L’oro nero ha creato guasti alla regione e meno occupazione di quanto promesso. Ma l’eolico selvaggio ha devastato il paesaggio, alimentato speculazioni e reso inabitabili molti paesi. Così i cittadini e i Comuni si mobilitano (foto di Michele Amoruso per L’Espresso)

A Viggiano, la cappella della Madonna nera venerata dai lucani domina sul grande polo industriale a valle, dove c’è un’altra nera ricchezza che ha acceso i motori della regione dalla fine degli anni Novanta. Sull’intera area, inclusa la Val d’Agri, si estende il giacimento di petrolio più ricco d’Europa.
Nel Texas d’Italia, la green economy prospettata dal Piano nazionale di ripresa e resilienza sembra, però, un miraggio: «Se vogliamo declinare la transizione energetica a livello regionale, dobbiamo andare oltre il petrolio», ammette Antonio Lanorte, presidente regionale di Legambiente.


Così, mentre a Bruxelles si contano i 25 miliardi di euro di anticipo sul piano nazionale per la transizione ecologica, l’economia verde lucana ha già preso altre vie, alcune così distorte da impattare sulle comunità che costellano la regione: «Negli ultimi dieci anni, la regione ha visto speculazioni nel campo di rinnovabili come l’eolico e oggi c’è un clima culturale che vede queste soluzioni come la peste», spiega Lanorte.

 


In Basilicata, la black e green economy non sono stati il volano dello sviluppo prospettato e lo dicono nero su bianco i numeri dell’occupazione: «In passato è stato creato lavoro, ma non nella misura delle cifre dichiarate delle compagnie petrolifere», spiega Davide Bubbico, professore associato di Sociologia economica e del lavoro all’Università di Salerno. Nella regione, il carbon fossile non è un freno allo spopolamento: una vera e propria emorragia sociale a scapito delle nuove generazioni, che neppure il welfare di pochi comuni irrorati dalle royalties riesce ad bloccare.


La lista delle criticità è lunga. Lo sa bene Giorgio Santariello, fondatore del collettivo Cova Contro, che da anni cerca di accendere la luce sulle ombre del carbon fossile lucano: «Oggi si vuole puntare sul Pnrr lasciando aperta la grande ferita cronica di questa regione: l’assenza dei controlli ambientali», denuncia. Giorgio è prossimo ai quarant’anni e, quando ha deciso di aprire un’associazione con dieci amici, non aveva ben chiaro quanto i problemi generati dall’industria energetica siano radicati: «Oggi noi facciamo intelligence ambientale dove i controlli non arrivano. Sul territorio, le soprintendenze hanno poco personale, per cui non possono ispezionare di frequente i cantieri. Noi cerchiamo di colmare questo buco, perché spesso vengono a mancare stimoli per cambiare», spiega.

 

Oggi grazie a una rete di sentinelle su tutto il territorio, da giovani attivisti a pensionati muniti di smartphone, Cova Contro denuncia quei progetti che sconfinano nell’illegalità: «Abbiamo fermato lo sversamento di acque che venivano dall’estrazione per essere immesse nei torrenti della località Tempa Rossa e nell’invaso della diga del Pertusillo, che porta acqua potabile nelle nostre case». Mentre sta parlando, Giorgio riceve la chiamata di un amico che sta facendo analizzare l’acqua del mare dopo una febbre anomala dei figli: «Gli impianti di depurazione a ridosso della costa non funzionano correttamente quando c’è un grande afflusso di turisti», spiega. Con l’allineamento agli obiettivi europei di de-carbonizzazione e l’attività incessante delle estrazioni, loro sono i primi a chiedersi quale sarà la strada che la regione intraprenderà fino al 2050.


Nell’alta Val Basento, anche l’incantesimo delle rinnovabili sì è spezzato da tempo. Almeno dal 2015, quando i crinali che legano il potentino a Matera sono stati oggetto dell’installazione massiva di turbine eoliche. A Balvano lo chiamano eolico selvaggio, nelle contrade dove i campi agricoli sono invasi dall’ombra di pale che sembrano ecomostri. Qui l’energia eolica ha segnato drammaticamente il futuro di tante famiglie, come quella di Mario Bagnulo che, dopo vent’anni di lavoro nella ristorazione italiana, oggi rimpiange il ritorno al paese d’origine: «Sarei disposto a vendere tutto e partire con la mia famiglia, ma la quotazione della casa è scesa da quando hanno installato le pale eoliche nelle vicinanze», spiega.

