Le sparate di Donald Trump e le informazioni sempre più confuse. Con l'assalto ai supermercati e ai negozi di pistole e fucili. Ci scrive una lettrice dal Michigan per raccontarci l'emergenza coronavirus vissuta nel Midwest
Grand Rapids, Michigan, 24 Marzo 2020. Esattamente un anno fa cominciava l’avventura americana per me e il mio compagno. Due ricercatori emigrati all’estero, io già in Germania da due anni, lui direttamente dall’Italia agli Stati Uniti. Come per tanti altri, la nostra è stata una scelta che ha comportato molti sacrifici e molte lontananze.
Un anno dopo,
la nostra vita di tutti i giorni è come se fosse stata messa in pausa. Temiamo che tutti i sacrifici fatti saranno vanificati da questa pandemia. Siamo entrambi a casa, in attesa di capire cosa succederà da oggi in poi. Infatti, così come è successo a Wuhan 2 mesi fa,
la governatrice del Michigan, Gretchen Whitmer, ha ordinato il "stay home, stay safe": tutte le attività non fondamentali dovranno restare chiuse e chi non svolge funzioni essenziali dovrà rimanere a casa il più possibile.
Penso ai miei genitori in Italia, già in quarantena da quasi 2 settimane. Qui
nessun tipo di attività all’aperto è vietata: si possono fare camminate, corse, gite in bicicletta, o qualsiasi altra attività ricreativa che consenta di rimanere a sei piedi (circa 2 metri) di distanza da altre persone. La verità è che qui siamo tutti un po’ confusi e non è chiaro quali siano davvero le "attività fondamentali" che possono, secondo la governatrice, procedere.
Rientrano ovviamente nella categoria tutti coloro impegnati negli ospedali e nell’assistenza sanitaria, nella polizia e nel primo soccorso, ma anche chi si occupa di assistenza all’infanzia, agricoltori, trasportatori, commercianti, coloro che lavorano in banche ed assicurazioni. La lista è lunga. Da alcuni dettagli traspare la cultura e le priorità locali:
i rivenditori di auto dovranno chiudere, ma non chi fornisce pezzi di ricambio; ristoranti e catene di "fast food" potranno restare aperte, ma solo per "take-away". Diversamente dalle grandi città americane, qui nella provincia del Midwest i trasporti pubblici scarseggiano, gli spazi sono ampi e a "downtown" (il centro città) non esistono praticamente negozi: tutti i grandi supermercati si trovano organizzati in conglomerati fuori dalla città.
Così spostarsi in macchina è pressoché fondamentale. Anche la possibilità di acquistare cibo pronto è una necessità, dal momento che qui non molti cucinano o utilizzano i fornelli per altro che non sia riscaldare cibi pronti (quando non usano direttamente il microonde). Nonostante la lunga lista di eccezioni, già 3.3 milioni di americani hanno richiesto il sussidio di disoccupazione proprio quando le attività non essenziali sono state chiuse. Non tutti coloro che restano disoccupati, però, possono richiedere tali sussidi. Ciò significa che probabilmente molte più persone si trovano in questo momento in difficoltà, senza un lavoro e senza alcuna entrata.
Apprendiamo anche che non è assolutamente proibito viaggiare al di fuori dello Stato, rientrarvi, o spostarsi tra diverse residenze. In Italia, invece, proprio in questa data, Conte ha annunciato misure ancora più restrittive di quelle precedentemente introdotte, dando alle Regioni potere di inasprire i regolamenti.
Qui in Michigan le limitazioni sono state introdotte in misura crescente a partire dal 10 marzo, giorno in cui la governatrice dichiarava lo stato di emergenza e chiudere i college, le università. Il 10 marzo venivano infatti confermati i primi due casi ufficiali di COVID-19 in Michigan. In questa stessa data, l’Italia era già in "lockdown", con l’intera popolazione che si trovava a seguire le stesse misure fino a quel momento adottate in Lombardia e nelle altre "zone rosse". I miei colleghi già mi chiedevano preoccupati della situazione in Italia, dei miei parenti e dei miei amici. La sensazione, però, negli occhi degli altri, ê che fosse un problema ancora lontano: non vedevo timore, in quel momento, più che altro avvertivo la gentilezza e la cortesia tipica del Midwest. D’altra parte, non avevamo la stessa sensazione in Italia, quando il SARS-CoV-2 ha cominciato a diffondersi in Cina?
