Le femministe, che sono scese in piazza in massa. Gli studenti. I volontari. Ecco la nuova opposizione, forze extraparlamentari che le esauste formazioni di centrosinistra faticano a riconoscere. E che il governo teme

Al crepuscolo della forza politica democratica, mi sono fermato di fronte al volto roccioso e scabro del suo segretario dimissionario, Maurizio Martina: posava qualche giorno fa su Twitter, il tratto a pennarello rosso sotto l’occhio destro, in appoggio alla manifestazione romana organizzata da Non una di meno - una marea che montava, prevalentemente donne, appoggiate simbolicamente da un uomo di mezz’età isolato in un oscuro antro. È l’immagine di una spettralità che si aggira per l’Italia: quella del politico di sinistra ormai privo della comunità di riferimento, estraneo alle immagini di una partecipazione enorme e storica. Il segretario pro tempore avrebbe potuto schierare la sua formazione all’interno di quella piazza, comparire tra fischi, contestazioni e urla festanti. Avrebbe potuto ricominciare da qui, poiché c’è eternamente da ricominciare: da un assembramento che doppiava le cifre mobilitate nell’ultima manifestazione nazionale da lui organizzata - 150 mila a 75 mila.

Che le femministe italiane surclassino in piazza ciò che resta del Partito democratico istruisce molto e dice quale orizzonte si pone la vera opposizione che si sta conducendo alle politiche del governo che cambia le cose in peggio. È un’opposizione extraparlamentare, aggettivo da sempre temuto nell’Aula e nelle segreterie, perché è il punto cieco della rappresentanza politica tradizionale. Anche il movimento di Grillo era prima di tutto una forza extraparlamentare, se proprio si devono indicare precedenti che tutti ricordano, anziché una tradizione che corre per l’intero Novecento. Nello spazio extraparlamentare oggi si stanno aggregando forze, che le esauste formazioni di centrosinistra faticano a riconoscere e rappresentare, ma che al contempo chi è al governo teme e tenta di vellicare o di oscurare. Queste forze sono essenzialmente due: le donne e i giovani. Sono il freno primo e ultimo alle politiche salviniane. Per questo sono temute dai poteri di oggi e ignorate da quelli ieri.

Il profluvio di dati forniti in questi giorni sulla violenza di genere e l’erosione dei diritti femminili è portentoso quanto terrificante. Non si avrebbe necessità in un Paese civile di sentirsi ripetere che una donna su tre in Italia ha subito violenza fisica o sessuale, oppure che le 900 mila madri separate (insieme a 1 milione e 200 mila bambini) vanno a scendere sotto le soglie di povertà. L’inerzia, dato prettamente patriarcale, ha fatto sì che la nazione non fosse sensibile per nulla a una questione tanto centrale. Il nuovo corso l’ha anzi appesantita. Il ministro Fontana e l’estensore dell’angosciante proposta di legge Pillon non sono che due emblemi in gioco in una partita, che la destra vuole chiudere in fretta, toccando il diritto di famiglia, riformando la 194, pressando donne e giovanissimi, con dichiarazioni che sdoganano le peggiori fantasie lefebvriane. Aggredire le donne e i bambini sembrerebbe una scelta politica suicida, ma è appunto qui, a questo incrocio, che si tocca con mano la stolidità suprematista e l’argine democratico che le si oppone. Sono donne e giovani a praticare la resistenza attiva contro l’assalto ai diritti e a determinare il prevedibile stop alle politiche rapaci della destra più berciante.

È proprio nel berciare delle destre che si intuisce la debolezza di chi sta governando a colpi di cinismo oscurantista. La visione cupa della società, che il ministro di qualunque cosa, Matteo Salvini, non smette di propagandare e perpetrare in Italia, va a impattare contro le donne e non è capace di un benché minimo appeal tra i giovani. Il 18 novembre, alla notizia del rapimento di Silvia Romano, la 23enne cooperante italiana sequestrata in Kenya, sui social italiani si è scatenato il delirio più osceno e censurabile da parte dei fan destrorsi. Migliaia di commenti sessisti, a vario modo insultanti o puramente crudeli, si sono rovesciate contro la giovane volontaria, che “avrebbe dovuto starsene a casa” e che “si divertiva come un’animatrice di villaggio turistico tra i tucùl”. In quegli stessi istanti, il ministro Salvini metteva alla gogna sui social tre studentesse che avevano manifestato a Milano contro di lui, ricordandogli come i conati di destra, in questo Paese, abbiano avuto in piazzale Loreto un lugubre esito.

