Il fabbisogno è di almeno due tonnellate contro i 150 chili coltivati nello stabilimento militare di Firenze. In attesa di una legge, tocca allora importarla e il Titano liberalizza ed è in prima fila

Pensare che l’Italia fino a settanta anni fa era leader mondiale nella produzione di cannabis, seconda solo all’Unione Sovietica. Centomila ettari distribuiti in tutta la pianura Padana, con l’Emilia in testa per numero di coltivazioni. Quella cannabis non finiva nelle terapie, era pensata soprattutto per il mercato tessile, delle fibre e della carta. Un settore spazzato via, non solo dall’industrializzazione e dall’introduzione di nuovi materiali, ma anche dallo stigma: Benito Mussolini dichiarò l’hashish, il derivato ricreazionale della cannabis, nemico della razza e droga da “negri”. Il proibizionismo della “war on drugs” degli anni Sessanta fece il resto.

 

La libera produzione di canapa legale italiana è possibile dal 2016 ma quella terapeutica è limitata allo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze (Scfm), nella quantità di circa 150 chilogrammi (solo nel 2020 sono stati 250 chili). Secondo un report dell’International narcotics control board, il fabbisogno italiano per i pazienti è di 1.950 chili all’anno, altre stime parlano di tre tonnellate. Nonostante la legge italiana sulla cannabis terapeutica sia vecchia di quattordici anni, la filiera non riesce a garantirne per tutti, per questo tocca rifornirsi altrove, principalmente da Canada e Olanda. 

 

 

Da domani saranno i cugini della vicina San Marino i nuovi competitor nel settore. Il primo giugno la Repubblica ha infatti approvato all’unanimità un progetto di legge sul commercio e utilizzo di prodotti a base di cannabis, destinati esclusivamente ad uso medicinale o terapeutico. Ci sono voluti diversi governi, blocchi e riprese per raggiungere il risultato.

 

Uno dei maggiori intenti è quello di inserirsi come distributore di riferimento per il nostro paese, con ricavi economici e occupazionali, allargando poi i guadagni al Continente. Su questa linea si muovono anche i nostri vicini, prima fra tutti la Germania che nel frattempo è diventata il più grande mercato di cannabis d’Europa, con oltre 70 milioni di dollari di ricavi all’anno. Dopo la legge del 2017, ora punta a dieci tonnellate all’anno. La Grecia ha invece approvato a maggio una legge per la coltivazione e il commercio, proprio come San Marino.

 

«Non capita spesso di mettere tutti d’accordo, vista la grande conflittualità politica di San Marino. Anche partiti che per loro natura si trovavano su posizioni diverse, si sono ritrovati sull’aspetto farmacologico», commenta Roberto Ciavatta, segretario di Stato alla Salute di San Marino che ha annunciato già numerosi potenziali investitori. «Saremo allineati con l’Italia, nostro partner commerciale primario: è Aifa l’ente regolatore, per questo abbiamo prima preso contatti con il ministero della Salute italiano, la direzione dell’Ufficio centrale stupefacenti e lo stabilimento Firenze. La nostra volontà è quella di dar vita a una relazione diretta tra San Marino e Italia». Ed è proprio di questo che parlano gli ultimi accordi bilaterali in campo sanitario tra i due Paesi, sottoscritti dal ministro della Salute, Roberto Speranza.

 

 

La vera svolta della Repubblica del Titano è l’indirizzo non soltanto a un ente unico, ma ad altri soggetti: l’apertura ai privati, con autorizzazione dello Stato e come unico scopo la vendita alle farmacie del sistema sanitario, e la conseguente ricaduta economica di cui a San Marino sono tutti consapevoli, da destra a sinistra. 

 

La piccola Repubblica si è mossa bene e in tempo, cominciando un lungo percorso di apprendimento con punto di riferimento proprio lo stabilimento di Firenze: gli standard Aifa sono alti e ogni minimo sbaglio vorrebbe dire chili e chili di cannabis al macero. Le linee guida per la qualità, le ispezioni e i controlli devono ricalcare quelle italiane. Le piante pensate per scopi terapeutici hanno requisiti specifici, i lotti sono certificati con attenzione e bisogna scongiurare contaminazioni di vario tipo, come quelle da muffa o funghi. 

 

«Con l’uso terapeutico normiamo anche l’aspetto agricolo: la coltivazione a campo aperto, le serre tecnologiche, le strutture private. E poi daremo sollievo e pazienti san marinesi, e non solo», ha dichiarato Gloria Arcangeloni, parlamentare del Movimento R.e.t.e., partito di maggioranza al governo nella Repubblica e in prima linea nell’approvazione della legge.

