pubblica. Barbara Hoepli, che appartiene a un’orgogliosa dinastia editoriale e lavora nell’azienda di famiglia, vive la questione sul piano del lavoro e personale (ha una figlia “nativa digitale”). Hoepli ha un ampio catalogo di libri scolastici che, secondo le indicazioni ministeriali, devono essere pubblicati in tre versioni: «C’è il classico libro di carta, quello di carta integrato dal digitale (il più diffuso) e la versione soltanto in ebook, interattiva, ricca di link, immagini, video - per i testi d’arte ad esempio - in modo che l’insegnante possa scegliere quale adottare. Per offerta siamo avanti. L’interesse c’è. Sul sito di Hoepli Scuola si sono registrati da 2011 quarantamila docenti e ottantamila studenti con una crescita del 190%. Ma il puro digitale presuppone una formazione della quale nessuno si occupa, e non è compito degli editori colmare i vuoti. Capita che nelle scuole si usi la LIM (Lavagna interattiva multimediale) e l’insegnante faccia passare filmati scaricati da Internet con pubblicità dentro. O risolva la ricerca di approfondimenti con una navigazione in rete non organizzata. Sarebbe questa l’educazione digitale?».

Augusto Carena, ingegnere nucleare, consulente d’impresa e formatore manageriale, oltre che esperto in decision making e Business Simulation Environment (ha scritto con Rizzoli un saggio sui “Bias cognitivi”, “La trappola del comandante”) ogni giorno fa i conti con ciò che il presente proietta nel futuro. «Stiamo abbandonando una formazione che ci ha permesso di costruire sistemi complessi, come una fabbrica», spiega: «se la smantelliamo scegliendone una nuova, rischiamo di puntare su strumenti che tra qualche anno potrebbero essere superati. Ricordate il laser-disc? Sembrava il supporto del futuro tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, oggi nessuno se lo ricorda più. Può succedere ancora. Dobbiamo affrontare la questione nel suo insieme. Il modo di leggere e imparare sta cambiando. Molti di noi hanno problemi crescenti di attenzione e concentrazione. Sul Web clicchiamo su un link postato su un social network, leggiamo qualche parola e passiamo subito alla pagina successiva, che non godrà di maggiore considerazione. Pochi secondi, e la scorribanda riprende fino all’esaurimento del tempo disponibile. Non è prerogativa solo delle giovani generazioni.

Qualunque sia la nostra età, negli ultimi anni ci siamo ritrovati, contro la nostra volontà, a perderci in un continuo inseguimento. E - questo sì, con sgomento - non riguarda soltanto la nostra vita online: davanti a un libro stampato, ci interrompiamo perché arriva un messaggio sul telefono, come se conoscerne il contenuto avesse priorità assoluta. Su un e-reader, poi, le occasioni si moltiplicano: ci fermiamo per curiosare quali altri libri sono disponibili sulla rete, cerchiamo un termine sul dizionario elettronico o su Wikipedia, ritorniamo sulle stesse parole con la sensazione di non averle davvero comprese, e la lettura non procede. Il vero rischio è, come sostiene Maryanne Wolf della Tuft University, che il modo superficiale con cui ci muoviamo tra social network e Web finisca con l’influenzare il nostro comportamento anche quando abbiamo bisogno di esercitare una capacità di lettura più approfondita. Di studiare».

Il libro tradizionale è attaccato da molti fronti e cominciano ad arrivare rinforzi inattesi. Andrew Wylie, l’agente letterario di vari Nobel (ma anche di Bob Dylan), se la prende con Amazon, “il camionista digitale” che vuole scavalcare gli editori proponendo direttamente agli autori la pubblicazione in ebook. Secondo l’arrabbiato Wylie, Amazon copia il modello di Apple che ha portato alla distruzione dell’industria musicale con iTunes. Con gli scrittori succederebbe lo stesso, anzi peggio: se il cantante ha l’alternativa dei concerti dal vivo, l’autore non riempie certo gli stadi con le sue letture pubbliche. Annuncia Wylie, che ha mobilitato trecento grandi scrittori: «Bisogna fermare Amazon prima che sia troppo tardi».

Gli editori devono anche capire se i giornali di carta avranno ancora spazio in futuro. Per Audipress France 2014 il “papier” è ancora vincente rispetto al digitale, mentre uno studio dell’OJD, l’associazione professionale dei giornalisti, segnala una leggera flessione nelle vendite (-3,4%) a favore di abbonamenti online. In ogni caso, le testate tradizionali restano le più autorevoli.

L’indagine LaST (Community Media Research in collaborazione con Intesa San Paolo per La Stampa) condotta dal professor Daniele Marini dell’Università di Padova conferma (indaginelast.it): il 47,6% trova nella lettura di quotidiani e riviste lo strumento prevalente per formarsi un’opinione. Il motivo? Garantiscono la selezione delle notizie e sono affidabili: valgono la spesa. «Credo che la carta potrà convivere con ebook e e giornali digitali», assicura Marini. «Marshall Mc Luhan ha scritto che le nuove tecnologie non annullano mai le precedenti, ma le assorbono. Ha ragione. Cosa si disse della televisione? Che avrebbe ucciso la radio. Non è successo. E il cd non ha spazzato via il vinile, che anzi torna perché è “caldo” e i suoni sono di migliore qualità. Immagino un futuro in cui useremo modalità diverse per costruirci una visione personale. Alcuni media tenderanno a integrarsi, altri a concentrarsi. Gli orologi stanno diventando computer, i telefoni carte di credito. Gli aut-aut sono sbagliati. Vedo già adesso giovani dal profilo multitasking che mixano modalità diverse senza problemi. Gli opposti possono convivere: l’estrema tecnologia valorizza l’artigianato, la serialità corre parallela al pezzo unico. Gli insegnanti saranno ologrammi parlanti come nei film di fantascienza? Forse. Ma libri e giornali ci saranno ancora».

E il citizen journalism, l’idea romantica che tutti possano dare notizie con un tweet o con una foto? David Randall, senior editor dell’Independent on Sunday di Londra oltre che autore di una famosa guida per aspiranti reporter (“Il giornalista quasi perfetto”, Laterza) ci ride su: «La crisi dei giornali passerà. La gente ha già cominciato a capire che per una buona informazione servono competenze. Voi ci andreste, da un “citizen dentist”?».