Helena Janeczek, Evelina Santangelo, Rosella Postorino, Alessandra Sarchi. Nelle parole delle scrittrici il ricordo dell’autrice che ha scalfito la contemporaneità fino alla fine

La letteratura, certo, che le valse il premio Campiello. Ma anche e soprattutto le battaglie civili, condotte con ogni mezzo, l’hanno imposta all’attenzione del grande pubblico, anche di chi non legge. Così le scrittrici celebrano Michela Murgia, autrice e icona dei diritti, che senza timore ha portato avanti le lotte di tutti. Controcorrente, libera dalle cautele reverenziali nei confronti del potere.

 

«Michela Murgia era una donna forte della sua fede - inseparabilmente - politica e religiosa. Una combinazione rara e preziosissima, come afferma la dissidente turca Ece Temelkuran nel suo ultimo libro, dove l'inglese “fede” viene reso nel titolo con “la fiducia e la dignità”.», scrive Helena Janeczek: «Michela lottava per la dignità delle donne, delle persone queer, di tutti gli esclusi dai diritti. E sino all’ultimo ha voluto conservare la propria dignità, perché il suo vivere e morire potesse servire e infondere coraggio negli altr3. In questa sua fede militante si portava dietro delle esperienze di lunga data: le canzoni intonante da ragazza dell'Azione Cattolica, la velocità con cui in un dimenticabile pub della provincia lombarda sapeva procacciare gli stuzzichini dell’aperitivo per sfamare tutti i commensali. Anche se era lei l’ospite, la star del festival letterario. Viveva di parole, Michela, ma sapeva che per cambiare le nostre relazioni le parole non bastano».

 

«Tutto quello che c'era da dire lo ha detto lei fino all'ultimo giorno pubblicamente e privatamente. Tutto quello che c'era da fare lo ha fatto lei sino alle ultime ore», aggiunge Evelina Santangelo. Per la scrittrice siciliana, Michela Murgia «è riuscita a stare accanto a chi desiderava fino all'ultimo momento. Perché Michi sapeva come stare accanto. In tutti i suoi gesti e le sue parole era come se dicesse: Non lasciatevi sopraffare da niente e da nessuno».

 

«Una volta dovevo fare una cosa per me molto difficile, ma che volevo fare perché era giusta e necessaria, e implicava una presa di consapevolezza e pure il fatto di comunicarla con convinzione», ricorda Rosella Postorino: «La mia terapeuta mi suggerì: immagini di essere una persona che secondo lei questa cosa saprebbe farla, una persona che lei stima tantissimo. Ho pensato a Michela. La persona più forte e più intelligente che abbia conosciuto. Di una velocità, di una vitalità: un’intelligenza onnicomprensiva che mi ha sempre sbalordita, da lontano e ancor più da vicino, quando mi è capitato di lavorare con lei. A Michela ovviamente non l’ho mai detto. Ieri notte non riuscivo a fare nulla dopo aver appreso della sua morte, ero ammutolita; sono andata a rileggere su whatsapp il nostro scambio legato a God Save the Queer. In mezzo alle discussioni sul libro compaiono un sacco di altri discorsi, perché per lei tutto era collegato, tutto era politico, semplicemente perché era umano. Michela era una che ti chiamava principessa, palombella, aveva con le donne una dolcezza che mi verrebbe da definire materna e invece era appunto umana. Una sera, a una cena abbastanza raccolta, dopo che aveva fatto una battuta tagliente a Chiara Valerio, una battuta che faceva molto ridere, l’ho vista in piedi dietro di lei, rimasta seduta: le accarezzava distratta i capelli mentre chiacchierava con noi altri, con una dolcezza, con una naturalezza con cui potrebbe farlo mia madre con me, e ho pensato a come ogni suo gesto fosse sempre pieno, sempre capace di stupirmi.

Racconto questo perché la sua allegria, la sua assertività, la sua preveggenza, il suo acume, la sua velocità, la meraviglia di come abbia trasformato gli ultimi mesi della sua vita in una battaglia politica per gli altri, per coloro che sarebbero rimasti vivi, questa sua enorme lucidissima generosità, sono sotto gli occhi di tutti. Ma forse la sua dolcezza no. Una volta Michela disse, durante un’intervista, che il tipo di amicizia di chi ti è stato testimone quando ancora potevi diventare tutto non si ripete. Mi commosse. Lei è diventata davvero moltissime cose, conteneva troppe vite per una sola e tutte le ha messe al servizio di un’idea sempre eteroriferita del mondo. Ho spesso pensato a quella ragazzina che a 18 anni sceglie una casa diversa in cui crescere, in cui essere vista, in cui modificare i rapporti di potere, a quella ragazzina che si commuove davanti alla Trinità di Rublëv, che abbraccia la contraddizione fra il Dio cattolico in cui crede e la libertà che vuole per sé e per tutti, che studia per capirla, per tentare di risolverla. Sapeva che sarebbe diventata così grande? Immensa. È stata questo, per me, immensa. Mi sento più piccola, ora, e sento che il mondo è più piccolo, più solo, senza di lei. Come se il mondo intero fosse il suo fill’e anima e adesso dovesse sopportare questa assurda orfanità».

 

«Di Michela voglio ricordare una cosa che mi disse, davanti a un tazza di caffè al Mambo di Bologna, una delle prima volte che ci incontravamo», racconta Alessandra Sarchi. «Stavamo commentando non so più quale fatto di politica sul quale lei si era esposta pubblicamente e le dissi che ammiravo la sua capacità di sopportare gli attacchi dei singoli e dei giornali, e di non farsi abbattere e sostenere le proprie idee. Mi guardò con i suoi occhi sornioni e sorridendo disse: sono una ragazza di provincia abituata a battagliare per esistere. Questa frase mi colpì perché anch'io ero, e sono, una ragazza di provincia e sebbene il conflitto non fosse mai stato il terreno in cui mi muovevo con agio, capii benissimo cosa intendesse: far valer le idee in cui si crede in un luogo che verte per sua natura all’omologazione e alla marginalizzazione della diversità è difficile, richiede coraggio e forza, un dispendio di energie costante. Ripensandoci ora, l'Italia ha sempre avuto bisogno di ragazzi/e di provincia che ne scuotessero la lenta e ipocrita coscienza, lo scollamento fra la realtà e la sua rappresentazione, forse proprio perché il nostro Paese è, fuor di retorica, un’estesa e inconsapevole provincia. Michela Murgia ha occupato questo spazio e sia che si fosse d’accordo con le sue posizioni sia che le si avversasse, ha obbligato tutti a fare i conti con la propria visione del mondo».