 

Le varietà di cannabis sono tante, dovute alle quantità dei componenti attivi, ovvero i cannabinoidi, la composizione di questi nella pianta ne varia anche l’utilizzo: «A seconda della loro composizione in cannabinoidi, e della presenza di maggiori o minori quantità di Thc, varietà diverse di cannabis possono produrre effetti psicotropi o meno. Anche cannabinoidi diversi dal Thc hanno potenziali proprietà terapeutiche, senza però produrre effetti psicotropi, è la composizione che determina l’impiego in una determinata patologia: contro malattie neurologiche, neuropsichiatriche, infiammatorie, proliferative maligne o metaboliche», spiega Vincenzo di Marzo, direttore di ricerca presso l’Istituto di chimica biomolecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Icb-Cnr).

 

«Siamo stati ospiti del Movimento R.e.t.e. e siamo rimasti stupiti. Capiamo benissimo l’interesse economico della Repubblica sammarinese all’apertura alla produzione, tuttavia, da italiani, siamo rimasti colpiti dalla notizia, perché qui da noi la somministrazione di cannabis a scopo terapeutico è prevista dal 2007», racconta Antonella Soldo, coordinatrice di “Meglio legale”. La legge c’è, ma non la possibilità di coltivazione fuori dallo stabilimento militare.

 

«Stiamo varando i bandi che diano la possibilità di coltivare anche ad aziende private e pubbliche per raggiungere l’obiettivo di essere autosufficienti dal punto di vista della produzione. Confido che nelle prossime settimane si possa avviare e aumentare la produzione nel nostro Paese». Le parole di Andrea Costa, sottosegretario alla Salute, pronunciate il 24 ottobre scorso, sono una prima risposta alla mossa di San Marino. Ma negli anni promesse come questa sono state avanzate da tanti.

 

«Nel 2017, a dieci anni dalla legge Turco che apriva alla terapia a base di cannabis, con un provvedimento ad hoc è stata estesa ad altri enti ed imprese la possibilità di trasformazione e coltivazione di ulteriori quote di cannabis ad uso medico», aggiunge Soldo. «A seguito di questo atto la ministra Grillo ha più volte dichiarato l’apertura di un tavolo con i portatori di interesse per estendere l’autorizzazione ai privati. A oggi però niente è stato incardinato». 

 

E intanto migliaia di pazienti faticano a trovare la terapia, per mesi ne rimangono sprovvisti, costretti a rivolgersi al mercato nero. A luglio scorso i rappresentanti dei pazienti italiani che fanno uso di cannabis sono stati ricevuti al ministero della Salute. Hanno chiesto, tra le altre cose, garanzia della continuità terapeutica, ampliamento delle varietà disponibili, importazione d’urgenza laddove c’è mancanza. Alcuni pazienti che provano a trovare un’alternativa fai da te, con la coltivazione personale di qualche piantina, finiscono nei guai con la giustizia. Come Walter De Benedetto, 49 anni, affetto da artrite reumatoide, di cui abbiamo raccontato in queste pagine. Indagato, e poi assolto, per coltivazione di sostanza stupefacente, per aver coltivato piante di marijuana. «La mia richiesta di aiuto è un atto di accusa contro un Paese che viola il mio diritto alla cura riconosciuto dalla Costituzione», aveva detto l’uomo in un appello rivolto al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

 

Processo in corso invece per Cristian Filippo, 24 anni, affetto da fibromialgia. Vive in una delle tre regioni, la Calabria, che insieme a Molise e Valle d’Aosta non ha ancora approvato il provvedimento per erogare la cannabis medica a carico del servizio sanitario regionale. «Il mio medico della terapia del dolore mi fa la prescrizione su carta bianca, a pagamento, questo vuol dire almeno 800 euro al mese e non posso permettermelo», racconta Cristian. Cristian è venuto a conoscenza della sindrome nel 2019, dopo anni di dolori e diagnosi sbagliate che gli sono costate fatica e terapie inconcludenti. «Ho girato tutti gli ospedali calabresi, ognuno avrebbe la possibilità di importazione, ma ogni provincia opera a modo suo. Nella mia, Cosenza, se ne lavano le mani. Sono anni che rifiutano le richieste, lo raccontano altri pazienti come me, tra di noi ci conosciamo tutti».

 

Cristian, impossibilitato a curare il dolore, ha coltivato in casa due piantine, per non ingrassare le casse della malavita o rischiare di acquistare un prodotto pericoloso perché entrato a contatto con sostanze nocive. «Ricordo il giorno in cui mi hanno fatto la perquisizione, avevo una pianta e delle infiorescenze in essiccazione, il mio unico pensiero era: mi stanno sequestrando la mia terapia e l’idea di rimanere senza era terribile». Cristian è stato arrestato all’inizio di giugno 2019, costretto ai domiciliari per un mese. Assistito come Walter da “Meglio legale”, aspetta il rinvio del processo a marzo 2022.

 

In alcuni casi il paziente potrebbe ripiegare sul cortisone, ma preferisce tenersi i dolori che subire gli effetti collaterali di un medicinale tanto potente: «La mia qualità della vita con la cannabis è completamente diversa, è una soluzione immediata che annienta il male all’istante: è impensabile che io non vi possa accedere».