Esposte al pubblico ludibrio, le minorenni si sono viste arrivare addosso di tutto, commenti sprezzanti e violente intimidazioni, inviti allo stupro morale se non fisico - tutto il complesso minatorio che fa da premessa a un femminicidio collettivo (non sembri eccessivo, quest’ultimo riferimento: in Italia, nei primi dieci mesi del 2018, sono state uccise 106 donne: una ogni tre giorni).

Silvia Romano esibiva i medesimi caratteri delle ragazze postate dal ministro dell’Interno con tanta leggerezza: si trattava di donne e oltretutto giovani. Sulle donne e sui giovani Salvini si gioca tutto. Li attacca e cerca di conquistarne i favori. Al punto di entrare irritualmente nell’affaire Silvia Romano e mettersi a twittare, in pieno sequestro, di notizie positive in merito - qualcosa di impensabile (è la Farnesina ad avere titolo per comunicare), ma che segnala la delicatezza della vicenda per il boss leghista. Il tweet su Silvia Romano veniva ripreso all’istante dal comunicatore algoritmico Luca Morisi, che governa la Bestia, come si definisce la macchina di consenso digitale che costruisce “l’epica del Capitano”. Intestarsi l’eventuale liberazione della cooperante è stata una mossa azzardata e foriera di pericoli, che indica quanto è urgente per la destra al potere conquistare i segmenti femminili e giovanili, i quali sfuggono alla sua propaganda.

Diceva le cose «da papà», fino a qualche settimana fa, Matteo Salvini. Poi ha smesso. Abbiamo visto il papà a letto nudo con la sua compagna, che non era la madre dei suoi figli e che peraltro lo mollava - e da allora del paternalismo fintamente bonaccione si sono perse le tracce. Abbiamo contemplato la lezioncina in tv sul sovranismo, comminata a poveri bambini costretti con lui in una caricatura di aula scolastica. Abbiamo registrato gli abbracci ai bambini, mentre indossava una maglietta militare. Abbiamo scrutato le fotografie dell’accoglienza di migranti a Pratica di Mare, i sorrisi dentisticamente equivoci all’indirizzo di bimbi sperduti e del tutto privi della voglia di mostrare il sorriso alla Pasta del Capitano. Sappiamo, da sempre, che i bambini e le donne sono fondamentali per Salvini, perché la sua narrazione e la sua visione sono antagoniste soprattutto a loro.
I messaggi di Salvini coincidono con ciò che anzitutto è: un maschio di mezz’età, bianco, che dà la stura alla grettitudine dell’uomo italico avvezzo al cameratismo. Il suo muflonare, prima degli incarichi governativi, costituiva la proposta al target a cui appartiene lui, se solo si fa mente locale e si ricordano la sexy doll col nome di Boldrini sventolata a una platea maschia e muschiva, le canzonacce di insulto ai terroni davanti a una birra, la panza nuda e la cravattona verdelega sui giornali popolari.

Quando però si tratta di conquistare i target che, al discorso leghista, si oppongono del tutto naturalmente, a Salvini si inceppa la macchina. Se, ai bambini coartati alla partecipazione nell’aula televisiva di “Alla lavagna”, il Capitano avesse detto la verità su cosa pensa dei diritti femminili e LGBT, avrebbe affabulato i piccoli allievi? La classe era artatamente multietnica: i bambini sono cascati nell’orrenda favoletta dell’immigrazione buona distinta da quella cattiva? Non insensibili alla comunicazione e alle politiche di questo maschio più zeta che alfa, i soggetti che ne verrebbero schiacciati, cioè donne e giovani e implicitamente bambini, reagiscono naturalmente e vanno a edificare l’ossessione del nazionalismo più coatto della storia. Qualche giorno fa, mi trovavo in un cinema, davano il secondo capitolo del prequel di Harry Potter, “Animali fantastici”. La sala era dominata da bambini e da giovani madri. A un certo punto il personaggio cattivo, predecessore di Voldemort, tiene un concione in cui esalta i maghi a discapito degli umani normodotati. Salta su un bambino e ad alta voce esclama: «Sembra un discorso di Salvini!». Il cinema è esploso in una risata e io ho compreso dove e come si può dare la fine dell’attuale orrore politico.