Sculture, mosaici e fotografie. Reperti da tutto ?il mondo in mostra nella cittadina friulana dal 2 luglio, per raccontare l'antica città romana presa di mira dal Califfato

La storia antica, con le sue testimonianze materiali, è stata sempre strumentalizzata a fini politici. Per legittimare una conquista o solo per rafforzare la propria immagine, sovrani, dittatori e governanti hanno fatto un uso arbitrario di simboli, nomi, cimeli, del proprio passato più glorioso. E gli scopi propagandistici non hanno limiti cronologici: Mussolini si identificava con Augusto, lo scià Reza Pahlavi si collegava a Ciro il Grande e lo stesso Augusto si paragonava a Romolo.

Anche la distruzione del patrimonio archeologico di un territorio ha una sua logica perversa: annientare monumenti e opere d’arte di un popolo significa colpirlo al cuore, privarlo della sua identità.
Così, molti siti della Siria ancora sotto il controllo dei fondamentalisti islamici, colpevoli di essere simboli di idolatria e di rappresentare la storia precedente, continuano a essere distrutti. Di più.

Statue e decorazioni architettoniche sono immesse nel mercato clandestino per finanziare il terrorismo, mentre gli stessi siriani, dopo sei anni di guerra civile, scambiano con viveri e medicinali oggetti antichi di proprietà o recuperati attraverso scavi illegali. Non si era mai verificata una “pulizia culturale” del genere.

Le distruzioni a Palmira dei templi di Bel e di Baalshamin, dell’Arco monumentale a tre arcate, di capolavori museali, e la barbara uccisione del direttore generale Khaled al-Asaad, hanno provocato nel mondo uno sdegno particolare. Ma a quello straordinario Patrimonio dell’Umanità viene adesso dedicata una mostra. “Volti di Palmira ad Aquileia”, curata da Marta Novello e Cristiano Tiussi e fortemente voluta da Antonio Zanardi Landi, presidente della Fondazione Aquileia, aprirà il 2 luglio nel Museo nazionale Archeologico della cittadina friulana (fino al 3 ottobre; catalogo Gangemi editore, in italiano e in inglese).
In mostra ritratti, epigrafi e mosaici. Ma nello stesso periodo, l’edificio accanto ospiterà una mostra fotografica, “Sguardi su Palmira”: gli scatti in bianco e nero eseguiti dal fotografo friulano Elio Ciol il 29 marzo 1996, quando ancora quel paesaggio conservava la sua maestosità di edifici e colonnati a perdita d’occhio.

Vengono così a dialogare, attraverso un numero limitato - ma significativo - di reperti, due ricche città antiche, di frontiera, che presentano vicende e vocazioni simili. Palmira, fertile “regina del deserto” dove si parlava greco, aramaico e latino, era centro carovaniero di scambio per spezie, incenso, pietre preziose, seta, mirra; Aquileia, nata come baluardo contro le popolazioni bellicose che arrivavano dalle Alpi o da est, divenne presto uno snodo mercantile frequentatissimo, multilingue, e anche residenza piacevole, se il poeta Marziale desiderava trascorrervi gli ultimi anni della sua vita.

Entrambe sono state protagoniste di pagine gloriose, tentativi di usurpazioni al trono e assedi prolungati: Aquileia, capitale del regno d’Occidente nel 292, è stata al centro delle lotte tra detentori e pretendenti del massimo potere durante il tardo impero, resistendo agli attacchi fino all’invasione longobarda; Palmira, vassalla di Roma ma spinta dalla sua invidiabile prosperità a formare un regno a sé, è stata conquistata con le armi dall’imperatore Aureliano - nel 272 - a seguito delle ostilità sferrate dalla regina Zenobia. Un vero mito, questa sovrana, bella audace e colta, che si richiamava a Cleopatra anche nei titoli e che come l’ultima regina d’Egitto pagò amaramente la sua contrapposizione a Roma.

Nel museo di Aquileia, a confrontarsi saranno soprattutto rilievi funerari in calcare con i ritratti dei defunti, da soli o in coppia, in grado di rivelare ruoli sociali, mode e tendenze della propria epoca (primo-quarto secolo dopo Cristo). Ma spiccano le differenze stilistiche, pur nell’intento di auto-rappresentazione comune a tutto l’impero romano.
Nell’Altoadriatico, dove i sepolcri si disponevano in modo regolare lungo le vie di uscita dalla città, i tratti fisiognomici dei defunti appaiono più schematici, appiattiti, secondo un genere che potremmo definire “minimalista”; l’unico risalto è dato da sfondi e cornici.

Tutt’altro tenore in Siria. I ritratti femminili palmireni, arrivati da musei italiani e stranieri, tra i quali la Custodia della Terra Santa, ora chiusa per restauri, sfoggiano ornamenti illustrati nei minimi dettagli. Le dame ostentano fibule preziose per trattenere le pieghe degli abiti, diademi decorati a sbalzo, bracciali ritorti, collane vistose, anelli su tutte le dita (nel rilievo del Museo Barracco di Roma un anello è stato infilato persino sulla falangina del mignolo sinistro). Sistemati in vasti ipogei senza particolare ordine urbanistico, in origine erano dipinti con tinte accese e dorature, come indicano le tracce residue. In un bellissimo rilievo (dal Museo romano di Arte orientale “G. Tucci”) la madre ingioiellata è vestita “alla greca”, mentre l’abbigliamento del figlio segue la moda “alla persiana” con i pantaloni a sbuffo: un esempio tangibile di come si mescolassero lingue e costumi nell’oasi più celebrata del Medio Oriente.