Rachel è una giovane donna canadese che si è offerta come madre surrogata. E si rivolge direttamente al nostro governo: «Non ho subito né traumi né dolori»

Ragionare per categorie non serve. Strumentalizzare politicamente le donne ridurle a una categoria che enfatizza le posizioni prima che ingiusto è proprio sbagliato e inutile alla comprensione. Ecco cosa dice la storia di Rachel, una giovane donna canadese che sul proprio profilo Instagram ha deciso di raccontarsi alla ministra Eugenia Roccella e alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Rachel è una madre surrogata in un paese, il Canada, dove la gestazione per altri è regolamentata e altruistica. Nelle sue parole si ascolta il tentativo di inserire nel dibattito quello che manca: uno sforzo di attenzione, informazione, comprensione che possa permettere al mondo politico e non solo di distinguere prima di giudicare.

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«Se sei favorevole al divieto di maternità surrogata per favore ascolta», chiede Rachel e si rivolge a Eugenia Tognotti, storica della medicina, l’editorialista Lucetta Scaraffia, la ministra alle Pari Opportunità Eugenia Roccella e la Presidente Giorgia Meloni, «risponderò alle vostre preoccupazioni riguardo la maternità surrogata». Con semplicità e un sorriso mette in fila e in prospettiva i dubbi che circondano il dibattito mediatico su una pratica che è già vietata in Italia e forse anche per questo poco conosciuta.

I dubbi, dicevamo: c'è stato qualche trauma nel dare via il bambino? «No, l'embrione messo nel mio grembo da cui è nato il loro bambino, non mi ha procurato alcun trauma. Ho portato con gioia e dato alla luce il loro bambino e non ho mai voluto tenerlo come mio». Era stata proprio la ministra Roccella a parlare di pericolo per la salute delle donne: «Mai». sottolinea Rachel «C’erano chiari documenti legalmente vincolanti che proteggevano i miei diritti di essere umano e proteggevano quelli del loro bambino».

A chi parla di «nuova schiavitù» risponde con ironia: «L’unica volta in cui mi sono mai sentita vicino alla schiavitù è stato quando appartenevo a un gruppo religioso o quando ero sposata con qualcuno che in realtà non avrei dovuto sposare».

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Rachel illumina anche il punto fondamentale della questione: perché una donna libera e benestante, non in condizioni di necessità e non costretta, dovrebbe offrirsi a un’altra coppia come madre surrogata? «Volevo davvero essere incinta per qualcun altro e il vantaggio era che mi veniva semplicemente rimborsato qualsiasi spesa relativa alla gravidanza. Ho davvero apprezzato il fatto di sentirmi curata, rispettata e supportata dai genitori intenzionali e dall'agenzia che mi ha seguito» e aggiunge: «Sono stata elogiata, sollevata incoraggiata e mi sono sentita incredibilmente potente! Ho adorato le mie gravidanze e mi sono persino divertita a dare alla luce i miei figli. Non volendo più figli per me, ma sentendomi autorizzata ed entusiasta a essere di nuovo incinta, ho scelto la maternità surrogata. A causa della difficoltà che vivono tutte le coppie Lgbt volevo davvero donare una famiglia a una coppia dello stesso sesso. È stato un viaggio stimolante e bellissimo per la mia famiglia e per i genitori intenzionali che amo profondamente. Saremo amici per tutta la vita ormai».

 

Lo schiavismo, la tratta delle donne, la sopraffazione, lo sfruttamento non hanno casa in questa storia. «Una volta ero contro le persone Lgbt e i diritti delle donne per via delle mie convinzioni religiose. Quando sono cambiate ho realizzato che solo perché non voglio fare qualcosa, non significa che anche gli altri non dovrebbero farla. Non posso e non devo controllare la vita degli altri». 

 

Quello di Rachel è un appello alla destra italiana al Governo, a chi si oppone alle famiglie arcobaleno: «Per favore, smettetela di cercare di controllare le famiglie degli altri che vivono diversamente da te. L’amore crea una famiglia. E a volte è necessaria un po’ di scienza. Spero che riusciate a vedere l’amore e la gentilezza che provo nei vostri confronti. Perché anche io, una volta, ero al vostro posto. Per favore, permettete agli altri di vivere a loro vita. Proprio come la vivete voi».