Sentenza storica che dimostra l'esistenza in Italia di un capitalismo criminale e di una politica corrotta che in affari con il Clan dei Casalesi hanno deliberatamente e illegalmente avvelenato una parte importante del Paese
Cipriano Chianese non sogghigna più. L'inventore dell'Ecomafia è stato condannato in primo grado dalla Corte d'Assise di Napoli a 20 anni di reclusione per associazione mafiosa, disastro ambientale, avvelenamento delle falde acquifere ed estorsione per i fatti che riguardano la discarica Resit di Giuliano in Campania, di sua proprietà, nella quale sono stati sversati illegalmente rifiuti e veleni di ogni tipo provenienti da aziende di tutta Italia. 180 udienze nel corso delle quali si è ricostruito il business della "monnezza" che ha creato la Terra dei fuochi.
Ci sarà sicuramente un appello, se non interverrà la prescrizione, e ricominceranno le udienze ma la sentenza e il processo ormai appartengono alla storia giudiziaria di questo Paese. Non è mai stato celebrato un processo così importante sui reati ambientali connessi alla criminalità organizzata. E comunque vadano le cose nel futuro, il Pubblico Ministero Alessandro Milita è riuscito a dimostrare l'esistenza in Italia di un capitalismo criminale e di una politica corrotta che in affari con la Camorra del Clan dei Casalesi e la Massoneria hanno deliberatamente e illegalmente avvelenato una parte importante e una delle più fertili di questo Paese: la Campania Felix. Con conseguenze estremamente serie per la salute dei cittadini.
Prima della sentenza Chianese sorrideva. Alzava l'angolo destro delle sue labbra sottili come le pagine di un libro. Venerdì 15 luglio, durante le oltre 8 ore di camera di consiglio, l'inventore dell'Ecomafia parlava e scherzava con i suoi avvocati. I suoi conoscenti lo ascoltavano con reverenza ridendo di ciò che diceva, mentre si mostrava sicuro di sé, accomodato sulla sedia. Mantenendo quella smorfia ironica, a volte contemplava un'aula insolitamente piena di associazioni di attivisti, mamme della Terra dei fuochi, alcuni giornalisti e cameramen, ai quali però non è stato concesso il permesso di riprenderlo in volto, proprio per volontà dell'imputato. L'unica immagine di Chianese usata dai giornali è ancora una foto segnaletica di qualche anno fa, dove è praticamente irriconoscibile.
C'erano anche Don Maurizio Patriciello e Monika Dobrowolska Mancini, la vedova di Roberto Mancini, il poliziotto che nel 1996 scrisse un'importante informativa,
anticipata per la prima volta da "L'Espresso" e RE Inchieste, che rivelò il sistema illegale di smaltimento dei rifiuti messo in piedi da Chianese con la complicità della camorra e dell'imprenditoria criminale italiana.
Mancini morì di tumore a causa delle sue indagini nel 2014 ma il suo lavoro è stato preso seriamente in considerazione dopo anni di silenzio e messo agli atti di questo processo dal PM Alessandro Milita. Con Monika in aula c'era anche la figlia Alessia.
La lettura della sentenza è durata poco più di 8 minuti. Poi il ghigno di Chianese si è trasformato in un'espressione seria e cupa. Una ragazza mora con un vestito lungo e nero, che gli sedeva accanto, si è accasciata su se stessa appoggiando la fronte sulle mani. La sicurezza sfoggiata nelle udienze precedenti si frantuma e Chianese, giacca grigia, camicia blu, cravatta blu a pois bianchi e jeans, capelli unti e portati da una parte, se ne va via con passo svelto, a testa bassa, accompagnato dalla sua ciurma. Uno dei sui avvocati in fondo all'aula dice: “Non finisce qui”.
Nel Frattempo Alessandro Milita, il PM che quasi in solitaria dal 2010 rappresenta l'accusa in questo storico processo all'Ecomafia, si avvicina alla moglie di Mancini che stava insieme alla figlia Alessia. Sono emozionate e felici, ma convinte che “è una sentenza tutto sommato lieve rispetto alle aspettative”. Il pubblico ministero infatti aveva chiesto per Chianese 30 anni di reclusione con l'aggravante del metodo mafioso (art. 7) per i reati di avvelenamento delle falde acquifere e disastro ambientale. “Ma vent'anni sono meglio di niente - commenta Monika – e questa sentenza rappresenta comunque un precedente. È un giorno storico per la lotta alla Camorra e all'Ecomafia e non bisogna sottovalutare che chi ha creato questo olocausto ambientale ha smesso di ridere. Roberto oggi si sarebbe incavolato ma sono sicura che avrebbe usato queste parole”. “Chianese e Cerci mi sono sembrati esseri molto banali e mediocri, mi hanno ricordato La banalità del male che ho studiato a scuola”, commenta stupita Alessia, la figlia di Monika e Roberto Mancini, 15 anni appena compiuti.