Lo sterminio dei sinti nei campi di concentramento è stato dimenticato per anni. E l'attuale segregazione nei campi rom è figlia anche di questa amnesia.  Ne parliamo con l'artista rom Bruno Morelli

Porrajmos significa ‘messo nella pancia’ ed è la parola con cui rom e sinti indicano lo sterminio, il ‘divoramento’ del proprio popolo da parte dell’Europa nazista e fascista tra il 1934 e il 1945.

«Ci hanno mangiati e ci hanno dimenticati», spiega l’artista rom Bruno Morelli. Perché per molto tempo l'Olocausto degli zingari, il Porrajmos, è stato lasciato nel silenzio e si è trasformato in una dimenticanza. Bambini, donne, uomini perseguitati, deportati, seviziati, uccisi e rimossi dalla memoria. Nei processi ai colpevoli di crimini contro l'umanità che seguirono la liberazione, rom e sinti non ebbero spazio, non gli fu concesso alcun indennizzo.

«Come se le loro sofferenze non fossero accadute» constata Morelli. È seduto al tavolo del suo atelier alle porte di Roma accanto a una scultura di filo spinato. L’ha chiamata ‘crocifissione ad Auschwitz’ e rappresenta il peso di essere umiliato senza motivo, il dolore di una ferita aperta «perché ciò che è stato colpito in quei campi è l’umanità, perché è necessario che non si ripeta e oggi assistiamo a un momento di regressione con i moderni campi dell’orrore e i rom e sinti visti come i mostri da cacciare».

L’arte come custode della memoria?
«È importante ricordare, ma serve anche un intervento pedagogico perché non accada di nuovo. Perché basta guardarci incontro per capire che le cose si ripetono.

Quest’opera è un filo-rovo che divide, che punge, che recinta, ma è anche una condivisione, identificando tutte le vittime dell'ingiustizia terrena. Ho realizzato un Cristo che potesse rappresentare non una categoria colpita, ma tutti. Per questo ho scelto il simbolo dei simboli della sofferenza.

Il filo spinato usato è identico a quello usato dai nazisti per le recinzioni dei campi di sterminio. È un Cristo che rappresenta i grovigli metallici di un’umana follia e che rinasce dalle macerie. È un antidoto ai veleni sociali del razzismo».

Perché il Porrajmos è stato dimenticato?
«Solo nel 1980 il governo tedesco riconobbe ufficialmente che i rom e i sinti durante la guerra avevano subito una persecuzione su base razziale. E siamo dovuti arrivare al 1994 per la prima giornata di commemorazione delle vittime. Una memoria rimossa, sfilacciata, senza traccia. È stato assimilato alle feroci persecuzioni di "asociali", ma i nazisti consideravano l'asocialità zingara non un comportamento deviante ma un dato genetico. Il gas Zyklon B usato per lo sterminio di massa è stato testato per la prima volta sui bambini rom e sinti e questo la dice lunga sulla considerazione che ne avevano».

Quanti furono i morti nei campi di sterminio?
«Ecco il primo punto è proprio questo. Persino il numero dei morti non è chiaro. Il dato ufficiale rilevato dagli archivi nazisti parla di 500mila, ma come ha evidenziato il professor Ian Hancock, uno dei pochi storici ad occuparsi dell’olocausto zingaro, è una stima per difetto. Perché la maggior parte delle persone uccise non aveva documenti. Si ritiene siano un milione e mezzo, il 75 per cento della popolazione rom e sinti all’epoca in Europa. Uno sterminio».

Un oblio e un’indifferenza nella coscienza sociale che arrivano ad oggi.
«Con l’oblio si rischia di cancellare quello che è successo, di rimanere indifferenti. Ciò che accade oggi alle popolazioni rom e sinti è anche il risultato di questo oblio. In Italia c’è un grande problema, non sono mai stati inseriti tra le minoranze che la Costituzione tutela. Non si è mai voluto parlare dello sterminio. I campi nomadi di oggi sono paragonabili metaforicamente ai campi di sterminio. Non è possibile che ci siano ancora campi dell’orrore. Invece di sprecare milioni di euro in assistenza, perché non li investono in soluzioni abitative? Continuiamo a essere relegati in una vergogna pubblica alle periferie della città, lontano, distanti. Nei paesi evoluti, questo problema è stato risolto da tanto tempo. I campi aumentano la possibilità di delinquere e la segregazione».

Come valuta le politiche intraprese dal nuovo governo?
Il decreto sicurezza ci mette sempre più all’angolo. Sono molto preoccupato, la situazione sta degenerando e apre le porte a un futuro in declino. Assistiamo a un momento di regressione, un atteggiamento xenofobo che avanza. I rom e i sinti sono per antonomasia i diversi tra i diversi, vanno colpiti più degli altri, i mostri da cacciare. Sono tutti ladri, tutti delinquenti. Come se dicessimo che tutti i siciliani o gli italiani sono mafiosi. Sono il capro espiatorio per eccellenza, hanno una storia di persecuzione alle spalle. Oggi si cerca di annullare la ricchezza delle presenze umane che è la base della società.