 

 

Da lontano, la sua casa blu abbacinata dal sole sembra emergere da un quadro di Magritte, ma è solo un’illusione nel luogo dove gli appezzamenti agricoli divenuti lotti industriali, il suono metallico degli aerogeneratori da sottofondo: «Ne ho contati sedici, di cui tre a meno di duecento metri dal patio», indica amareggiato. Nei suoi occhi affranti c’è, però, la tenacia di chi ha appena intrapreso una battaglia che non vuole lasciare. È di pochi giorni fa la notizia che il pm del tribunale di Potenza, Valeria Farina Valaori, ha chiesto il rinvio a giudizio per otto persone, fra privati e dipendenti pubblici. Per Mario è l’ennesimo round di una lotta che ha iniziato con l’associazione Balvano Libera: «Siamo 150 firmatari, inclusi i sindaci di Vietri di Potenza e Muro Lucano», spiega. Con lui raggiungiamo Giovanni Bovino. Nel suo giardino il rumore di almeno sette pale eoliche in funzione ricorda il cigolio della carena di un transatlantico: «Non abbiamo tregua, quando il rumore ti entra nella testa è dura vivere la quotidianità», ammette. Sua figlia, di pochi mesi, fatica a dormire la notte: «Chiudiamo le finestre per attutire un poco il frastuono, ma quando ti abitui al rumore, ti accompagna sempre».


L’area intorno al comune di Balvano ha l’aspetto di un grande parco eolico, seppure diverso dal quello della vicina Ricigliano (Salerno), costituito da dodici grandi turbine eoliche sulla montagna. Nella maggior parte dei casi, si tratta di impianti di minieolico, che producono pochi megaWatt ciascuno, e che si affastellano come una selva di mulini a vento a ridosso di abitazioni private. Oggi se ne contano 85: «Questa non è la transizione energetica che vogliamo, nessuno incentiva il fotovoltaico né c’è un interesse a riqualificare le aree industriali», lamenta Mario. Sia lui che Giovanni hanno storie che s’intrecciano ad altre. Come quella di Francesco Teta, che ogni settimana riceve la visita del veterinario per placare l’infiammazione acustica di cui sono affetti i cani che alleva: «Il rumore è martellante, non ci fai mai l’abitudine», dice Giovanni. Non è l’unico problema. D’inverno, il soggiorno di Mario sembra una sala da discoteca: «È l’effetto shadow-flickering, uno sfarfallio intermittente dell’ombra. Per limitarlo, sto facendo crescere le aiuole intorno».

 


A pochi chilometri da Balvano, il comune di Vietri di Potenza è chiamato la porta della Lucania. Fin dal suo insediamento nel 2017, il 39enne sindaco Christian Giordano si è scontrato con la realtà dell’eolico: «Vedere arrivare sul proprio territorio aziende private che non conosciamo e che promettevano investimenti, mi ha subito insospettito perché gli impianti di cui parliamo non sono installati per coprire il fabbisogno energetico della nostra comunità né guardano alla sostenibilità del posto», spiega. Nella causa che vede fra gli imputati anche i tecnici di Balvano, il Comune di Vietri si è costituito parte civile: «Questa battaglia ormai si traduce in procedimenti giudiziari, perché ne va dell’interesse di tutta la comunità che rappresento», ammette.


A pochi chilometri di distanza, il piccolo borgo di Muro Lucano è l’ultimo argine alla speculazione energivora. Il primo cittadino Giovanni Setaro, anche lui impegnato a rilanciare la realtà locale, ha in mente altre alternative alla sperequazione green: «Noi chiediamo solamente che si scelgano luoghi adatti a installare gli impianti, non possiamo accettare che sia devastato un intero paesaggio», aggiunge. Alle sue spalle, campeggia il castello dove la regina Giovanna d’Angiò fu assassinata: «Abbiamo un patrimonio da salvaguardare, se non fosse per la nostra resistenza, dietro al castello oggi avremmo pale eoliche, con un impatto anche sulle migrazioni annuali della cicogna nera», sottolinea.

 

 

Per i due sindaci, la Basilicata è una terra dal grande potenziale, ma la politica spessa lo intercetta su altri binari: «Abbiamo tanti corsi d’acqua da poter investire sull’idroelettrico o sul turismo slow. Per questo, mi domando se il governo non abbia già deciso il nostro destino. In tal caso, meritiamo una risposta sincera», dice Setaro. Per Lanorte di Legambiente, è necessario tracciare scadenze temporali e tradurle in azione: «Davanti alle deadline del Pnrr, solo con un limite temporale si può procedere a una strategia di decommissioning e riconversione degli impianti industriali, perché si adattino alla green economy e non siano semplicemente tentativi di greenwashing» .


L’impegno dei cittadini e quello di alcuni comuni finora ha mostrato che anche l’energia green può avere un retrogusto amaro. Nella resistenza mista a rassegnazione di chi spera in una vita tranquilla, sembra di leggere ancora quanto scriveva nel Dopoguerra Carlo Levi, quando menzionava l’«antico diritto feudale di vita e di morte sui cafoni». Oggi quel “diritto” ha il volto della speculazione e del tacito assenso, ma c’è chi resiste per ricordare che il futuro può ancora cambiare, oltre le vane promesse.