La notizia della chiusura dei college mi era arrivata la mattina a lavoro, tramite il mio studente tedesco, che viveva in un appartamento con alcuni coinquilini che frequentavano le università vicine. La gestione dell’emergenza mi era già in quel momento parsa a dir poco particolare.
Pare che agli studenti sia stato detto di andare di corsa nei supermercati per fare scorta di beni essenziali sufficienti per due settimane. Risultato ovvio: assalto ai supermercati. È stato interessante osservare quali beni sono considerati di prima necessità qui.
Ovviamente gli scaffali sono completamente vuoti dove prima si trovavano igienizzanti per le mani, che qui vengono molto più utilizzati che in Europa, anche in situazioni normali.
Manca tuttavia anche carta igienica, burro, pollo, latte e uova. Il latte fresco qui è venduto in flaconi da 1 gallone (circa 4 litri), e le uova in confezioni da non meno di 12 unità. Nonostante ciò, nei supermercati hanno dovuto limitare l’acquisto di entrambi a 5 confezioni. Altra nota caratteristica: lo spreco alimentare. Purtroppo, le statistiche dicono che circa un terzo del cibo acquistato dalle famiglie americane viene gettato. Questo in condizioni normali, ovviamente in queste circostanze l’attenzione allo spreco perde ulteriormente priorità.
Tutto ciò senza menzionare la letterale corsa agli armamenti: molti americani si sono ritrovati in coda per acquistare armi e munizioni, per paura che possano terminare. Qualcuno ha dichiarato ai giornali che, dopo aver fatto scorta di cibo, le armi erano l’ovvio passo successivo.
Nel nostro Istituto si cominciava a respirare aria pesante. I capi gruppo più organizzati tenevano riunioni con le proprie unità pianificando i prossimi passi e limitando le future attività. Nonostante le restrizioni già introdotte,
sabato 14 marzo la maggior parte della comunità era già in fermento per San Patrizio, prevista per il 17 marzo. I pub e i bar del centro, già normalmente affollati, brulicavano di persone intente ad anticipare i festeggiamenti. In teoria, era già in vigore l’ordine di ridurre aggregazioni di più di 100 persone. Solo dal 15 marzo, tuttavia, ristoranti e bar venivano sollecitati a ridurre l’affollamento, e soltanto il giorno successivo iniziava il divieto di consumazione in loco.
In questa stessa settimana, il mio studente tedesco veniva costretto a rientrare in Germania tramite e-mail intimidatorie da parte della sua università. Gli era stato comunicato che, dal momento che l’università non era certa di quali coperture offrisse l’assicurazione che lui stesso si era dovuto pagare, non si sarebbe assunta alcuna responsabilità nel caso in cui lui avesse deciso di rimanere negli Stati Uniti.
Già, perché
qui avere una buona assicurazione significa tutto. È un simbolo di status sociale, oltre che un metro che decide chi possa curarsi e chi no. Ho pensato più volte a come la sanità in questo Paese riuscirà a fronteggiare il dilagare del SARS-CoV-2. Cerco di immaginare la situazione di chi non ha neppure un’assicurazione sanitaria. Le stime attuali parlano di 30 milioni di americani senza assicurazione e 44 milioni con un’assicurazione che copre soltanto in minima parte le spese mediche. Il governo ha recentemente deciso di fornire gratuitamente il test per SARS-CoV-2, dal costo stimato di circa 1000 $ (900 €) a persona.
Che dire delle cure?
