Prodotto da un algoritmo, il suo valore in un anno ?si è moltiplicato. Creando nuovi milionari. ?Veri o fittizi? Cosa si nasconde dietro un investimento discusso

C’è un anonimo milionario che conserva 150 milioni di dollari in un solo borsellino. Per l’esattezza, alle 9,19 di lunedì 2 dicembre, erano 150 milioni, 197.454 dollari e 11 centesimi. In questo momento però, potrebbero essere già 200 milioni. O magari 50.

Dietro all’indirizzo 1FfmbHfnpaZjKFvyi1okTjJJusN455paPH si nasconde l’uomo più ricco del mondo in Bitcoin: ne possiede la bellezza di 144.341 e con quella cifra potrà permettersi anche un giro nello spazio con Virgin Galactic, la compagnia di Richard Branson che già accetta pagamenti - un biglietto costa 250 mila dollari -  con la valuta elettronica più chiaccherata del mondo. Facile capire il perché: da inizio anno a oggi, il suo controvalore è salito da 15 a oltre 1.100 dollari.

Per anni, futurologi e scienziati hanno vagheggiato una moneta interamente elettronica, fatta su misura per il mondo globalizzato. Ma poi, come è successo con Internet e tutte le seguenti “distruzioni creative”, la realtà ha superato la fantasia: un matematico, nascosto sotto lo pseudonimo di Satoshi Nagamoto, nel 2009 ha pubblicato in Rete un ingegnoso sistema monetario digitale, che è stato implementato da programmatori di tutto il mondo, fino a coinvolgere rapidamente decine di migliaia di minatori.

Sono loro la banca centrale di questa moneta decentralizzata. Gente comune, ma anche speculatori e trafficanti, che scaricano un software chiamato Multibit e lo mettono a macinare le chiavi crittografiche necessarie alla creazione della critto-valuta. Un algoritmo molto sofisticato combina una chiave pubblica con una privata e computa, con un alto grado di sicurezza e di anonimato, i complessi calcoli necessari alla creazione della valuta virtuale. La quale, al contrario di quanto fanno le banche centrali, non può essere creata a piacimento con l’effetto collaterale dell’inflazione: in questo momento, ci sono poco più di 12 milioni di Bitcoin in circolazione e il sistema impone che ogni quattro anni la produzione di nuova moneta virtuale si dimezzi, fino a quando arriverà a 21 milioni. Dopodiché, la massa critto-monetaria resterà immutata.

La forza del sistema sta nel sofisticato protocollo di codifica che rende le transazioni sicure e i borsellini elettronici, come quello del più ricco speculatore digitale al mondo, praticamente inattaccabili. Beh, primi casi di furto elettronico ci sono già stati.

Ma questa fiammata d’interesse planetario viene soprattutto dall’assenza di un controllore centrale e di quella pletora di sub-controllori chiamati banche, che sulle transazioni in Bitcoin non fanno un centesimo. Il che, per coloro che vivono immersi nella tecnologia e nelle utopie reali del cyberspazio, rappresenta un trionfo dell’open-source (il software aperto, di proprietà di tutti e di nessuno) e del P2P (un network dove tutti i singoli nodi sono fornitori e consumatori di dati), entrambi perfettamente incarnati nel Bitcoin Protocol di Nagamoto. Più prosaicamente, per i trafficanti di droga e di armi rappresenta invece il trionfo dell’anonimato.

Forse non sapremo mai chi è la persona, o l’organizzazione, che possiede 150 milioni di dollari in Bitcoin. Di sicuro però, la sua pur instabile ricchezza fa a pugni con gli ideali della moneta distribuita e democratica. Il perché di quell’opulenza è sconosciuto, ma il percome è chiaro: con la potenza di calcolo. Siccome a fare i minatori non sono gli uomini ma le macchine, un adeguato network di computer e di server che fanno girare Multibit può offrire grandi ricompense.

Il sistema ruota intorno a un registro generale, chiamato blockchain. I calcoli generati dai computer minatori servono a compilare la nuove chiavi di sicurezza per generare i “blocchi” che si aggiungono alla “catena”. Più potenza hanno i tuoi calcolatori e più velocemente contribuisci alla creazione della moneta, con una ricompensa di 25 Bitcoin, che ai prezzi di lunedì, fanno circa 25 mila dollari. Se poi ti doti di una schiera di processori, magari i cosiddetti Asics che hanno un’architettura flessibile, ottieni una miniera ancora più efficiente. Ma non per sempre.

