Approvata grazie a un emendamento del Pd a firma Orfini l'indennità di discontinuità. La modifica è stata votata anche dalla maggioranza che versione iniziale della manovra non aveva previsto alcuna misura a sostegno del settore

Da zero a 100 milioni. Il governo fa marcia indietro sui fondi dedicati al mondo dello spettacolo. Con un emendamento approvato in nottata, la commissione Bilancio della Camera ha inserito all’interno della manovra una dotazione finalizzata a rendere operativa l’indennità di discontinuità, cuore della riforma sul welfare dello spettacolo chiesta a gran voce dagli artisti scesi in piazza durante il biennio pandemico.

 

«Il governo non è stato sordo alle richieste del Pd e ha capito che avrebbe commesso una gravissima ingiustizia, rifiutando di stanziare le risorse necessarie per l'indennità di discontinuità per i lavoratori dello spettacolo», dice Irene Manzi, capogruppo del Pd in commissione cultura.

L’emendamento, presentato dal deputato dem Matteo Orfini, prevede uno stanziamento complessivo di 100 milioni. Fondi che serviranno per finanziare una sorta di reddito che sosterrà i lavoratori dello spettacolo (artisti, musicisti e tecnici) durante i periodi di inattività. La modifica è stata votata anche dalla maggioranza che sostiene l’esecutivo. Il quale, però, all’interno della versione iniziale della manovra non aveva previsto alcuna misura a sostegno del settore.

Per questo nei giorni scorsi associazioni e sindacati - tra cui Unità, Slc-Cgil e Arci - si erano mobilitati per convincere il governo ad inserire all’interno delle manovra misure che potessero dare seguito alla riforma già avviata durante la legislatura precedente e che il governo aveva deciso di tenere fuori dalla finanziaria.

 

Durante il biennio 2020-2021 la filiera dello spettacolo ha subito un crollo senza precedenti. Secondo i dati di Federculture l’intero settore ha perso ben 55 mila posti di lavoro, nella maggior parte dei casi si tratta di giovani under 35. Per questo fin da subito l'opposizione aveva denunciato l'assenza di interventi specifici. Nella prima versione della legge di bilancio, il capitolo cultura occupava uno spazio ristrettissimo: appena 20 milioni (dedicati all’acquisto di beni culturali) su un totale di 35 miliardi.

All’appello mancavano misure come l’indennità di discontinuità, ma anche risorse dedicate al Fondo unico per lo spettacolo, strumento attraverso cui lo Stato ogni anno eroga contributi per l’organizzazione di eventi. Come evidenzia la Slc-Cgil, il Fus ha subito un continuo calo di finanziamenti. «Nel giro di 37 anni - denuncia il sindacato - sono calati del 60 per cento, precipitando dallo 0,08 all’attuale 0,02 per cento del Pil». L’intenzione del governo è quella di riformare il fondo. Non a caso l'emendamento che istituisce il nuovo bonus cultura prevede anche un nuovo Fondo per lo spettacolo in sostituzione al Fus.

 

Rimane da capire se il cambio di nome corrisponderà ad un aumento delle risorse per il 2023. Non tutti, però, sono pienamente soddisfatti dei passi in avanti compiuti in extremis dal governo. La Slc-Cgil, ad esempio, è convinta che i soldi stanziati per i lavoratori dello spettacolo siano in realtà insufficienti. «È solo un primo passo, ottenuto grazie alle pressioni fatte nei giorni precedenti dal sindacato e dalle associazioni di artisti e maestranze, peraltro necessario ma non sufficiente. Per finanziare adeguatamente la suddetta misura sarebbe infatti opportuno stanziare una cifra più sostanziosa», scrive il sindacato in una nota. «In fase di avviamento sarebbero necessari almeno 150 milioni. Dopodiché la misura sarà in grado di autofinanziarsi attraverso i contributi versati dai lavoratori», spiega la segretaria Sabina Di Marco.

Non solo: i fondi stanziati dal governo dovranno essere accompagnati da una riforma complessiva del welfare dello spettacolo, come previsto dalla legge delega approvata dal parlamento nel luglio scorso. Il provvedimento ha dato nove mesi di tempo al governo per scrivere e approvare la riforma. Numeri alla mano, dopo il via libero definitivo alla manovra - che otterrà l’ok di Camera e Senato tra Natale e Capodanno - alla scadenza prevista dalla legge delega mancheranno circa due mesi.

 

Il tempo stringe, dunque. Soprattutto in relazione al fatto che il settore aspetta questo provvedimento da anni. Dice Orfini: «Si tratta di un lungo processo di riforma iniziato durante il primo lockdown attraverso il confronto costante con le tante realtà rappresentative di questo settore che portò a luglio all'approvazione della legge delega dei ministri Franceschini e Orlando. Un metodo positivo che deve proseguire nelle prossime settimane con la scrittura dei decreti applicativi della legge delega».

 

La richiesta di una riforma del settore affonda le proprie radici nelle richieste che artisti e tecnici del mondo dello spettacolo hanno portato all'attenzione dei governi che si sono avvicendati nel corso degli anni. Durante la pandemia, lo stop delle attività culturali aveva lasciato i lavoratori del settore senza stipendio, mettendo in luce in maniera più evidente il carattere precario e discontinuo delle professioni connesse al mondo artistico. I lavoratori erano scesi in piazza per chiedere maggiori tutele e finalmente, sullo scadere della scorsa legislatura, il parlamento aveva dato il via libera ad un disegno di legge che conferiva al governo le deleghe per attuare una riforma complessiva del settore, che tra le altre cose prevedeva il riconoscimento della discontinuità delle professioni artistiche e un’indennità mirata a “coprire” i momenti di inattività, studio o formazione fisiologici nelle professioni artistiche.