Come possono persone senza assicurazione permettersi un ricovero in terapia intensiva? Molte testate giornalistiche hanno provato a determinare il costo di una degenza per COVID-19. La verità è che, data l’eterogeneità dei trattamenti e delle coperture sanitarie, è pressoché impossibile determinarlo. Si può avere però un’idea approssimativa dei costi. In pronto soccorso i prezzi si basano sulla gravità della situazione. Per problemi poco gravi, il costo sarebbe di 169 $ (152 €) per chi è assicurato e 441 $ (397 €) per chi non lo è; per situazioni di pericolo di vita si arriva a 443 $ (398 €) per chi ha una buona assicurazione e 1151 $ (più di 1000 €) per chi non è assicurato. Questi prezzi si riferirebbero alla sola degenza, senza il costo delle apparecchiature, come i ventilatori polmonari.
Persone senza assicurazione qui tendono ad avere minori entrate, un’educazione ferma alla scuola media, basso reddito, vivere in aree più inquinate e con meno risorse per la propria salute, ed avere in generale una salute più cagionevole. Quindi sarebbero queste stesse persone ad essere più vulnerabili.
Un altro problema serio deriva dal fatto che in molti casi lavori che non garantiscono una buona assicurazione sanitaria non hanno nemmeno buone coperture per malattia.
Mi sono quindi ritrovata a pensare:
cosa farei se fossi in questa situazione? Se mi sentissi febbre e sintomi influenzali, ma il mio basso reddito fosse magari l’unico della famiglia e non potessi prendere malattia, starei davvero a casa? O andrei a lavorare comunque? Andrei davvero in ospedale per farmi testare, con il timore dei costi?
Oggi è il 29 marzo. È trascorsa una settimana dall’invito a rimanere a casa. Martedì 25 in serata sono stata classificata come "personale essenziale". Di conseguenza,
sono andata a lavorare per tutta la settimana, riducendo il più possibile il tempo trascorso fuori casa. Il mio compagno, lavorando al computer, è potuto invece restare a casa. È stata una settimana particolarmente stressante, tanto che mi sembra sia passato un mese. Ogni volta che usciamo di casa, soprattutto per andare a fare la spesa, stiamo attenti ad ogni superficie che non possiamo fare a meno di toccare, ed io cerco di resistere a quei fastidiosi pruriti in faccia che normalmente gratterei senza pensarci.
A lavoro in questa settimana sono per la maggior parte delle volte
completamente sola, in un Istituto che ospita normalmente più di 400 persone. Non è una bella sensazione, ma cerco di tirarmi su il morale pensando che non è da tutti avere un intero Istituto tutto per sé! Da un lato la mia mente razionale capisce anche che essere soli è un fattore positivo in questa pandemia, dall’altro resto umana e il contatto con gli altri mi manca.
Nel silenzio, mentre sono indaffarata con i miei esperimenti, il pensiero va inevitabilmente a casa e ai miei cari in Italia.
In laboratorio mi sento però abbastanza sicura. Ho i guanti, li lavo e pulisco frequentemente le superfici con etanolo al 70%. Per entrare in alcuni ambienti devo anche fare una doccia, cambiarmi i vestiti e portare la mascherina. Ad ogni guanto e mascherina che uso penso agli operatori sanitari impegnati nella lotta contro questa pandemia, qui negli Stati Uniti, in Italia e nel resto del mondo. Il nostro Istituto, come altri, ha già donato strumentazione agli ospedali vicini, ma molti ospedali negli Stati Uniti stanno già lamentando di avere poche mascherine, guanti, camici e attrezzature. Venerdì Trump è ricorso al "Defence Production Act", per reindirizzare la produzione delle ditte americane verso beni di prima necessità in questa lotta contro il SARS-CoV-2. In particolare, lo scopo principale è stato spingere General Motors a produrre ventilatori polmonari, che pare saranno pronti tra circa un mese. Sono state anche ampliate le categorie di lavoratori che potranno ricevere un’indennità di disoccupazione, e si parla di versamenti di circa 1200 $ (1080 €) per adulto da parte del governo federale.
