La soprintendenza milanese ha appena pubblicato il rendiconto del 2013. Un dossier ricco e trasparente, come mai in Italia, elaborato insieme a Civicum. Da cui emergono forze e debolezze dell'ente di tutela. Fra cui un cruccio: tutta l'attività gratuita a favore dei privati. Che portano le opere lombarde in tournée

Un lungo dossier, appena pubblicato, analizza costi, ricavi, attività, difficoltà e punti di forza della Soprintendenza di Brera. Elaborato in collaborazione con la fondazione Civicum, specializzata nell'analisi dei meandri della pubblica amministrazione, è la prima opera di "trasparenza totale" avviata da un organismo statale dei beni culturali. Uno sforzo che porta la firma della soprintendente, Sandrina Bandera, che lungo il rapporto interviene spesso per indicare quali siano secondo lei i crucci della sua attività.

Note non da poco, visto che in base al testo di riforma firmato Dario Franceschini (ora al vaglio della Corte dei Conti), Brera dovrebbe diventare un polo museale autonomo, permettendo alla sua dirigente di controllarne la cassa e usarne i ricavi con maggiore autonomia. In attesa dell'ok definitivo, e soprattutto dei decreti attuativi (se mai arriveranno), il museo milanese s'è messo a fare ordine nei conti.

Prima le spese: dalle utenze (416mila euro nel 2013 solo per l'energia) al personale (113 addetti alla vigilanza per un costo complessivo di 5 milioni e mezzo di euro). Poi gli introiti, che oggi vengono traghettati direttamente a Roma (Brera, di per sé, non ha neanche un conto corrente): al ministero, dalla sua sede milanese, è arrivato l'anno scorso un milione e 66mila euro.

Così composto: 745mila euro dalla vendita dei biglietti (l'incasso lordo è un milione e 365mila euro a fronte di 249mila visitatori, una media di 9 euro a testa per chi ha pagato il ticket completo); 295mila euro versati dalla concessionaria del Bookshop, Skira, che paga un affitto e cede una royalty sui libri, le audioguide e le visite guidate (su cui trattiene il 70 per cento del fatturato, pari a più di mezzo milione); e il resto dalle autorizzazioni per foto, riprese e dai servizi aggiuntivi.

Quindi, nella lunga disamina, arrivano i crucci. Uno è per l'attività sindacale dei dipendenti, «Le difficoltà di bilancio», scrive Sandrina Bandera il 6 agosto: «sono avvenute per la mancanza di mezzi materiali, la tensione sindacale radicata e la ben nota mancanza di finanziamenti pubblici». Come a Pompei, insomma, sembra che le esigenze dei beni culturali - da aprire ai turisti - non vadano d'accordo con le sigle sindacali dell'amministrazione pubblica.

In un altro passaggio, parlando dei servizi educativi del museo, offerti gratuitamente alle scuole, la soprintendente dichiara: «manca una vera fascia nell'organico addetta a queste attività educative». A Brera, spiega, sono portate avanti da addetti alla vigilanza laureati in Beni Culturali, Archeologia e Storia dell'arte, spesso con dottorati e stage in musei stranieri «Trattandosi di dipendenti addetti alla vigilanza essi devono comunque prioritariamente svolgere tali attività», spiega: «e dedicarsi all'istruzione solo in casi di esubero (con una specie di slalom sindacale come si può immaginare)».

Il secondo cruccio, è la burocrazia: un'odissea di carte da far approvare per ogni spostamento che, sostiene la dirigente, blocca la «qualità dell'azione» e ogni possibile, piccolo, intervento di riammodernamento dell'esposizione. La lentezza sarebbe superabile, dice Bandera, con una maggior autonomia di spesa. Che il ministero a quanto pare sarebbe pronto a riconoscerle.

Ma è il terzo lamento forse il più sorprendente. Nel 2013 la soprintendenza di Brera, come ufficio di tutela responsabile del patrimonio di tutta la Lombardia occidentale, e non solo della Pinacoteca milanese, non si è fermata un attimo sul fronte esportazioni: 10.171 atti firmati, 1.000 certificati per tutelare opere in giro per mostre.

Nel dossier c'è l'intero dettaglio dell'alacre lavoro dell'Ufficio Esportazione: 4.480 attestati di libera circolazione; solo 16 "no"; tre proposte d'acquisto; 3.240 auto-certificazioni per opere con meno di 50 anni; 361 certificati di avvenuta spedizione; 143 di avvenuta importazione; 1.982 opere importate temporaneamente; 91 atti per le spedizioni; 1.097 licenze di esportazione per mostre.

Una mole di lavoro non da poco. Ed eseguita tutta, rigorosamente, a spese del ministero. «L'attività dell'ufficio esportazioni, nonostante avvenga solitamente a vantaggio di privati, è svolta gratuitamente», spiega Bandera. Insomma: i privati cittadini che prestano e i privati imprenditori che organizzano mostre possono contare sul fatto che a Brera un piccolo manipolo di funzionari lavori gratis per loro.

«Gli interventi del nostro ufficio esportazioni, il più rilevante in Italia per il grande flusso di opere in cui è coinvolto», andrebbero forse remunerati, suggerisce la soprintendente nelle conclusioni: «considerando che questi controlli di opere d'arte in entrata e in uscita dal territorio italiano, verso privati, sono svolte a titolo gratuito».

In questo momento risultano in viaggio otto opere della collezione permanente (composta da circa 650 pezzi esposti) della Pinacoteca. Ma questo non significa che l'export non piaccia alla soprintendenza milanese. L'anno scorso uno dei massimi capolavori del museo, la Cena in Emmaus di Caravaggio, è uscita dall'Italia per la prima volta per una mostra ad Hong Kong. Il trasporto dello straordinario dipinto è costato 3,8 milioni di euro, scrive la Farnesina. Ma a Milano ne sono arrivati solo 30mila. Un sostegno alla "valorizzazione" della sede con un nuovo sito web (non ancora online, pare) in italiano e in inglese.