Al di là di quell’ora al mese, chi sta male non è seguito da nessuno, e molto spesso smette di assumere i farmaci prescritti e non torna più presso i servizi. E oggi è impraticabile parlare di “superare” anche le Rems. Continua il confronto su come il nostro Paese affronta i disturbi mentali

Desidererei replicare alla dottoressa Giovanna Del Giudice e vorrei portare all’attenzione degli specialisti - ma anche del pubblico - i gravi problemi che devono affrontare le famiglie con parenti affetti da disturbi mentali e come la legislazione attuale non sia più in grado di dare una risposta alla complessa situazione che si è venuta a creare.

 

Sono consulente di un’associazione di famiglie con parenti con ADHD (disturbo da deficit di attenzione e iperattività), che ancora oggi nell’adulto è un disturbo poco conosciuto (è appena conosciuto dai Servizi di Neuropsichiatria infantile) malgrado sia stato inserito nei manuali delle malattie dell’Organizzazione mondiale della sanità, e in quello americano delle malattie psichiatriche. Sempre crescente è il numero di ragazzi - adolescenti e giovani adulti - che avendo, questo tipo di patologia, sviluppano in associazione anche altri disturbi, quali il disturbo oppositivo-provocatorio, il disturbo border-line, il disturbo bipolare, la condotta anti-sociale. Inoltre questi soggetti sono più inclini di altri alle dipendenze da alcol, droga, gioco.

 

La deriva antisociale e la commissione dei reati è spesso una triste conseguenza della mancata gestione della malattia e dell’assenza di una effettiva presa in carico dei servizi sanitari regionali. Ovviamente tutto questo ricade sulle famiglie, che subiscono maltrattamenti verbali e fisici, danni su beni mobili e immobili, oltre ad una compromissione notevole della loro qualità di vita, in quanto impegnati ad arginare i comportamenti dei propri congiunti.

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Nella mia professione di legale ho difeso queste famiglie, e mi sono trovata a discutere con assistenti sociali, psichiatri dei CPS (Centri psico-sociali), medici del SERD (Servizio per le dipendenze), forze dell’ordine, magistrati, nel tentativo di fronteggiare il problema e di mettere in sicurezza sia la famiglia sia i loro congiunti. Purtroppo quello che ho riscontrato è che per i soggetti malati non consenzienti alle cure e quelli a “doppia diagnosi” ( con malattia mentali e dipendenze ) non c’è possibilità di cura, perché la presa in carico sul territorio si riduce a presentarsi spontaneamente presso CPS o SERD per farsi prescrivere psicofarmaci e effettuare un breve colloquio di monitoraggio sulla situazione, ma di fatto il paziente è lasciato da solo perché al di là di quell’ora al mese, non è seguito da nessuno, e molto spesso smette di assumere i farmaci prescritti e non torna più presso i servizi.

 

I pazienti a “doppia diagnosi” poi devono affrontare la conseguenza della poca chiara ripartizione di competenze tra CPS e SERD. Si imputa alla mancanza di organico e alla carenza finanziaria dei servizi mentali del territorio, che pure è una triste realtà, il motivo per cui non sono affidati ad alcuna struttura malati psichiatrici che commettono gravi delitti di sangue. Purtroppo non sono solo queste le motivazioni, perché se è già grave che un paziente psichiatrico non consenziente alle cure non possa essere curato ancora di più lo è quello che commette reati contro le persone. Non si può attribuire alla magistratura, secondo la concezione della dott.ssa Del Giudice, il fatto che nelle REMS (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) non ci siano posti, perché i giudici sono ancorati a posizioni che si rifanno ad una psichiatria custodialistica asservita alla giustizia, pertanto emettono troppo facilmente provvedimenti di custodia cautelare provvisoria da eseguire nelle REMS.

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Come ha evidenziato il Gip di Tivoli, che con la sua ordinanza di remissione ha investito la Corte Costituzionale del problema, le REMS non possono essere considerate solo luoghi di cura ma anche luoghi contenitivi per i soggetti, la cui incapacità d’intendere e volere sia stata accertata con perizia psichiatrica, e siano pericolosi socialmente. Compito dello Stato non è solo quello di prendersi cura del malato ma anche quello di garantire l’incolumità dei cittadini. Pertanto la gestione delle REMS dovrebbe tornare sotto il Ministero della Giustizia, in quanto a lui spetta costituzionalmente l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia (Art 110 Cost.). Mentre attualmente le REMS sono gestite dal Ministero della Salute nei suoi organi regionali. La sentenza n. 22/2022 della Corte (che meriterebbe un più rilevante approfondimento) sprona fortemente il legislatore ad una riforma della materia sulle misure di sicurezza (in particolari le REMS) che devono custodire i pazienti psichiatrici autori di reato.

 

Infine la soluzione che propone Del Giudice, per approdare ad un definitivo superamento degli Opg (Ospedale psichiatrico giudiziario, tutti peraltro già chiusi) che sono stati sostituiti dalle Rems è impraticabile perché contrario non solo alla nostra cultura giuridico-penalistica, ma anche alla Convenzione Europea dei diritti umani, come ha statuito la Corte di Strasburgo nella sentenza SY contro Italia del 24/01/2022 (invito alla lettura del libro, dal titolo “IO COMBATTO”, scritto dalla mamma del ragazzo che ha presentato il ricorso, Loretta Rossi Stuart per rendersi conto dell’immane sforzo che ha dovuto effettuare nel seguire il percorso del figlio per essere ricevuto in Rems).

 

La soluzione proposta è quelle della rivisitazione degli art. 88 e 89 c.p. con l’affermazione della piena responsabilità della persona con disturbo mentale, che porterebbe alla parificazione tra persone malate di mente e quelle sane, in un’ottica di parità altamente distorta in quanto anche al malato di mente che ha commesso reati si applicherebbe la custodia in carcere. L’Italia, sulla base della sentenza sopra citata, è stata condannata dalla Corte Edu a risarcire l’illegittima detenzione in carcere di un ragazzo affetto da patologie psichiatriche per trattamento disumano e degradante. Pertanto il carcere non è il luogo dove deve essere custodito il paziente psichiatrico.

 

Auspico pertanto un franco confronto tra operatori del diritto, forze dell’ordine e operatori sanitari per informare correttamente il legislatore chiamato a modificare la materia.

 

Antonella Boschi è avvocato civilista, consulente e collaboratrice di AIFA Lombardia APS (Associazione italiana famiglie ADHD).