La verità è che
qui si fa fatica a capire cosa sta succedendo. Spesso ci lamentiamo della cattiva comunicazione in Italia, ma qui è davvero estremamente difficile trovare testate giornalistiche che non siano fortemente polarizzate politicamente. Quale è la reale situazione? A sentire l’aggiornamento del bollettino giornaliero con Trump e Pence, l’America è più che preparata. Le frasi più utilizzate ogni giorno sono: "Abbiamo tutto sotto controllo", "Abbiamo tutti i guanti e le mascherine che ci servono", "l’America vincerà questa guerra". Poi però si leggono articoli meno confortanti. Il 21 marzo, l’American Medical Association, l’American Hospital Association, e l’American Nurses Association hanno scritto una lettera congiunta dichiarando che molti operatori sanitari devono riutilizzare le mascherine o provvedere a realizzare mascherine "fai da te", perché in alcuni ospedali già non ce ne sono a sufficienza. La situazione è particolarmente grave nelle grandi città, come New York, dove, non a caso, il governatore Andrew Cuomo è molto meno ottimista nelle interviste rispetto a Trump.
Avrebbero bisogno di 30000 ventilatori polmonari, ha dichiarato Cuomo, e attualmente, anche con gli aiuti federali, ne hanno solo 13000. Anche qui in Michigan sono cominciate a circolare lettere di ospedali ai dipendenti con istruzioni riguardanti le scelte in caso di scarsità di equipaggiamento. Verrà data priorità ai pazienti con migliori possibilità di sopravvivere e verranno interrotti i trattamenti a coloro sotto ventilatore o in terapia intensiva, se non ci saranno miglioramenti visibili, per poter offrire questi supporti ad altri pazienti. Chi presenta patologie pregresse quali danni seri a cuore, polmoni, fegato, reni, traumi seri o bruciature, o cancro allo stadio terminale potrebbero non essere ammessi in terapia intensiva e a ricevere supporto tramite ventilatori. Si sceglie chi vive e chi muore, e a me tornano alla mente le dichiarazioni di alcuni medici nella zona di Bergamo, che ho letto sui giornali italiani.
Martedì
Trump ha dichiarato che vuole la nazione "aperta e impaziente di festeggiare la Pasqua, il 12 Aprile. Ad oggi, le città più colpite qui negli Stati Uniti, come New York, non sono state isolate. Cuomo e Trump hanno avuto accesi diverbi a distanza sulla possibilità di mettere in quarantena la città. Un’azione di questo tipo è stata definita "anti-americana", "dichiarazione federale di guerra agli Stati" ed "illegale". Si è quindi passati dall’idea di una quarantena ad un suggerimento rivolto ai cittadini degli Stati di New York, New Jersey e Connecticut affinché evitino viaggi non essenziali per i prossimi 14 giorni. Cuomo ha anche minacciato di querelare chiunque porti avanti attività di controllo ai cittadini, come quelle introdotte dalla governatrice di Rhode Island, Gina Raimondo, venerdì. Ai cittadini provenienti da qualsiasi stato e diretti verso Rhode Island, è richiesto di rispettare una quarantena di 14 giorni. Qui in America si procede per suggerimenti, qui il popolo non ama le limitazioni alla libertà personale.
Nel frattempo, l’ambiente viene dimenticato.
Nel piccolo di Grand Rapids, la poca raccolta differenziata è stata sospesa. La giustificazione è legata al fatto che SARS-CoV-2 sembra resistere per qualche tempo sulla plastica e sui metalli, quindi per tutelare gli operatori si è deciso di bruciare tutto indistintamente. A livello nazionale, la Environmental Protection Agency (l’agenzia per la protezione dell’ambiente) ha smesso di monitorare eventuali violazioni ai regolamenti contro gli inquinanti, sempre con la scusa di proteggere i lavoratori ed il pubblico da COVID-19. Io temo che questa pandemia ci stia facendo dimenticare un’altra guerra, che ancora incombe: quella contro i cambiamenti climatici.
Con la situazione italiana nella mente e nel cuore, i toni del governo americano suonano decisamente troppo trionfalistici, le azioni e le misure intraprese sembrano in ritardo e troppo poco restrittive. Forse, però è la sensazione che molti di noi provano nel mondo, in questo periodo in cui ci sentiamo impotenti, in cui tutto quello che possiamo fare per difendere noi stessi e gli altri, è stare a casa.
Ilaria Panzeri, lombarda, vive a Grand Rapids, in Michigan, lavora come ricercatrice postdoctoral Researcher Fellw at Van Andel Institute.