Il Bitcoin Protocol prevede che un blocco venga creato ogni dieci minuti. Periodicamente, diciamo ogni due settimane, il sistema controlla questa media e aggiusta l’asticella a un livello più alto, al fine di rallentare il processo. In altre parole, per i minatori la partita si fa costantemente più difficile. Per aumentare la capacità mineraria, non resta che mettere al lavoro nuove macchine. Il risultato è che la potenza di calcolo di tutti i minatori di Bitcoin del mondo ha superato i 50 exaflop, ovvero 50 miliardi di miliardi di operazioni al secondo. Per ottenere lo stesso risultato, ci vorrebbero 1.500 copie del Tianhe-2, il supercomputer cinese che è il più potente al mondo.
Se la complicata matematica del Bitcoin e le ingegnose invenzioni del suo protocollo lasciano di stucco, altrettanto hanno fatto il Dipartimento della Giustizia e il presidente della Fed, Ben Bernanke, che in audizione davanti al Senato americano, hanno negato che la moneta virtuale sia illecita. Anzi, per Bernanke è addirittura «promettente». Il che non toglie che l’Fbi abbia chiuso Silk Road, un mercato di Bitcoin che serviva anonimamente gli interessi della criminalità organizzata. Nel frattempo, ovviamente, ha già riaperto: ma nel mondo parallelo fatto di bit, si sa, è una cosa normale.

Attualmente, ci sono più di dieci mercati, per comprare e vendere Bitcoin. C’è Bitcoin.de in Germania. C’è Coinbase che però si collega solo a conti correnti di banche americane. C’è VirWox che è il primo a usare PayPal per i trasferimenti. Ma ci sono anche Btc China, uno dei più grandi al mondo, Mt.Gox, CoinKite, Bitstamp, BitIstant e via dicendo.

E poi, ovviamente, la Bitcoin economy sta facendo nascere fornitori di servizi, depositi di borsellini elettronici, rivenditori di buoni d’acquisto da spendere su Amazon (che pretende ancora i dollari) e chi più ne ha, più ne metta. Perché questa avventura ha tutti i connotati della corsa all’oro. Che oggi il valore di un Bitcoin si avvicini a un’oncia d’oro, la moneta ante litteram che un tempo fu legata al dollaro, la dice lunga sull’esplosione d’interesse da parte della gente, dei media e degli speculatori. Ma il bello è che fra i due, a parte il crollo dell’uno e il boom dell’altro, ci sono parecchi punti in comune.

Fino a pochi anni fa, l’oro era l’unica “valuta” che non aveva una banca centrale alle spalle, ma oggi c’è anche il Bitcoin. Le rispettive masse monetarie, non dipendono dagli uomini, ma dalla geologia o da un algoritmo. Entrambi sono sovranazionali. E, infine, entrambi sono inutili alla cassa del supermercato.

A parte i viaggi della Virgin Galactic, infatti, la maggioranza di beni e servizi non si può pagare in Bitcoin. Il numero degli esercenti che accetta la moneta virtuale, però, sta crescendo a vista d’occhio: anche in Italia ci sono trattorie e agriturismi dotati di borsellino elettronico e le prime applicazioni per smartphone già promettono la possibilità di pagare al volo in Satoshi, senza commissioni di banche e carte di credito. La moneta virtuale non ha i centesimi, ma i “Satoshi”, che la ripartiscono fino a otto decimali: oggi un caffè costerebbe 0,0009 Bitcoin.

Però parliamoci chiaro: chi può permettersi davvero di fidarsi di una moneta che a mezzogiorno vale mille dollari e prima di cena 1.100? O magari il contrario? Non solo: sui vari mercati Mt.Gox, BitStamp o Btc China, il valore di un Bitcoin varia in questo momento fra i 920 e i 1.001 dollari.

Ah, ecco. Come si legge sul sito Bitcoinrichlist.com, in poche ore il patrimonio di quell’ignoto milionario virtuale è già calato a 139 milioni di dollari. Dal punto di vista della fiducia, che sta alla base dei sistemi di pagamento sin dai tempi della Mesopotamia, non è ancora una cosa seria. Tutt’al più, come ammette il governatore della prima banca centrale del mondo, è promettente.