Temporali, trombe d’aria e grandinate sembrano sfuggire sempre più spesso ai meteorologi. Ma è davvero così? La direttrice del Cetemps, che studia i fenomeni atmosferici gravi, spiega potenzialità e limiti di satelliti e computer. E mette in guarda contro gli incompetenti

Per anni ci siamo abituati male: organizzavamo le nostre giornate in base alle previsioni del tempo, sapevamo in anticipo quale maglione scegliere e se andare al lavoro in macchina o in metropolitana. Ora invece il meteo sembra opera della scimmia di Borel, quella che batte a caso su una tastiera e che potrebbe, è vero, scrivere la Divina Commedia, ma solo se avesse a disposizione un tempo infinito. Ne abbiamo parlato con la professoressa Rossella Ferretti, direttrice del Cetemps (il centro di eccellenza per il rilevamento e la previsione degli “eventi severi”, compresi i fenomeni meteorologici estremi). In una conversazione che chiama in causa i cambiamenti climatici, certo. Ma anche la politica acchiappaclick dei siti commerciali di previsioni del tempo.

 

Partiamo dal passato. C’era una volta, una decina di anni fa, un’epoca in cui le previsioni del tempo erano diventate affidabili. Cos’era successo? Perché erano migliorate, se lo erano davvero?
«C’è stato sicuramente un miglioramento, ed era dovuto all’aumento della qualità dei dati che avevamo a disposizione. La previsione meteorologica è basata sull'osservazione e sull'elaborazione delle osservazioni nel corso del tempo. Quindi la previsione dell'evoluzione futura sarà precisa se l’osservazione iniziale è attendibile e se il metodo di previsione è affidabile. I dati iniziali sono migliorati perché dagli anni 50 in poi abbiamo avuto i satelliti: le osservazioni che ci ha fornito il satellite hanno permesso di riempire quelli che in gergo chiamiamo “buchi osservativi”. Perché le stazioni meteorologiche si trovano per esempio sulla costa, ma non in mezzo al mare».

 

Un bel problema per la nostra penisola…
«Certo: siccome l’Italia è circondata dal mare, noi eravamo circondati da un enorme buco osservativo. Il satellite quindi ha cambiato enormemente i dati a disposizione per l’Italia. Che è già di per sé una zona geograficamente complessa: le alpi, gli appennini e il mare sono tutti elementi che rendono più difficile prevedere la situazione meteorologica che verrà. Le informazioni sono migliorate non solo grazie ai satelliti ma anche grazie all’aumento delle stazioni meteorologiche. Non sono aumentati invece i radiosondaggi, che sono importantissimi ma anche costosi: devi lanciare un pallone sonda che “legge” gli strati dell’atmosfera. Attualmente ne abbiamo solo sette, gestiti dall’aeronautica. Malgrado questi limiti, negli anni sicuramente sono migliorate le osservazioni, è migliorata la nostra conoscenza dello stato dell'atmosfera e anche la capacità di trascrivere matematicamente questa nostra comprensione: cioè di costruire dei modelli matematici che ci permettono di fare previsioni meteorologiche migliori. Naturalmente c’è stata anche l'evoluzione tecnologica: il computer che faceva i calcoli quando io ho fatto la mia tesi era un oggetto enorme e costosissimo, oggi un computer equivalente è in ogni cellulare. La capacità di calcolo è aumentata, e questo aumenta la possibilità di descrivere i fenomeni che sono presenti in atmosfera, di risolvere equazioni più complicate e quindi di essere più precisi. Grazie a questo in effetti negli ultimi anni le previsioni sono diventate più attendibili: e ci sono una serie di lavori scientifici che lo dimostrano».

 

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Ma allora perché a noi utenti comuni sembra vero il contrario? Perché ci ritroviamo a guardare con stizza schermate che prevedono pioggia mentre c’è il sole o il contrario?
«Il problema principale sono i siti che pubblicano previsioni precise su quando e dove avverrà un fenomeno atmosferico: sono previsioni da prendere con le pinze. La previsione non è una certezza, indica una probabilità. Non si può dire esattamente “a quell'ora piove” e quale quantità di pioggia farà o se ci sarà sole splendente. Si può solo dare la probabilità che quell’evento accada. Ai nostri studenti al corso di laurea in atmosfera e science tecnology qui all’università dell’Aquila cerco di chiarire cos’è che causa gli errori di previsione. Per quanto preciso possa essere lo strumento che stiamo usando, o il modello per la previsione meteorologica, anche il meteorologo più esperto ha un margine di errore: figuriamoci quando ci affidiamo a siti che lanciano messaggi romanzeschi, drammatici, e che spesso hanno dietro persone che non hanno una laurea su questi temi. Se lei sta male va da un medico e dev’essere laureato e specializzato, per le previsioni del tempo invece anche i media spesso si affidano a persone che non hanno nessun titolo per fare calcoli così complessi. Poi ci sono situazioni che rendono più difficile la previsione: noi facciamo studi continui per analizzare gli eventi che non si è riusciti a prevedere».

