Dall'Italia agli Stati Uniti la discussione sulle coppie che scelgono di non avere bambini è di nuovo in primo piano. Fra dubbi, desideri, costrizioni sociali e pregiudizi. E a ottobre si prepara un summit di "non-mamme"

«È un racconto di scelte. Di decisioni che cambiano la vita. È un saggio che - potremmo dire - in fondo paga tributo ai genitori, perché alla sua radice dice: "Hey, questo è un lavoro difficile e importante, adatto solo a chi se la sente veramente». Così Megan Daum, opinionista del Los Angeles Times, presenta in un'intervista il suo ultimo libro, appena pubblicato negli Stati Uniti con il titolo, ironico, di: "Egoisti, superficiali ed egocentrici - sedici scrittori sulla decisione di NON avere figli".

Il volume è una raccolta di saggi scritti da persone che seguendo percorsi diversi e per motivi non standardizzabili hanno scelto di non diventare genitori. E lo raccontano per far cadere alcuni pregiudizi diffusi e permanenti in una cultura per cui la famiglia è ancora perno e motore della coesione sociale.

Dopo l'ampia discussione avviata in Italia (e su "l'Espresso") dal documentario "Lunàdigas", dedicato proprio alle donne italiane che non vogliono essere madri (centinaia di commenti sui social e sul nostro sito), il dibattito torna in primo piano anche oltreoceano.

«Sarebbe intellettualmente disonesto presentare la scelta di non diventare genitori come fosse monolitica, al riparo da dubbi», ha voluto sottolineare Daum raccontando le origini del saggio: «Le mamme e i papà celebrano forse il loro essere tali ogni giorno della loro vita? Non mi sembra».

Per questo, dice, ha cercato scrittori che potessero restituire al meglio quel mix di convinzione, di ostacoli, sentimenti e ostilità esterne che contraddistingue il percorso di chi sceglie di non avere bambini.

«Ero emozionata per il contributo di Jeanne Safer», racconta ad esempio l'autrice: «Perché il suo libro "Oltre la maternità" è stato molto importante per me. Apprezzo il modo in cui parla delle difficoltà che accompagnano la scelta di non essere madre, anche se è la decisione giusta. Racconta di quanto non voleva avere figli tanto come avrebbe voluto provare il desiderio di averli. Un periodo che ho attraversato anch'io».

Nel presentare il libro, il New York Times lega le motivazioni degli autori a una serie di cambiamenti sociali più o meno profondi. Una delle più interessanti, secondo Teddy Wayne, è forse il rifiuto del modello in cui si è evoluta in parte la famiglia nelle classi medio-alte degli Stati Uniti. Un modello che ricalca quella disuguaglianza così diffusa nel sistema newyorchese, portando l'essere genitori a diventare «uno sport competitivo e consumeristico», fra boutique che vendono vestiti da bebé per centinaia di dollari e party fra mamme dall'etichetta obbligata, ma anche nella fissazione che porta all'"overparenting", all'eccessivo interesse e protezione nei confronti dei figli.

«C'è un grande dibattito sulla crisi della fertilità e su come possano le donne moderne trovare una strada per "avere tutto" - ovvero una carriera di successo e i 2.3 figli in media a testa - prima che l'orologio biologico inizi a ticchettare», scrive l'editore nella presentazione del libro di Meghan Daum: «Ora, però, la conversazione sta passando al SE è necessario "avere tutto", e, in modo ancora un po' controverso, se i figli sono veramente una necessità per la pienezza della vita. L'idea che alcune donne e uomini preferiscano non avere figli è ancora accolta spesso con ostilità e incredulità dal pubblico e dai media».

Il dibattito approderà a ottobre a Cleveland in un vero e proprio summit internazionale dedicato alle "Not Mom", non mamme, e alle loro scelte. «Il mio non è un libro contro i genitori», ci tiene a precisare Daum: «Ma contro l'idea che non si possa parlare liberamente anche di questa decisione». Come invece fanno gli autori dei 16 saggi.