Il lockdown che viene proprogato nel paese sudamericano, la differenza tra ricchi e poveri che si aggrava, la speranza per il futuro. Ci scrive un lettore dallo Stato andino

Questa testimonianza di un italiano all'estero è stata raccolta grazie alla collaborazione di Giovani Italiani nel mondo. Qui il loro profilo Instagram

Voglio immaginarmi il giorno in cui le porte delle case peruviane si riapriranno, dopo sei o più settimane di quarantena. Qui in Perù, inizialmente, la fine del lockdown era programmata il 13 aprile, dopo 28 giorni di serrata generale, ma adesso è stata posticipata al 27 e, chissà, forse verrà spostata un po' più in là.

Sono nato e cresciuto in Perù, da padre italiano e mamma peruviana. Sono vissuto a Lima, la capitale, fino a due anni fa, quando ho poi preso la decisione di trasferirmi a Cusco, a 3.400 metri di altezza dal mare, incastonato fra le Ande peruviane, che un tempo fu la grandiosa capitale del'Impero Inca.

Fino a poco più d’una settimana fa in Perù vigeva una strana regola, un'uscita a giorni alterni per donne e uomini solo per comprare prodotti di prima necessità (gli uomini potevano uscire di casa il lunedì, il mercoledì e il venerdì): ma poi questa norma è stata sospesa. Detto questo, anche in Perù stiamo attraversando settimane surreali, che sanno facendo emergere il meglio e il peggio di noi.

All'inizio qualcuno diceva che il coronavirus è democratico, perché colpisce tutti, ricchi e poveri. Ma qui in Perù le disuguaglianze sono diventate ancora più visibili e accese: il divario fra chi ha di più e chi ha di meno è diventato immenso perché la maggioranza delle persone vive alla giornata e si è ritrovata senza pane, perché obbligata a stare a casa, senza possibilità di guadagnare alcunché. Per quello il governo ha disposto degli aiuti economici per le famiglie più in difficoltà.

Nelle provincie, come a Cusco, non mi sembra abbiamo avuto ancora problemi di approvvigionamento. A Lima invece la situazione sembra più difficile. Va detto che il Perù gira intorno a Lima, dove vivono 9 dei 32 milioni di cittadini. I servizi assistenziali e l'accesso agli ospedali, invece, sono un problema ovunque e per questo il paese ha preso fin da subito misure drastiche e rapide: se avessimo avuto i casi di Covid-19 dell'Italia, qui sarebbe stato un disastro.

A Cusco la maggioranza di gente sta rispettando le misure, come in parte delle Ande dove, del resto, fa molto freddo e le persone restano più volentieri nelle loro case, al caldo. A Lima, nelle provincie sulla costa e nella foresta, la situazione invece e più difficile, in parte a causa del clima caldo ed estivo.

Non voglio dire che questa quarantena obbligatoria non sia stata una buona decisione, tutt'altro. Contro ogni pronostico, siamo uno dei paesi meno colpiti, in buona parte grazie alle decisioni di un Presidente che non abbiamo nemmeno eletto noi. Siamo un Paese talmente paradossale, che in mezzo a questa crisi globale riusciamo a scorgere una tenue luce di speranza (o al meno io lo spero così).

Voglio immaginarmi il giorno che si riapriranno le porte uscendo dalle nostre case, ammirando un paese nuovo, con strade linde e fiumi puliti. Magari che non ci venga la voglia di costruire un Perù migliore, più sostenibile e più di tutti alla fine di tutto questo.