 

E questo è un problema importante: anche per il naufragio di Cutro la Guardia Costiera si è giustificata dicendo che era previsto mare forza 3 e non forza 8…
«Sul mare c’è un altro problema. La previsione sotto costa è molto diversa dalla previsione al largo. Inoltre non ci sono le stazioni di rilevamento dati, le “capannine meteorologiche”, che contengono tutta una serie di strumenti di misurazione. In mare invece ci sono boe ancorate al fondale: ma sono poche e hanno strumenti limitati. Consentono di misurare l’altezza delle onde o la forza delle correnti ma in genere non hanno le stesse informazioni di una postazione su terra … Le informazioni vengono anche, oltre che dai satelliti, dai voli aerei: con gli anni abbiamo imparato a usare tutto ciò che è possibile sfruttare per avere dati meteorologici, ma le informazioni che riguardano il mare sono comunque meno di quelle che abbiamo per la terraferma. Ed è per questo che eventi molto specifici come i tornado o le grandinate in un Paese come l’Italia che è circondato quasi completamente dall’acqua diventano difficili da prevedere. Si torna al problema dei dati iniziali: se nel dato iniziale ci sono dei segnali della situazione meteorologica severa il modello è in grado di prevederli abbastanza chiaramente. Se invece da un segnale che non è forte si sviluppa un evento severo, allora è più difficile prevederlo. È il caso delle trombe d’aria: sono difficili da prevedere anche perché sono molto locali, passano in un punto e non fanno nessun danno mentre poche decine di metri più in là distruggono ogni cosa al loro passaggio».

 

Ecco, torniamo al problema delle previsioni in una località esatta: come si possono rendere più affidabili?
«Fare una previsione meteorologica è come andare a vedere con la lente d'ingrandimento. I modelli meteorologici risolvono delle equazioni, ma in genere queste equazioni vengono risolte su una griglia. Ci danno le informazioni che riguardano i nodi di una rete, ma di quello che succede tra un nodo e l’altro non sappiamo niente. E allora noi meteorologi lavoriamo per infittire il più possibile la rete, per ridurre il più possibile la distanza tra quei punti. Qui all'Aquila grazie al Cetemps abbiamo la previsione a risoluzione più alta per il centro Italia: ma è di un chilometro. E tra due località che distano un chilometro può succedere di tutto, per esempio se pensiamo a una tromba d’aria. Sarebbe più facile se fossimo negli Stati Uniti, con quelle grandi pianure in cui si formano oggetti meteorologici enormi, tornado giganteschi…».

 

E le stagioni cambiano la situazione?
«D’inverno le previsioni sono più facili: il temporale estivo è legato a una situazione locale e passa rapidamente. D’inverno invece si formano fronti che si vedono bene ed è relativamente facile prevedere come si comporteranno. Con i cambiamenti climatici l’estate è diventata ancora più complicata: non ci possiamo più fidare del famoso anticiclone delle Azzorre che ci proteggeva. Ci sono eventi anche molto dannosi che è difficile prevedere. Nel 2019 c’è stata una famosa grandinata che ha portato chicchi da più di 10 centimetri su Pescara e quella eravamo riusciti a prevederla grazie a studi molto accurati che però normalmente, nelle previsioni operative di tutti i giorni, non si possono fare per problemi di tempi di calcolo: il computer ci mette ore e ore a elaborare i dati».

 

Le ultime settimane sono state segnate da eventi più o meno catastrofici in tutto il mondo: dai cinque tornado in contemporanea negli Usa al ciclone dei record durato 36 giorni in Malawi. Quanto c’entra l’aumento della temperatura globale? Che in Italia, secondo calcoli recenti, ha il record di più 1,5 gradi…
«Sì l'ultimo rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change dice chiaramente che eventi meteorologici come questi tenderanno ad essere più severi. È perché l'aumento della temperatura porta ad avere più energia nell'atmosfera e se c'è più energia questi fenomeni diventano più potenti. Nel Mediterraneo sembra che ci sia questa tendenza alle grandinate che è però associata a una forte tendenza alla siccità. Nelle regioni del Nord le precipitazioni si sono ridotte di quasi il 60 per cento. Sul Mediterraneo in particolare ci stiamo avvicinando al punto di non ritorno: l’aumento di porterà a dei cambiamenti nel bacino del Mediterraneo tali da non riuscire a recuperarli. L'innalzamento della temperatura porterà all’acidificazione del mare e questo avrà conseguenze sulla fauna e sulle aree costiere. È una situazione a cui bisogna rispondere con piani di adattamento ma anche di prevenzione».

 

Dal suo punto di osservazione, quali misure consiglierebbe?
«Mi sembra che si debba lavorare contemporaneamente su due fronti. Da una parte rallentare il cambiamento climatico, dall'altro adattarsi alle conseguenze che comunque arriveranno. La riduzione dei gas serra è uno dei punti nodali. I Paesi ci stanno lavorando ma non si è ancora arrivati a un accordo completo, perché una serie di nazioni continuano a emettere in atmosfera grosse quantità di CO2. Ognuno di noi deve contribuire non solo consumando meno energia, ma evitando di consumare cose che richiedono molta energia per essere prodotte. È possibile evitare i comportamenti più inquinanti senza stravolgere la propria vita, a partire dal risparmio dell'acqua. Pensiamo ai messaggini e alle mail: ognuno di essi richiede un consumo di energia».

 

Però i comportamenti dei singoli non bastano a cambiare l’inquinamento mondiale.
«Certo poi sono i governi che devono prendere la barra in mano e decidere di guidarci su una soluzione che sia definitiva. Noi qui all’Aquila abbiamo fatto uno studio su come ridurre l'impatto delle ondate di calore sulle aree urbane: con dei modelli matematici abbiamo calcolato come cambia la situazione se si aumentano le zone verdi, in modo da potere allo stesso tempo preservare l’umidità del suolo e aumentare l'evaporazione dalle piante. L’evaporazione è un modo per raffreddare molto efficace, basta andare in un giardino d’estate per rendersene conto. Sono cose che i saggi antichi sapevano bene: noi avevamo perso la memoria ma adesso, grazie ai computer e ai modelli matematici, paradossalmente ritroveremo molte cose della saggezza antica».